Valerio Volpini Circolo Acli Urbino ii
A settantanni dalla caduta del fascismo

6. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 31 gennaio 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

6. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”
Appendice Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – 31 gennaio 2014

Arnaldo Battistoni 

1.
MARCELLO CAMILUCCI, POESIA PER FEBBRAIO

di Valerio Volpini

Marcello Camilucci, nel campo delle lettere italiane del Novecento, è un “battitore libero”, un uomo di lettere all’antica che coltiva il vizio della chiarezza perché ha qualcosa da dire. Critico acuto, è straordinario conoscitore della letteratura e dell’arte moderna (e colgo l’occasione per segnalare un suo saggio, “Interrogativi sulla Biennale”, in “Arte e Fede”, n. 24/25, 1994, che è una riflessione controcorrente sui paradossi dell’espressione di queste stagioni). Della copiosissima produzione ha raccolto solo qualche poesia e pochi racconti. Pagine che rivelano la sua coscienza cristiana dell’esistenza vivificata dal sapore dell’ironia e da una rispettosa pungente moralità. Anche nella comunicazione lirica Marcello Camilucci non trascura la connotazione e nell’interrogativo, anche drammatico, sa innestare una fresca svagata ilarità interiore, caldi sensi d’umanità mai risolti in sfrangiamenti sentimentalistici.
In questa “strofa”, scritta per “Famiglia Cristiana”, la meditazione esistenziale si coniuga con una giocosa sorridente immagine dei giorni.

 

FEBBRAIETTO CORTO E DOLCE

Sì, è vero, sembra quasi zoppicare perché è più corto
degli altri fratelli, Febbraio, ma non se ne rammarica
perché spera gliene venga più tenerezza da tutti quelli,
come lui, non protagonisti, che, con gli occhi bassi,
si danno da fare in casa perché la cenere non soffochi
il fuoco, i topi non saccheggino la dispensa, gli usci
non filtrino spifferi maligni, i pipistrelli restino
alle travi perché le loro ombre non spaventino i bimbi…
Fino a quando, consumate le forze, si scivola docili
come foglie morte, in un sonno fitto d’angeli e sirene.
Al risveglio (chissà, forse saranno state le campane…)
– chi mai lo avrebbe indovinato?- fuori è già primavera
e, nel cielo risciacquato, la prima rondine l’ha firmata.

(“Famiglia Cristiana” 2 marzo 1994)

 

Finestrella

Già nel Post Festival Digitale, 4, 17 gennaio 2014, abbiamo parlato di Marcello Camilucci (Padova 5 marzo 1910-Roma 26 marzo 2000), scrittore di formazione marchigiana, legato a Senigallia e Pergola, e pubblicato una sua poesia sulla Resistenza, “Sterile innocenza”. Era amico di Valerio Volpini, bandiera letteraria dei marchigiani a Roma al tempo della sua direzione de “L’Osservatore Romano” 1978-1984. (Ga.Mo.)

 

