Vara ma lu vara ma lia
Vara ma lu vara ma lia

Fano, Carnevale 2014: Per superare la tradizione?

in La Citta del Carnevale

Fano, Carnevale 2014: Per superare la tradizione?

El Bugiardon 

La tradizione è il filo conduttore di questo Carnevale che ha visto una antica bancarella del pesce sfilare al suono delle canzoni popolari italiane messe in onda da Radio Fano. La tradizione ci lega al passato. Ripropone però anche realtà delle quali faremmo volentieri a meno. Non parliamo di Lupo Alberto, che dai suoi quaranta anni ci dice che dobbiamo difendere la nostra liberta’ di pensiero e di azione, ma parliamo della vita del nostro Paese che è l’oggetto della attenzione e della satira dei maestri carristi.

 

Horror Carnival Party

“Horror Carnival party” di Matteo Angherà & Luca Vassilich, “El Bugiardon” di ‘Gommapiuma per caso‘ (bozzetto di Pierluigi Piccinetti), “Siamo in un mare di… guai” di Eugenio Ruben Mariotti e “Non c’è più religione” di Matteo Angherà & Luca Vassilich rappresentano quella parte della politica che dovremmo abbandonare, perchè potremmo ritrovarci con la faccia come una di quelle disegnate da Angherà e Vassilich! (Em.Mo.)

Siamo in un mare di guaiNon c'e' piu' religione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giunge in redazione da parte di
Nello Maiorano questa nota dello
scrittore Fabio Tombari del 1955,
nel volumetto “el Va’, poesie in
vernacolo sul Carnevale di Fano”
(Circolo Culturale Jacques Maritain,
1981). E’ una chicca.

IL CARNEVALE DI FRUSAGLIA

di FabioTombari

E’ uno dei pochi che continui progressivamente una tradizione sorta dai carnasciali di antica origine pagana: e col passare dei millenni, dei secoli e degli anni va crescendo la sua portata simile a un fiume che allungando il proprio corso s’impingua via via di affluenze che dai paesi vicini, nonché dai soppressi carnevaloni di Romagna scendono tributarie di folle all’unico carnevale rimasto: el Và o gran corso mascherato.
Immaginate una gara sempre più accesa fra società, circoli, comitive – tutti i caffè agitati da mesi – a escogitare stravaganze, fantasticherie, macchinismi: per cui ognuno si sente impegnato non tanto al prestigio della propria cricca o rione, che se è molto per pochi è poco per molti, quanto al prestigio stesso di Fano che è tutto per tutti.
Dai 4 rocchi di salsiccia sull’albero della cuccagna, sostituiti da un paio di piccioncini della civica munificenza e dall’oca dei tempi grassi rimpiazzata dall’agnello e dal porco dei tempi grassissimi, ai 14 milioni di sole spese stanziati dall’attuale società Carnevalesca, su un bilancio di 20 milioni, il crescendo è sinfonico.

 

Quella stessa repubblicana città di Fano che risale nel 1799, contro Austria, Russia, Turchia e Collegati attaccata per terra e per mare, stanziò a baiocchi contanti “in rame” scudi 14 per agguerrire di 100 fascine la sua Porta Maggiore fatto segno al cannoneggiamento nemico, mette in gioco 30 milioni di lire per un movimento complessivo di 50 milioni nella ridda, nel vortice di una mezza giornata, proprio davanti a quella stessa Porta Maggiore.
Notte e giorno da mesi, operai, calafati, pittori, scultori, studenti, artigiani, meccanici, tutti chiusi nel più stretto riserbo, assai più e assai meglio degli atomici, a mantenere il segreto, l’improvvisata per il gran giorno, si succedono a turni dentro i grandi capannoni – gli studios – appositamente allestiti fin dall’autunno.

