Jacques Maritain e i Piccoli Fratelli di Gesù

in Cultura

Jacques Maritain e i Piccoli Fratelli di Gesù di Frère Maurice Maurin

1. Appena abbiamo saputo del decesso di Raïssa, nel 1960, fratello André che era il responsabile degli studi a Toulouse, è partito per raggiungere Jacques Maritain a Parigi. Fratello André era molto legato ai Maritain dal periodo della sua conversione, per un certo periodo aveva perfino abitato a casa loro a Meudon. Era anch’egli filosofo e un eminente islamista (Su Frère André (Luois Garder), cf. Michel Nurdin, Un demi-siècle d’amitié bénie, Cahiers Maritain, 14, pp.59-63). Al suo ritorno da Kolbsheim, dove avevano avuto luogo le esequie di Raïssa, fratello André ci annunciò che Jacques Maritain stava per venire presto ad abitare con noi. Eravamo allora una cinquantina di Piccoli Fratelli di Gesù, studenti di teologia presso i Domenicani nella periferia di Toulouse. Secondo le abitudini, legate alla nostra vocazione, vivevamo in piccole comunità di quattro o cinque confratelli, in appartamenti affittati nel quartiere o in casette di legno, che avevamo costruito in un terreno che apparteneva ai Domenicani e che chiamavamo “baracche”. Bisognò dunque sistemare due piccole stanze collegate alla sala riunioni e farne un piccolo appartamento per Jacques: una cameretta ed uno studiolo dove poter continuare a ricevere. Il tutto nella più grande semplicità.
Nel corso degli studi tutti noi leggevamo e studiavamo testi e libri di Jacques Maritain. Fratello André parlava spesso di lui in riunione o personalmente. Sapevamo che aveva avuto molta importanza nella sua conversione, come anche nella ricerca della sua vocazione personale. Accadeva allora che ci leggeva una lettera che aveva ricevuto da Jacques e che considerava come profetica:
“Una vita contemplativa nel mondo? […] Proprio così. Ma tuttavia si giustificherebbe nel mondo solo con il desiderio di servire le anime, e dunque d’essere un modo o una sua impronta, di sopportare coraggiosamente per esse tutti i guai, le amarezze e i viavai inutili, ineludibili dal commercio con gli uomini, se non altro per rendere testimonianza in mezzo ad essi della stessa contemplazione e dell’amore eucaristico di Nostro Signore.
Se dovete restare nel mondo, credo che sia per la volontà di lasciarvi assorbire dagli altri, salvaguardando solo la parte (molto grande) di solitudine necessaria affinché Dio faccia di voi qualcosa di utilmente assorbibile… Cosa resta dopo? L’impressione, l’idea, la speranza che lo Spirito Santo prepari qualcosa nel mondo, un’opera d’amore e di contemplazione, che vorrà dalle anime totalmente liberate e immolate perfino in mezzo al mondo… “. Jacques mi ha detto in seguito che aveva scritto quella lettera pensando alla vita ed alla vocazione di Raïssa.
E così, il 6 marzo 1961, abbiamo visto arrivare Jacques. Faceva un gran freddo e sembrava molto stanco. E’ stato subito accompagnato nell’appartamento preparato per lui. Fratello André ci aveva molto raccomandato di lasciarlo in pace, soprattutto di non importunarlo. Jacques ritornava dagli Stati Uniti, dove era dovuto andare per regolare certi affari e prendere ciò di cui aveva bisogno, perché con Raïssa erano venuti in Francia solo per un periodo di riposo e di incontri, quando fin dal primo giorno a Parigi, Raïssa si era improvvisamente accasciata, crudelmente colpita dalla malattia. Al suo ritorno, Jacques si era fermato a Kolbsheim, dagli amici Grunelius e aveva deciso di passare da loro le vacanze estive.
Nei primi giorni, potevamo intravedere Jacques soprattutto quando usciva da casa sua per fare due passi nei viali del nostro parco. La messa era sempre a mezzogiorno e Jacques vi partecipava. Poiché la nostra cappella aveva delle panche dappertutto, dove potevamo sederci, ma avevamo l’abitudine di inginocchiarci sulla nuda terra, i confratelli avevano pensato di fare un inginocchiatoio per Jacques, e per non metterlo in imbarazzo, ne avevano fatti quattro. Ma Jacques, fin dalla prima volta, si è inginocchiato sulla nuda terra. Lo si poteva vedere di sera in fondo alla cappella, in ginocchio, in un angolo, una figura scura illuminata dalla lampada del santuario.
Nelle vicinanze, c’era una piccola comunità di suore domenicane contemplative. Jacques, Raïssa e Vćra ne avevano conosciuto la fondatrice a Meudon. Queste suore sono state provvidenziali per Jacques. All’inizio, gli preparavano il pasto di mezzogiorno, ma, soprattutto, una delle suore gli faceva da segretaria, aiutandolo a scrivere a macchina i testi manoscritti e una parte della posta.