Per Leopoldo Elia

La pagina di 11 POESIE, quella “Assisi” dedicata a Leopoldo Elia

2.
L’ICONA DELL’AMICIZIA

di Gastone Mosci

Fano. Valerio Volpini 11 poesie / Arnaldo Battistoni 11 incisioni, Cartella d’arte, formato mm. 350×250, 12 fogli mm. 330×230, carta paglia, in ogni foglio poesia e incisione, 30 esemplari firmati e numerati con alcune p.d’a., esergo: …il faut tenter de vivre / Valéry, nel colophon: “Abbiamo stampato trenta copie di questa cartella col solo intento di farci vivi agli amici…”, (Fano), dicembre 1947.
Le poesie di Volpini sono state scritte fra il 1944 e 1947. Battistoni si è diplomato in calcografia alla Scuola del Libro nel luglio 1945, Volpini si è laureato nell’Università di Urbino nel febbraio 1947, Carlo Bo è stato eletto magnifico rettore l’8 marzo 1947.
Riproduciamo la poesia “Assisi” dedicata a Leopoldo Elia e la pagina con l’incisione di Battistoni. Valerio, Arnaldo e Leopoldo sono amici dagli anni giovanili a Fano, vivono un comune sentimento civile e umanitario, per la loro vita fanno scelte diverse: Valerio va in montagna, partigiano a Cantiano, Arnaldo dopo aver fatto il barbiere ottiene una borsa di studio per la Scuola del Libro e si dedica al disegno e all’incisione, Leo è più giovane ed è studente, si laurea alla Sapienza di Roma nel novembre 1947. Volpini dedica a Leopoldo Elia una poesia di quegli anni di lotta, “Assisi”, che è luogo di pacificazione e canto di luce, ma anche espressione della fiducia. Dopo le avventure di lotta per la libertà e la giustizia, ed il passaggio del fronte, i partigiani pesaresi e umbri si ritrovano nella città di Francesco per sciogliere i propri gruppi bellici e fare ritorno alla vita civile. Volpini va volontario fra gli arditi fino a Liberazione avvenuta nel 1945. Ho riproposto questo segnale poetico per approfondire il contesto di quella partecipazione – prima di tutto spirituale – come invito alla pace e a capire il senso della bellezza che si prova quando si entra nella città liberata e nei luoghi sacri che rendono percepibile il mistero della fede e della vita nella rete urbana e nel groviglio delle relazioni umane. A questo canto generale che è anche testimonianza civile partecipa Battistoni con una acquaforte di piccolo formato che muove segni e contrasti di chiaroscuro che conducono a rappresentare il luogo sacro, del mistero e della grazia, una acquaforte come documento spirituale e riflessione laica.

 

ASSISI

per Leopoldo Elia

Il gesto che m’accolse
nello spazio delle tue basiliche
ripete il desiderio di bramata luce
fusa sui tuoi muri viventi o Assisi.

Mi muove serenità che porta
esilio al tuo silenzio
isola di baciate immagini
che il filo raccorda
nella chiara apertura dei tetti
ilari del proprio candore.

Specchiarsi nel vano del gotico
era tornare eterni
e perdere la soggezione del punto
al giuoco del cuore.

Battistoni ha vissuto i primi anni quaranta di frequenza adulta della Scuola urbinate con una passione frenetica per il disegno, l’incisione e la lettura di testi letterari per vivere totalmente il suo essere autodidatta e l’incontro-scontro con la lastra di zinco per l’acquaforte. Già nel 1943, realizza un’acquaforte, “Paese”, che esprime la sua intelligenza creativa, originale e insonne. Al riguardo Valerio Volpini fa un calzante profilo dell’amico nel Catalogo della personale, “Arnaldo Battistoni. Incisioni tempere acqueforti”, Rocca Malatestiana 23 luglio – 21 agosto 1977.
“Credo che Battistoni non abbia inciso una sola lastra senza provare scontento e orgoglio; più spesso il primo per non essere riuscito a trarre dalla stampa quello che aveva pensato, talvolta l’orgoglio per esserci “quasi arrivato” (in questo caso, avendo assistito a certe sue prove, la sua faccia perennemente irritata, si distendeva, era capace di sorridersi anche). Battistoni è un calcografo che quanto più entra nei segreti del mestiere tanto più ne limita la prepotenza e la strumentalizzazione (l’acquaforte ha una propria prepotenza che si può comodamente sfruttare, come sanno tutti i calcografi, ma guai, poi farsene schiavi). Sarà una questione di temperamento; forse, Battistoni già fornito, per natura, di un “certo carattere” (quello che i fanesi chiamano benevolmente “la tigna”) ha motivato la libertà del suo fare soprattutto per la ricchezza interiore che se gli ha dato una statura d’artista non gli ha reso facile né il lavoro, né la vita: insomma, non ha mai vissuto sulla rendita di quello che aveva freneticamente imparato e poi imparato ancora, prima alla scuola d’Urbino e poi per conto proprio”.
Volpini ha accompagnato l’amico Battistoni negli anni della sua vita artistica, lo ha stimolato alla lettura ed alla curiosità culturale, lo ha portato nel contesto civile. Battistoni, a sua volta, gli ha insegnato a capire e ad amare l’incisione. Quella plaquette del 1947 rappresenta la loro comune icona nella quale si può comprendere Leopoldo Elia. Ne ho parlato in una nota, “La poesia della Resistenza e la nuova incisione. Valerio Volpini e Arnaldo Battistoni”, nel nuovo imminente sito web Urbino VivArte (www.urbino.vivarte.it)
Gastone Mosci