 

Sono in gestazione i ciclopi del buonumore, i giganti della risata, i titani della smorfia: omaccioni mastodontici accesi dei più sfacciati colori; personaggi di cartapesta impinguati alle dimensioni dell’allegoria della leggenda del mito, fuochi d’artificio, scenari, trucchi, macchinazioni degne dei più grandi allestimenti scenici (non per nulla il Torelli, “mago del teatro” di Re Sole, è fanese); carri colossali di 70-80 quintali, costruzioni da Mille e una Notte, ma tipicamente nostre, locali, di casa.
Se Nizza può vantare una più grande sfilata di maschere, se Viareggio può gloriarsi di un maggiore numero di carri, Fano, Città della Fortuna, si esalta in una più genuina espressione popolaresca.

 

Tutte le volte infatti che dalla tipica smisurata mascherata nostrale si è voluto deviare verso un’ispirazione straniera, né la schiettezza né il buon gusto ci hanno guadagnato. Ma perduto. Roba mal digerita: non indegna, indigesta.

Ogni arte, sua pure effimera, è universale a patto di dire una parola propria inconfondibile.

 

Non l’esotico, ma lo zotico se mai il rozzo, il tanghero, ecco ciò che fa del frusagliano un carattere. E Fano in questi giorno è tutta Frusaglia. Tutta Frusaglia e di più. Perché ciò che addirittura vi trascende fino all’eccesso, senza più ritegno o confronti, è il gettito, il getto dai palchi e dai carri.
Non coriandoli, gesso o nastri filanti, ma dolciumi, cioccolate, chicche, confetti, caramelle. Tonnellate e tonnellate di dolci: cofanetti, scatole, tavolette di fondenti, paste, goloserie: gianduie, croccanti, torroni, cremini.

Ogni carro è dotato di un rigurgito sopra i dieci quintali. Un anno un treno di maschere distribuì cestini da viaggio ricolmi; un altro, di cacciatori in un bosco, gettava incartati che non macchiassero ma caldi, lardellati e ben cotti, eccellenti allo spiedo.
Anche questo in crescendo, dall’omaggio al lancio, man mano che il disinteresse, la cordialità, la libertà, la larghezza prendono calore; dalla cortesia alla tempesta, alla furia, in una ressa, in un turbine, una grandinata, un ciclone: dal bacio candito alla ferita lacero contusa.

 

Qualcuno venuto dall’estero, dopo aver visto il carnevale di Fano, parlava del famosissimo e vetustissimo carnevale di Basilea come di una particolare giornata di raccoglimento e di pace.

Un mio amico giudicato guaribile in pochi giorni, riuscì a vedere dopo un anno di benda, due soldi sulla luna, quanto dire si guadagnò una macchiuzza così impercettibile che alla distanza di 300.000 chilometri acquistava per l’occhio le dimensioni di una moneta; un altro si estrasse dalla calca così compromesso che dovette sposare dopo pochi giorni.

Uno solo pare, si dice, un eroe, un temerario senza né maschera né elmetto riuscì, ma sarà proprio vero?, a risalire controcorrente l’umana fiumana e raggiungere incolume un posto di ristoro, perdendo appena un paio di calzoni e una scarpa.

Certo è che chi torna parla come un superstite, un reduce.

Così tre mesi prima per allestirlo e tre mesi dopo per commentarlo, il carnevale di Fano dura letteralmente sei mesi, tanti quanto quello di Venezia ai tempi d’oro.
Questo accalorarsi ed accendersi contro l’assedio del freddo, per vivificare sia pur dei fantocci, è più che una rivincita, un superamento.
Ogni distinzione di ceti o di partiti politici vien messa da parte, e il nuovo che trionfa sul vecchio vince migliorandolo. Contraffacendo, beffando ma caricaturandosi: poiché mai come in questo carosello di bamboli, in questo baloccarsi, è così giusta l’espressione di portare in giro se stessi.
Se è vero come è vero che l’uomo conserva del suo lontano passato istinti grossolani e violenti da abbandonare via via che procede verso un proprio ideale sempre più nobile e alto, è anche vero che non v’è migliore modo di liberarsene che bruciarli in un libero sfogo innocuo e giocondo.