Un giorno, uscendo insieme dalla cappella, gli ho rivolto la parola e l’ho invitato al pasto serale nella nostra piccola fraternità di cinque confratelli. Jacques ha accettato ed è venuto. Fin da principio, con semplicità e attenzione fraterna, ci ha impegnati a chiamarlo Jacques, ciò che facevamo con naturalezza, senza alcuna esitazione né complessi. Aveva uno sguardo che esprimeva una grande dolcezza, occhi blu che si fermavano su ciascuno, con rispetto e grande attenzione. Si poteva certamente coglierne la fatica e la pena, ma subito si era a proprio agio con lui e in un rapporto di affetto. Il grande Jacques Maritain era prima di tutto un cuore, uno sguardo. Attento a non fare troppo tardi, l’ho accompagnato a casa sua camminando lentamente. Davanti alla porta, gli ho rivolto alcune parole: capivo la sua sofferenza, eravamo i suoi Piccoli Fratelli, eravamo felici che fosse con noi e desideravamo essergli d’aiuto. Mi ha ringraziato ed abbracciato. Ero del tutto affascinato.
Ma Jacques non tardò ad ammalarsi, tossiva molto, aveva la febbre e il cuore molto affaticato. Prima degli studi, avevo lavorato in Marocco come infermiere, e così a Toulouse avevo il compito d’infermiere per i confratelli, il che mi permetteva di andare a visitare Jacques. Fu necessario chiamare un medico. Fratello André chiese consiglio ad un Padre Domenicano, amico di Jacques, il quale fece appello ad un eminente professore cattolico. Fu un fiasco! Quel professore affaticò Jacques ponendogli molte domande sulla sua carriera, ma interessandosi poco al malato. Dopo che se ne fu andato, Jacques disse che non voleva più rivederlo e che aveva bisogno di essere visitato da un vero medico. Scoprivo un altro aspetto di Jacques: aveva una forte personalità, era capace di irritarsi, ma si calmava molto presto e si scusava con molta umiltà. Mi sono allora rivolto al medico di quartiere, il dottor Roger Tauber, che conoscevamo ed apprezzavamo. Non ci si era subito rivolti a lui, perché era comunista militante; era inoltre ebreo d’origine rumena, il che non poteva dispiacere a Jacques. Benché fosse una domenica mattina, era venuto subito e con molta cura aveva visitato Jacques, che aveva una bronchite, aggravata da uno stato di debolezza cardiaca. Il dottore ritornò ogni giorno per sorvegliare personalmente il decorso della malattia e, nel caso, adattare la cura. Era di una grande bontà quell’uomo: quello è stato l’inizio di una grande fiducia e di una fraterna amicizia fra i due, e, in seguito un grande sostegno per ciascuno di loro.
2. Qualche giorno dopo l’arrivo di Jacques a Toulouse, fratello René Voillaume, fondatore ed allora priore, aveva scritto a tutti i Piccoli Fratelli: “E’ un dono prezioso della Provvidenza che l’amicizia di Jacques per noi, e la parentela spirituale che esisteva già da molto tempo con la nostra forma di vita religiosa, l’abbiano condotto a venire ad abitare in mezzo a noi, come un fratello maggiore del quale abbiamo molto bisogno…”. Da parte sua, un mese dopo Jacques scriveva: “…mi sono ritirato dal mondo grazie all’accoglienza che hanno voluto darmi i Piccoli Fratelli di Gesù che Raïssa ed io abbiamo amato con un amore d’elezione fin dalla loro fondazione”.
Queste frasi che si riferiscono ai nostri precedenti legami con Jacques, come “la parentela spirituale che esisteva da così tanto tempo con la nostra forma di vita religiosa”, come “i Piccoli Fratelli di Gesù che Raïssa ed io abbiamo amato fin dalla loro fondazione” risvegliano la nostra attenzione e ci invitano ad uno sguardo verso il passato(Si può trovare uno studio più dettagliato di tutta la storia dei legami dei Maritain con i Piccoli Fratelli – come i rinvii più completi delle citazioni usate – nello studio di fr. Michel Nurdin, Jacques Maritain et René Voillaume, Nova et Vetera, ottobre-dicembre 2004, pp.29-47).
Nel 1913, Charles de Foucauld fa un breve soggiorno a Parigi e a più riprese incontra Louis Massignon, che ne parla a Jacques Maritain, il quale sarà interessato ad alcuni aspetti della vita e della spiritualità di fratello Charles. Sicuramente Jacques fu colpito dalla frase che ripeteva il giovane Charles, non credente ma aspirante a conoscere Dio: “Mio Dio se esisti fa che ti conosca”. Jacques stesso aveva vissuto quella situazione, ripetendo quasi le stesse parole.
L’8 settembre 1933, nella basilica del Sacré-Coeur a Montmartre, i primi cinque Piccoli Fratelli di Gesù vestono l’abito di fratello Charles. Nel Paysan de la Garonne, Jacques Maritain annota che egli era presente. Quei cinque confratelli partono in seguito per il deserto algerino, si fermano presso i Padri Bianchi ad Algeri, dove sono raggiunti da un sesto confratello che li attendeva e, insieme, continuano verso il sud e si stabiliscono in un’oasi, El-Abiodh-Siri-Cheikh. Questo sesto confratello è fratello André, il giovane convertito legato ai Maritain e al quale, nel 1928, Jacques aveva scritto la lettera, detta profetica, che ho citato all’inizio.
Si capisce quindi facilmente che da parte dei Maritain, che formavano una piccola comunità di tre (Jacques, Raïssa, Véra), di ispirazione contemplativa nel mondo – (“Ma quel piccolo gregge di tre era di Gesù Cristo” sottolinea Jacques) – si seguiva con grande interesse l’evoluzione di quella nuova comunità di confratelli. E nel deserto, fratello André, filosofo e discepolo di Jacques, che riceveva libri, essendo incaricato della formazione intellettuale dei giovani confratelli, li guidava nella linea di san Tommaso d’Aquino e di Jacques Maritain, in pieno accordo con il giovane priore, René Voillaume, che aveva preparato un dottorato di teologia all’Angelicum con un professore dominicano, molto vicino a Jacques.