 

Arnaldo Battistoni Paese acquaforte 1943

Arnaldo Battistoni, “Paese”, acquaforte, 1943

3.
MEMORIA DI TRE AMICI FUCILATI

di Aldo Deli

Fano. Spesso, specie nei periodi in cui si festeggia la Liberazione e si parla di Democrazia, mi si affacciano alla mente i volti di tre miei compagni o di classe o di scuola uniti da un imprevedibile crudele destino nel 1944-45. Abbiamo veramente attraversato un tempo di buio fitto; non bisogna dimenticare!
Morirono giovanissimi per mano di altri giovani che, a modo suo, (in quella che fu per tanti aspetti non solo guerra di liberazione ma anche guerra civile), pensava di rappresentare la Storia, anzi la verità della storia.
Sono passati più di cinquant’anni. Chi non fu tra i grandi protagonisti ha il modesto e crudele destino di essere anonimamente assimilato ai tanti scomparsi nella seconda guerra mondiale. Eppure ognuno di loro ha vissuto le sue personali sofferenze, le sue paure e anche la speranza in un domani migliore scaturito dal proprio sacrificio. Alla purezza degli intenti non sempre è seguita un’adeguata realtà. L’odio, la lotta, la discriminazione sono sempre pericolosamente presenti nel mondo e continuano a fare nuove vittime.
Quei miei tre amici non militavano nello stesso campo ideologico: furono tutti fucilati a freddo dalla “comare secca”, di nostra “sorella morte” nella stagione in cui menava la sua macabra danza lasciando a noi compito e passione di distinguere fra morti buoni e morti cattivi. E’ giusto, non bisogna fare confusione, le scelte di quel lontano tempo debbono continuare ad insegnarci qualcosa; so molto bene che l’omologazione di valori diversi è storicamente pericolosa. Voglio perciò parlare solo dell’amicizia che è qualcosa di diverso.

 

Giannetto Dini

Ricordo che quando venne il tempo delle “scelte” per molti non fu facile schierasi: erano soli e non preparati. Odo ancora la voce a tratti beffarda di Giannetto Dini: coraggioso sempre sicuro si sé. Combattendo fu catturato dalla Guardia repubblicana, insieme a Salvalai, e finì fucilato a Massa Lombarda il 1° aprile 1944. Diceva, come tanti e con molta convinzione, di essere comunista. Ma che sapevamo allora noi giovani del comunismo? Forse solo che era il contrario del fascismo e prometteva giustizia e libertà. Nessuno conosceva la sottile sentenza di Medvedev (se non erro) secondo cui il fascismo non era altro che un comunismo attenuato e il comunismo un fascismo accentuato. A sentire queste parole, allora, si sarebbe caduti dalle nuvole!

 

Giorgio Gorgolini

Giorgio Gorgolini, compagno di quarta o quinta elementare al Sant’Arcangelo, era avventuroso: sognatore, sempre pronto a “giocare alla guerra”; fu, non so bene come, inghiottito dalla vera guerra, a Roma; dal carcere fu portato alle Fosse Ardeatine e lì venne trucidato innocente.

 

Paride Cecchini

Paride Cecchini, di Urbania, è il terzo dei miei amici finito davanti ad un plotone di esecuzione. Apparteneva alla schiera repubblicana fascista. L’ultima volta che gli parlai, notai in lui qualcosa di doloroso e di esasperato. Morì fucilato dai partigiani nella primavera del ’45.
Ha detto bene il poeta Pascoli. “E’ la pietà che l’uomo a l’uom più deve”. La Pietà, una virtù dimenticata.

Il nuovo amico, 23 aprile 2000
Aldo Deli