 

Così nell’apoteosi finale o cremazione del Pupo, fra cascate di torrenti al magnesio e scoppi di mortaretti e bengala, il giorno avanti le Ceneri,Fano manda in cielo col fumo il proprio ridicolo, per rinascere con la fenice ogni anno dalle proprie Ceneri.

 

(da “Microfono“, 1955)

Fabio Tombari

 

Ha finalmente tirato fuori la sua
plaquette, Nello Maiorano, dedicata
al Carnevale con un sapiente saggio
di Aldo Deli (1981), ed anche lui con
la nostalgia d’oggi di Leandro Castellani,
che si trova in un altro file di Fano Città.
 

OGNI ANNO IL CARNEVALE PASSA E VA

di Aldo Deli

 

Fedeltà alla tradizione e risposta a nuove attese: questi i poli dell’odierno discorso sul nostro Carnevale. E’ certo che numerose espressioni tradizionali sono ormai scomparse; il rito da una parte cede, da un’altra assume: non deve dispiacere l’idea del Carnevale come creazione. Ma è difficile fare scelte in un mondo che ha rimescolato tutto e nemmeno riesce a stabilire confini certi fra tempo di lavoro, di riposo, di svago, di festa.

 

Così sono state dimenticate le vecchie maschere marchigiane Gianfrino e Mengone né il replicato tentativo fanese di lanciare el Voulon ha avuto successo. Il popolo non pratica più il saltarello, la furlana, la galoppa, la paroncina e altri balli legati al Carnevale e alle feste stagionali; a Fano certamente pochissimi sanno che i ritrovi dei ballerini si chiamavano fino a mezzo secolo fa i brudett; né a qualcuno potrebbe venire in mente di riesumare l’oscena quattrocentesca battaglia a colpi di trippa fra macellai e piazzaroli. Non possiamo fermare il mondo.

 

Qui da noi resiste ancora el Và: un nome per molti tutto da spiegare. Quando il fuoco purificatore portava via el Pup gridava la gente el và, el và: e il Carnevale se ne andava veramente!

 

Nel porgere le testimonianze carnascialesche qui raccolte è sembrato che nulla meglio di una prosa tutta fanese di Fabio Tombari, il più popolare dei nostri scrittori, potesse degnamente fungere da cornice anche perché, dettata nel 1955 in anni di vive speranze carnevalesche, appare oggi – di fronte a perplessità e venticelli di crisi – un autorevole invito a meditare.

 

Così il primo posto fra i poeti spetta a Giulio Grimaldi col quale il nostro dialetto fece le sue più belle prove poetiche fin dall’ultimo decennio dell’Ottocento. I suoi monologhi e dialoghi si propongono come esempio di realismo e di eleganza dialettali e, insieme, di eccezionale felicità nel lumeggiare la fonte psicologica del dialogare: Grimaldi resta ancora il classico fra i nostri dialettali.

 

Il perché di questa raccolta, ideata e voluta da Nello Maiorano e Fiorangelo Pucci, responsabili del Circolo Culturale Maritain, è presto detto. Ogni anno il Carnevale passa e va; ne resta un confuso ricordo. Per quelli antichi resta la nostalgia alimentata dal meccanismo psicologico che rende mitiche tutte le cose andate, le quali alla distanza appaiono eccezionali anche se modestissime, casalinghe e paesane.
In effetti la nostalgia non riguarda singole manifestazioni, usanze: è invece rivolta da un mondo che nel suo insieme offriva certezza di identità e di sicurezza.

 

E’ questione di tempo. Col passare delle generazioni anche la nostalgia del Carnevàl d’una volta: quel che pasàva prel Cors certamente cadrà. Rimangono proclamazioni, fotografie, cronache e, infine, la voce di chi si è affidato ai versi.
Abbiamo letto sul Carnevale certe prose giornalistiche vecchie e recenti: con esse si potrebbe agevolmente comporre una antologia di parole inutili. Invece il guizzo del Carnevale, il gusto di ridere e sorridere, la passione del vivere e del tramandare hanno un sapore più genuino nei testi che qui presentiamo. Non troveremo, è vero, il soffio della grande poesia nei cantori dei saturnali casalinghi però li sentiremo ben inseriti nel costume e nella storia della città, così come lo sono gli uomini e gli interpreti del nostro attuale teatro dialettale.