3.La seconda Guerra Mondiale fu tempo di prove, di discussioni, di riesame che la situazione suscitava nella giovane Fraternità molte questioni alle quali bisognerà rispondere. L’andare indietro negli anni aveva permesso ai confratelli una migliore conoscenza degli scritti e della vita di fratello Charles. Alcuni fratelli provavano un certo disagio nel paragonare il loro stile di vita in parte monastico con quello che aveva concretamente vissuto fratello Charles, ispirandosi alla vita di Gesù a Nazareth, come anche con le condizioni di vita dei poveri nomadi che si trovavano con loro. Un desiderio di maggiore fedeltà a questo ideale di “Nazareth” si manifestava in mezzo ai confratelli. Ma si ponevano anche altre domande, come salvaguardare la fedeltà all’orientamento contemplativo e aprirsi ad una autentica condivisione della vita dei poveri, di gente comune, e non soltanto nel deserto o in ambiente musulmano, ma dappertutto nel mondo? Si era posta una seria riflessione di fondo e comportava scambi, studi, testi da redigere, spesso attraverso il fratello André che, conoscendo bene gli scritti di Jacques Maritain, poteva attingervi le luci e l’apertura di cui i confratelli avevano bisogno. Il dialogo continuava anche con Piccola Sorella Magdeleine che, avendo fondato le Piccole Sorelle di Gesù nel Sahara, condivideva lo stesso ideale. Ella appariva ispirata e audace in un percorso di apertura, al seguito di Gesù di Nazareth e di fratello Charles.
Una prima questione si pose riguardo alla formazione del nuovi confratelli. I confratelli da soli non potevano farsene carico. Per meglio informarsi e rispondere alle questioni che si ponevano, nella primavera 1946, fratello René Voillaume e fratello André vanno in Francia. Incontrano prima di tutto dei professori Domenicani, e nel corso dei colloqui, si profila un progetto che prevede che i giovani Piccoli Fratelli possano studiare nello Studium dei Domenicani e sotto la responsabilità di fratello André. Dopo un po’, fratello René noterà: “E’ quasi certo che Maritain ha dovuto consigliarci in questo senso”.
In seguito i due confratelli vanno a Roma dove fratello René Voillaume deve avere vari incontri in Vaticano, ma anche dove Jacques Maritain è ambasciatore presso la Santa Sede. I due confratelli parlano a lungo con Jacques, Raïssa e Véra in merito ai fratelli ed a tutte le questioni che vengono loro poste. Molti problemi sono comuni: “Come vivere la contemplazione nel mondo? Quali sono le difficoltà? Ma anche, per che cosa ci impegna? …”. I due confratelli capiscono che ciò va nel senso di quanto Jacques aveva scritto al fratello André: “…con la volontà di lasciarsi assorbire dagli altri, preservando solo la parte (molto grande) di solitudine necessaria perché Dio faccia di voi qualcosa di utilmente divorabile…”.
Non c’è dubbio che questi diversi colloqui dei due confratelli con coloro che sono diventati i nostri Maestri Domenicani, con Jacques, Raïssa e Véra, poi, così come gli incontri che sono seguiti con tutto un rinnovamento missionario e religioso più aperto al mondo del lavoro, stanno esercitando une influenza molto importante sull’evoluzione dei Fratelli. Ciò li rafforzerà nel loro desiderio di vivere la vocazione di Nazareth in forte unione con la gente del popolo, i poveri, condividendo le stesse condizioni di lavoro e di habitat, negli ambienti operai, non cristiani, ecc. Non è una rivoluzione ma una pienezza, una fioritura di qualcosa che era stato dato in seme e che era a lungo maturato nella contemplazione e nel silenzio del deserto, e in continuità di quanto aveva vissuto e desiderato fratello Charles, in particolare a Tamanrasset.
Tutto ciò non era senza rischio. Jacques e Raïssa vi s’interessavano vivamente. Non si trovavano essi stessi dopo anni impegnati in una via simile, benché in un altro ambiente? Potevano ormai aver luogo ogni tanto degli incontri fra i confratelli e i Maritain, quando questi venivano d’estate in Francia. In seguito ad uno di questi incontri in Francia, nel 1950, al quale avevano partecipato alcuni confratelli: André, Milad Aïssa (il maestro dei novizi) e Dominique Voillaume (fratello del Priore), Jacques annota: “Molto commosso dalle carte del padre Voillaume che André ha dato a Raïssa. Lo spirito di Dio è veramente là. Questi Piccoli Fratelli sono ciò che attendevamo da tempo”. Le carte che menziona Jacques sono senza dubbio i testi delle conversazioni e delle lettere del Priore ai suoi confratelli, sugli aspetti importanti della loro vocazione, che stanno per essere pubblicati fra poco con il titolo “Au coeur des Masses”.
4. Si capisce che i testi che toccano in particolare la preghiera del cuore, la preghiera contemplativa, “la preghiera della povera gente”, ad esempio, indirizzati a confratelli sottoposti a un lavoro e a ritmi e condizioni di vita di gente comune, erano estremamente importanti per i Maritain, impegnati essi stessi da tempo nella preghiera di contemplazione e, più spesso, nell’accoglienza continua di gente numerosa e diversa. Ciò li riguardava direttamente e confermava alcuni loro scritti. Nella stessa epoca Raïssa desiderava scrivere un libro su “La contemplazione sulle strade”. Nel 1959, scriverà in Liturgia e contemplazione, che “la costante attenzione a Gesù presente e la carità fraterna sono chiamate a svolgere un ruolo maggiore, anche riguardo alle vie dell’orazione infusa”, e che la vocazione dei Piccoli Fratelli, “contemplativi gettati nel mondo e nella miseria del mondo, ha in questo rapporto un alto significato”. Jacques afferma anche che: “L’amore per il prossimo è lo stesso amore dell’amore per Dio. Di conseguenza, l’amore fraterno ci connaturalizza anche a Dio…”.
Noi sappiamo, piccoli fratelli e piccole sorelle, che c’è una grande verità, ma sappiamo per esperienza quanto sia difficile restarvi fedele e non deviare da una parte o dall’altra.
Si può così capire meglio, come dopo il decesso di Véra e di Raïssa, Jacques rimasto solo, a seguito degli incontri con i fratelli René e André, decida di ritirarsi presso i Piccoli Fratelli di Gesù. Egli pensa anche che ciò è conforme alla volontà di Raïssa e in naturale proseguimento di quanto hanno vissuto con Véra. Jacques ha allora 78 anni e comincia una vita completamente nuova per lui.
Poco dopo l’arrivo a Toulouse, e al fine di precisare la sua situazione, egli scrive: “Resto un filosofo laico e non ho alcuna intenzione di rinchiudermi in convento. Ma mi sono ritirato dal mondo grazie all’accoglienza che mi hanno riservato i Piccoli Fratelli di Gesù che Raïssa ed io abbiamo tanto amato di un amore d’elezione dalla loro fondazione (saranno presto trent’anni). Ho un grande bisogno di silenzio. Non sono rientrato in Francia per cercare di operarvi, ma per prepararmici a morire”(Préface a La Politique selon Jacques Maritain di H. Bars, pp.12-13 ; in Oeuvres Complètes, vol. XII).
5. Essendosi poco a poco ristabilito dalla bronchite, Jacques si organizza e si rimette progressivamente al lavoro. Non ha con sé la sua biblioteca, né tutte le sue carte. Ma ha gli appunti di Raïssa, il suo Journal ed i testi sui quali lei lavorava. In caso di bisogno, c’è la biblioteca di fratello André e quella dei fratelli studenti. Dei confratelli gli hanno sistemato una poltrona, semplice ma abbastanza confortevole, con i braccioli rialzati che reggono una tavola leggera, sulla quale Jacques può facilmente scrivere, leggere, meditare. Qui accoglie gli ospiti. In questo piccolo studio ci sono numerosi ritratti di Raïssa. Nella camera c’è un inginocchiatoio, dove può anche pregare.
Jacques comincia col prendere conoscenza degli appunti e dei testi di Raissa, sempre presente nei suoi pensieri. Conosce alcuni di quei testi, ma non tutti ed è animato dal gran desiderio di fare conoscere il pensiero e le opere di Raïssa. Così due mesi dopo prepara già l’edizione fuori commercio delle Osservazioni sul Pater, che doveva essere la prima parte di un libro che Raïssa desiderava scrivere: “La contemplazione sulle strade”, il frutto della meditazione di Raïssa sulla preghiera che ci viene dal Signore. Jacques ne dedicherà l’edizione pubblica ai Piccoli Fratelli di Gesù.
Nel prosieguo, Jacques prende conoscenza del Diario intimo di Raïssa. Ne conosceva l’esistenza, era “le secret du Roi”. Ne scopre l’importanza e ne resta molto commosso. Ne prepara in primo luogo un’edizione fuori commercio. Su consiglio di alcuni amici, molto commossi anche loro – non senza esitazione -, decide di pubblicarlo rivelando gran parte della loro intimità. Facendo allora visita a Jacques con regolarità, avevo l’impressione che vivesse con Raïssa, che lei lo sostenesse, che lui riprendesse le forze.
Il Diario di Raïssa continua ad avere un’influenza considerevole nelle persone attratte dalla preghiera contemplativa, dall’unione con Dio, e vivendo nel mondo, con tutto ciò che comporta di viavai, incontri e seccature. Per Raïssa era proprio la “contemplazione sulle strade”. Ciò provocò un gran numero di reazioni da parte dei lettori che a Jacques scrivevano per dire la loro emozione, per ringraziarlo… Alcuni chiedevano d’incontrarlo. Jacques era colpito dalle reazioni suscitate da Raïssa, ciò lo stimolava, ma la gente lo affaticava. Per illuminare certi soggetti affrontati da Raïssa, Jacques decide in seguito di pubblicare il suo Ricordi e appunti, così prezioso per conoscere la vita di tutti e tre: Jacques, Raïssa, Véra. Ai propri appunti Jacques aggiunge un capitolo rilevante su Véra, che permette di capire il ruolo tutto discreto quanto importante, che Véra esercitava nella loro piccola comunità di tre. Ne approfitto per ringraziare Nora Possenti per il suo stupendo libro che rimette in luce Véra nella comunità dei Tre Maritain (Nora Possenti Ghiglia, I tre Maritain. La presenza di Vera nel mondo di Jacques e Raïssa, Milano, Ancora, 2000, p. 477. Trad. francese: Les trois Maritain, Parole et Silence, 2006).