 

Ma concludiamo la presentazione: dopo Grimaldi e dopo quel misterioso Sor Ugeni umano ma anche piagnucoloso, incontreremo Nini Battistelli, Rino Bragadin, Mario Isotti osservatori attenti e divertiti sempre pronti a dettare i messaggi del giovedì grasso.

 

Per la varietà delle rispettive vene poetiche sono poi noti ai fanesi Bilancioni, Foghetti, Gabbianelli, Garè, Norma Meletti, Magnini, Paolinelli.

 

Il gusto di commentare in versi il Carnevale non è nuovo a Fano se addirittura dal 1765 ci giunge una lunga canzonetta di arcadica fattura in cui il Carnevale in persona con tata educazione dice:

 

Ecco a Te riedo o Fano
Levati, e il mio ritorno
Città diletta onora;
Sì avventurato giorno
Tu non vedesti ancora.

 

Avete sentito? Due secoli fa non scrivevano in fanese: ogni secolo le sue mode; ogni tempo si rinnova.

 

Carnevale 1981

 

Aldo Deli

 

L’amico-editore Nello Maiorano, per conto del Circolo Culturale Jacques Maritain di Fano, ha
inviato una poesia in vernacolo sul Carnevale di Massimo G. Foghetti, che pubblichiamo insieme ad una scheda della sua attività culturale.

 

BRUSCIA EL VA’

Ciel… tut un stlàt

Aria… ‘alegrotta

Voja… galiotta

de fa l’amor

Nott… de calura

Aria… sciatàta

Bocca… infucàta

me bat el cor

Ciò… ‘na passion

Sent… un suché

En so perché

so’ tut un tremor

La Terra… suspira

Piagn… un viulin

Vola un lugin

E’l Và che mor.

1980

Massimo G. Foghetti

 

MASSIMO G. FOGHETTI, nato a Pesaro il 26 febbraio 1946, è residente a Fano. Giornalista pubblicista. E’ corrispondente del Corriere Adriatico dal 1986. E’ stato direttore di Radio Esmeralda; attualmente fa parte della Redazione di Radio Fano. Ha collaborato con diversi enti per la promozione delle loro manifestazioni, come l’Azienda Autonoma di Soggiorno, l’Apt, l’Ente Carnevalesca, l’Ufficio Cultura del Comune, per il quale ha svolto l’incarico di addetto stampa per la serie di concerti “InCanto”, de “Il Violino e la Selce” e per la stagione lirica del Teatro della Fortuna. Ha presentato diverse manifestazioni. Ha scritto varie commedie in vernacolo fanese, vincendo più volte il Premio Giulio Grimaldi. Conduce dibattiti, effettua presentazioni di libri e mostre d’arte. Ha collaborato alle pubblicazioni: “El Va” poesie in vernacolo sul carnevale di Fano (1981). “Trent’anni di Artigianato Metaurense” (2007). “Coop Tre Ponti Fano: 25 anni insieme” (2008). “Fan cent’anni. La Banca di Credito cooperativo di Fano” (2011). “Tra cielo e Terra” Le gare cinofile di Monte Petrano (2013). Si è cimentato anche nelle fiabe per bambini con “Stacia Minacia”(2009) e nel giallo archeologico con “La Basilica” (2008). Ha pubblicato un racconto su “Feria a Fano” a cura di Gualtiero De Santi, edito dal Comune di Fano dal titolo “Lisippo mon amour” (2010). Ha collaborato alla “Moretta. Le origini della bevanda dei pescatori”, edito dal Servizio Turismo del Comune di Fano (2011).