L’ampiezza ed il tenore degli appunti di Raïssa sostenevano Jacques nella contemplazione di Gesù e del Mistero della sua Persona. Forse per questo all’inizio del 1964, Jacques propone riunioni e due lunghi seminari sul Mistero della Persona del Verbo Incarnato? Eravamo molto stupiti di vedere tanta forza in Jacques, era la forza della fede. Era visibilmente abitato dal suo soggetto. Mi ricordo in particolare di quando, parlando della sofferenza, ha detto: “Non si accetta la Croce, la si prende, si adora la Croce”, ha avuto un nodo alla gola per l’emozione. Il testo è stato pubblicato dopo tre anni con il titolo “Sulla grazia e sull’umanità di Gesù”.
I seminari con Jacques erano molto importanti per tutti noi. Tutti i confratelli erano invitati a parteciparvi, anche se alcuni soggetti potevano essere più metafisici o ardui, come numerosi seminari sul problema del male, pubblicati poi con il titolo “Dio e il permesso del male”. Jacques teneva molto a questi rapporti. Non aveva forse detto nel momento in cui aveva deciso di andare a vivere a Toulouse : “Sono accettato per mettermi al servizio dei Piccoli Fratelli come filosofo laico […] Il padre priore mi dona il distintivo dei Piccoli Fratelli e mi autorizza a portarlo”?
Jacques tenne anche una lunga dissertazione, molto importante per noi poiché trattava “La vocazione dei Piccoli Fratelli di Gesù(Oeuvres Complètes, vol. XVI, pp.1061-1083) “: “…la mia temerarietà ha forse una scusa – intendo la profonda affezione che Raïssa ed io abbiamo avuto da tanto tempo per i Piccoli Fratelli, e che non ha fatto che crescere in me giorno dopo giorno ora che avete voluto adottarmi e che vivo fra voi. E poi non è mai inutile, credo, guardarsi negli occhi di un altro. Che questi occhi vi vedano bene o male, in ogni caso ciò aiuta a prendere coscienza di sé”. Dopo una premessa e questa nota critica, Jacques analizza in modo esatto e profondo i fondamenti della vocazione contemplativa nel mondo:
“Ho detto che nell’età nuova nella quale siamo entrati vediamo rivelarsi – sia nella materia e grazie alle scoperte della microfisica, sia nelle attività umane e grazie all’esplorazione dell’inconscio – un certo primato dell’invisibile sul visibile e del non manifestato sul manifestato. Qui appare, a mio avviso, il vostro ruolo profetico, vostro, Piccoli Fratelli di Gesù, di affermare nell’esistenza il valore primario della testimonianza resa all’amore di Gesù per gli uomini, non dai grandi mezzi visibili, ma dal modo invisibile o quasi invisibile della semplice presenza d’amore fraterno in mezzo ai poveri ed agli abbandonati. Cosa vogliono gli uomini prima di tutto? Di cosa hanno bisogno prima di tutto? Hanno bisogno di essere amati; di essere riconosciuti; di essere trattati come degli esseri umani; di sentire rispettati tutti i valori che ciascuno porta in sé. Per questo non basta dire loro: “Vi amo”. Non basta neanche far loro del bene. Bisogna esistere con loro, nel senso più profondo di questa espressione”. Avendo vissuto più in là negli anni, talvolta in contesti di grande miseria, ho spesso avuto l’occasione di ritornare su ciò che aveva allora espresso Jacques, di rimarcarne la giustezza e di vedervi come una luce per guidarci.
6. In questo stesso periodo Jacques era molto interessato all’avventura del Concilio Vaticano II, anche se era poco al corrente degli eventi nei loro dettagli. Il papa Paolo VI l’aveva invitato in Vaticano per intrattenersi personalmente con lui su certi soggetti. Perciò un mattino ho visto arrivare due persone che si sono presentate come Don Macchi, segretario particolare del Papa, e Jean Guitton. Essi viaggiavano in incognito ed erano inviati dal papa per porre alcune questioni a Jacques Maritain e sentire la sua opinione su certi argomenti che riguardavano il Concilio. Essi hanno così passato quasi tutta una giornata con Jacques. Sappiamo anche che Jacques è stato invitato dal papa alla chiusura del Concilio, per ricevervi il Messaggio agli intellettuali. Jacques aveva avuto allora alcuni contatti con personalità del Vaticano che l’avevano incoraggiato a dire la propria opinione, attraverso la stampa, su certe questioni. Secondo quanto Jacques ci ha detto al suo ritorno, nell’aereo aveva deciso di dire effettivamente la sua opinione su certi soggetti che riteneva importanti, ma con un libro, in modo da restare più indipendente. Per questo si è messo a scrivere Le Paysan de la Garonne.
Nei mesi che sono seguiti Jacques si è imposto un ritmo di lavoro intenso, e ci domandavamo da dove prendesse tanta forza e tanta luce. Mi diceva che Raïssa lo sosteneva e l’ispirava. In quegli anni, andavo a trovarlo una o più volte al giorno secondo i casi. Ma quando era preso dalla composizione di un libro, conveniva essere discreti. Alla fine del pomeriggio, Jacques si imponeva abitualmente una sosta, era quello il momento buono per incontrarlo. Fratello Andrè andava allora a fargli visita, vi andavo anch’io talvolta, o con un altro confratello, Heinz, che avevo condotto presso Jacques e che egli apprezzava molto. Jacques ci parlava allora dell’argomento sul quale lavorava, e quando si è trattato del Paysan de la Garonne, ci leggeva spesso un passo di ciò che aveva appena scritto. Jacques era in quei momenti abbastanza disteso e poteva anche scherzare. Il libro è stato scritto in nove mesi ed è stato un grande successo editoriale, anche se talvolta è stato interpretato in modo diverso. Nell’ultima parte del libro Jacques ritorna su “la contemplazione sulle strade” che egli sviluppa. Con l’esperienza e la saggezza di tutta la loro vita, con Raïssa e Véra, vede e afferma chiaramente l’importanza nel nostro tempo della vita di unione con Dio, della contemplazione nel mondo, non soltanto per i religiosi, ma anche per molti di coloro che conducono una vita di laici comuni nel mondo, con il lavoro, i rischi e gli impegni temporali.
7. Ricordiamo che Jacques aveva scritto poco dopo il suo arrivo a Toulouse: “Ho un grande bisogno di silenzio. Non sono rientrato in Francia per cercare l’azione, ma per prepararmici a morire”. Infatti durante i dodici anni a Toulouse, Jacques ha scritto molto. Sono occorsi due volumi delle ” Oeuvres complètes” per raccogliere i suoi testi! Ma un altro aspetto importante di ciò che è stata la vita con Raïssa e Véra, gli incontri e i legami con gli amici, ha avuto un seguito a Toulouse merita di essere sottolineato. C’erano prima di tutto numerosi figliocci e amici di Jacques e Raïssa, antichi e nuovi, che si manifestavano godendo della presenza di Jacques a Toulouse. Alcuni venivano dalla regione. Per esempio, proprio nella Abbaye d’En-Calcat, molto vicina, c’erano tre monaci, artisti, convertiti e figliocci. Altri venivano da Parigi, dalla Francia, o perfino dall’estero. Fra loro c’erano attori, artisti, gente conosciuta come Jean Hugo, padre Rzewuski e molti altri. Scrivevano, chiedevano un incontro, o si presentavano perfino direttamente. C’erano quelli che vivevano difficoltà personali; quelli che, essendo stati toccati profondamente dal Journal de Raïssa, scrivevano a Jacques, il quale era molto sensibile, poiché desiderava molto che il messaggio di Raïssa fosse conosciuto. Gli è anche accaduto talvolta di ricevere giovani studenti che domandavano di incontrarlo, rispondeva con bontà e buona volontà alle loro domande.
Tutto ciò formava una corrente più o meno regolare. Jacques accoglieva e spesso amava queste persone, questi amici, antichi e nuovi. Spesso desiderava che i suoi ospiti conoscessero i Piccoli Fratelli. Mi parlava in particolare di alcuni, il che mi interessava molto e ammiravo Jacques e il modo in cui faceva tutto ciò. Io pensavo che era I grandi amici che continuavano. Jacques cercava di programmare, di limitare, ma Véra non era più là per proteggerlo ed era proprio difficile sostituirla. Quando Jacques era assorto in un lavoro, sul punto di scrivere un libro, era più facile invocare le raccomandazioni del medico che chiedeva il riposo. Tutto ciò non sopprimeva la fatica dell’età, né l’assenza di presenza visibile di Raïssa e di Véra. Ma Jacques non era triste né abbattuto.
Il buon dottor Tauber continuava regolarmente le sue visite a Jacques e ci teneva molto. Erano diventati due amici. Jacques ammirava la generosità del dottore, il quale ammirava Jacques e si sforzava di leggere i libri che gli dava con dedica. Invitava Jacques a casa sua e veniva allora a prenderci in auto. Jacques aveva sicuramente conquistato tutta la famiglia e tutti sembravano felici.
Verso il 1964, Jacques ha conosciuto un momento di grande fatica, il dottore temeva un arresto cardiaco, lo ha detto a Jacques, aggiungendo che ciò sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro e che conveniva prepararvisi. Allora abbiamo invitato un Padre domenicano del convento che è venuto per amministrargli i sacramenti. Poi Jacques mi ha dato la lista delle persone da avvisare in caso di morte ed è restato molto tranquillamente disteso. La sera tardi, Jacques sembrava addormentato. Mi sono seduto presso il letto per passare la notte, e non so in quale ora mi sono addormentato. Il mattino presto, ci siamo svegliati, forse alla stessa ora. Jacques mi ha guardato e ha detto molto semplicemente: “Vedi, non era per questa notte, bisogna continuare e tuttavia è da così tanto tempo che non ho visto Raïssa!”. Il dottor Tauber è arrivato ed ha delicatamente espresso la sua gioia di rivedere Jacques. Poi uscendo mi ha detto: “Jacques è veramente straordinario, parla della sua morte come se dicesse che egli passa nella stanza accanto”.
8. A Toulouse, Jacques si era abbastanza presto ben adattato e integrato alla vita dei confratelli studenti. Certamente c’era l’età, la fatica, ma sembrava molto a proprio agio. Salvo nel periodo di lavoro intenso o di grande fatica, usciva ogni giorno per camminare un po’, si poteva vederlo cogliere qualche fiore per metterlo in un vaso, davanti una foto di Raïssa. Andava regolarmente nella cappella ed era invitato ogni tanto in una delle fraternità vicine per il pasto della sera. Era molto a suo agio con i confratelli ed essi con lui. Si interessava di loro, della loro vita, dei loro studi. Era pienamente in sintonia con la loro vita, conosceva le loro debolezze ma li amava e ne era amato. Con lui tutto era semplice, fraterno e poteva stupire di vedere questo uomo vecchio, con la sua cultura, con il suo passato, stare anche a suo agio, e perfino felice, in un contesto di giovani confratelli e in condizioni di vita piuttosto difficili.
In questa situazione, nel marzo 1970, quando Jacques finisce il suo ultimo libro, De l’Eglise du Christ, un’idea e un desiderio germogliano in lui, che sottopone, dopo aver a lungo pregato, al nuovo priore (fratello René Page) in una lettera, domandandogli “di essere accettato fra i Piccoli Fratelli di Gesù”. Scrive che, con questo ultimo libro, ha terminato il lungo lavoro di filosofo, “…e nello stesso momento l’idea di diventare uno dei vostri, se mi si vuole malgrado la mia età, è scaturita in me; perché più vivo con i Piccoli Fratelli più li amo e apprezzo la loro vocazione, e perché io provo un grande desiderio di obbedienza religiosa e di consacrazione totale del povero essere che sono a Dio e alla “contemplazione sulle strade”, di cui Raïssa ha parlato e di cui i Piccoli Fratelli sono l’esempio per eccellenza …”.
Da parte sua, il priore scrive ai confratelli: “…Sapete tutto ciò che gli dobbiamo. E tuttavia non è né per fargli piacere né per liberarci di un debito verso di lui che abbiamo accettato la sua richiesta. Prima di tutto perché è stata preceduta da un lungo perfezionamento, da una vita spirituale intensa che Jacques evoca nella sua lettera e di cui testimoniano i suoi scritti come quelli di Raïssa. […] Se Jacques è Piccolo Fratello, è anche perché a 88 anni, qualunque sia la sua esperienza, la sua opera, il suo passato, la sua vita in mezzo a noi è tale che ci fa dimenticare tutto ciò che ha fatto: egli è semplicemente Jacques, un Piccolo Fratello fra gli altri, e che è ancora pronto a tutto”.
Il 15 ottobre 1970, Jacques Maritain prendeva l’abito di Piccolo Fratello di Gesù, che segnava l’inizio del suo noviziato. Heinz ne era il responsabile e aveva 55 anni meno del novizio.
9. Nel 1966, lasciai Toulouse, ma avevo spesso l’occasione di ritornarvi, di soggiornarvi e così di ritrovare Jacques e i confratelli. Mi rallegravo dei legami che si approfondivano fra Jacques e Heinz. Jacques aveva scoperto gli eccezionali doni intellettuali di Heinz e mi aveva detto: “Gli altri mi capiscono, Heinz invece è la continuazione di me stesso”. In una lettera a Julien Green, scrive qualche tempo dopo: “Fratello Heinz, il caro maestro dei novizi, mi ha accompagnato qui. Sorprendente bontà della Provvidenza, questo piccolo fratello è uno spirito superiore, con i più bei doni filosofici che abbia mai incontrato e che nutrono la mia speranza per l’avvenire…”. E in un’altra lettera: “Sono aiutato ammirevolmente (miracolo della grazia dovuto a Raïssa) da un confratello che amo sopra tutti, e nei confronti del quale si ha la prova che Dio abbia dato doni straordinari […] ed è su lui che conto per fare un’opera costruttiva e per passare, dopo la mia morte, attraverso le porte che ho più o meno maldestramente cercato di aprire”. Tre anni più tardi, Heinz succedeva a fratello André come responsabile degli studi. In seguito si è molto impegnato per preparare l’edizione delle Oeuvres Complètes de Jacques et Raïssa Maritain. Heinz doveva ahimè morire nel 1982, quando il primo tomo delle Oeuvres Complètes era in stampa6.
Nel 1970, per questioni di urbanistica, abbiamo dovuto cedere una parte dell’area che occupavamo e riorganizzarci diversamente. Jacques ha dovuto allora lasciare la sua baracca per un’altra, ma con la differenza, questa volta, che le sue due stanze erano integrate a una piccola fraternità di confratelli. Pur conservando una certa indipendenza, a 88 anni, si trovava dunque direttamente in comunità. Ne era fiero e diceva “la mia fraternità!”. Heinz abitava a qualche passo da Jacques e restava a contatto stretto con lui. Questa nuova situazione era provvidenziale, perché permetteva ai giovani confratelli di badare a Jacques. Tanto più che gli succedeva di cadere, soprattutto nelle ultime settimane, quando si alzava o voleva mettersi in ginocchio per pregare nel piccolo inginocchiatoio della sua camera. Mangiava abitualmente insieme ai suoi confratelli e, non senza humour, partecipava ai loro colloqui. Con loro riceveva i loro ospiti, più spesso confratelli che passavano e arrivavano da quasi tutte le parti del mondo. Si interessava di loro, di quello che vivevano. Per questo il suo ultimo studio è stato un progetto, “utopico” diceva, di “una società senza denaro”. Ciò, a seguito di colloqui, nel corso di un pasto con due confratelli che vivevano a Cuba. Questo semplice fatto, ma anche tanti altri, testimoniano sulla sua capacità di apertura e di interessamento per gli altri. La cosa più sorprendente è che con lui, e malgrado la fatica e le piccole infermità contratte per l’età, tutto appariva assolutamente naturale.
Verso la fine del suo noviziato, Jacques scrive al priore: “Il mio desiderio di lasciare tutto per Dio e di essergli consacrato è più profondo che mai, indegno come sono di questa grazia”. Il 1° novembre 1971, nella festa di Tutti i Santi, Jacques, con voce ferma, pronuncia i voti, che in ragione dell’età sono perpetui; e offre la sua vita a Dio “per tutti i giovani chiamati dallo Spirito Santo a servire la divina Verità”.
Nel gennaio 1973, Jacques ha 90 anni, va a Parigi con Heinz, per portare il manoscritto di Approches sans entraves alle Editions Fayard. Li raggiungo lì. Di fronte all’insistenza del direttore della casa editrice, Jacques accetta di lasciarsi fotografare ancora una volta. Sceglie come luogo il Jardin des Plantes, e indica al taxi che ci conduce, attraverso quale porta desidera entrarvi. Ed ecco che senza preoccuparsi del fotografo, che fa il suo lavoro, Jacques passeggia lentamente nei viali del Giardino, guardando tranquillamente intorno a sé, con il suo sguardo dolce e diritto. Si può notare sulla foto un leggero sorriso. Abbiamo allora capito che Jacques rendeva grazie a Dio, e a Raïssa, per quei settant’anni trascorsi da una particolare passeggiata in quello stesso luogo con la giovane Raïssa – avevano appena vent’anni e disperavano allora di trovare un senso alla parola verità, alla distinzione fra il bene e il male, di poter conoscere il senso profondo della loro vita.
Tre mesi dopo, Jacques passava in pace all’altra vita ed era sepolto nel piccolo cimitero di Kolbsheim, nella stessa tomba dove già il corpo di Raïssa era stato deposto.
Il papa Paolo VI aveva inviato il suo segretario privato, Mons. Macchi, per rappresentarlo. Il quale ha raccontato che quando ha appreso della morte di Jacques, il papa ha pianto. La domenica seguente, davanti a 30 mila persone nella Piazza San Pietro, ha reso un omaggio commosso a Jacques, presentandolo come un “Maestro nell’arte di pensare, di pregare e di vivere”.
Da parte sua, il priore dei Piccoli Fratelli scrive loro: “Ora che Jacques ci ha lasciati, capiamo meglio che quanto i nostri occhi hanno visto e quanto le nostre orecchie hanno ascoltato attraverso la sua vita, non possiamo né dimenticarlo né sottovalutarlo. […] La sua vita e la sua opera appartengono a Dio, definitivamente; e l’una come l’altra sono state donate alla Chiesa e per tutti gli uomini. […] Sarebbe tragico per noi, Piccoli Fratelli, aver avuto sotto gli occhi un simile esempio di ciò che può essere l’uomo, il cristiano, il religioso, senza averlo notato e senza ricordarcene. Dio non ci ha fatto forse la grazia di darci Jacques come amico, fin dall’inizio della Fraternità, poi come fratello?…”.
Alle esequie, molto semplici, era presente anche il fedele amico di Jacques, suo collaboratore per più di cinquant’anni, il cardinale Charles Journet. Molte persone presenti hanno allora potuto ascoltare le sue parole: “Jacques è la santità, è un santo!”. Doveva pubblicamente dichiarare poco dopo: “Jacques Maritain, quali sofferenze ha patito! Quale tenerezza di cuore aveva! Quale pietà per i peccatori! Quante anime ha condotto nella Chiesa, alla verità del Vangelo, all’amore di Gesù! Fu un’immensa scia di luce!”.
Giusto per concludere, mi faccio eco di una questione posta da molte persone: “La causa di beatificazione è iniziata? Se no, perché?”. Sappiamo che alcuni anni fa, un grande amico polacco di Jacques Maritain, il filosofo Stefan Swiezawski, che alla chiusura del Concilio accompagnava Jacques per ricevere il Messaggio agli Intellettuali, ha scritto al suo compatriota Giovanni Paolo II per consigliargli di beatificare Jacques e Raïssa Maritain. E’ evidente, che si tratterebbe allora dei tre Maritain: Jacques, Raïssa, Véra.
(Traduzione di Gastone Mosci)
Frère Maurice Maurin

 

 


Quanto è accaduto lunedì 11 febbraio 2013 e l’ascolto diretto alla tv del messaggio di rinuncia dal ministero di Vescovo di Roma e da Successore di San Pietro, ha provocato in me, come in tante persone, una grande commozione. Il dibattito pubblico che ne è seguito mi ha riportato alla mente una condizione, pur diversa, ma spiritualmente avvicinabile, vissuta da Jacques Maritain alla morte della moglie Raissa, situazione che lo ha spinto a ritirarsi nel 1961 fino alla morte, presso la comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù di Tolosa, nel segno di questo suo desiderio: “Ho un grande bisogno di silenzio.” Quella dichiarazione è citata più volte da Frère Maurice Maurin nel suo raccontare di Jacques Maritain e i Piccoli Fratelli di Gesù. Alcuni anni fa l’Istituto Internazionale Maritain di Roma mi chiese di tradurre quel saggio: traduzione che feci e consegnai, destinata ad una rivista di teologia non individuata. Sento di dedicarLe con affetto quel testo, che è parte della vita della Chiesa, per un invito alla lettura degli amici del Meic delle Marche che stanno lavorando sui temi del Concilio Vaticano II.