Fanocittà | Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza, 25-31 luglio 2013
Bombe su Montegiove e in città “a ferro e fuoco”
di Ivo Amaduzzi
Il 25 e 26 agosto 1944 furono per Fano i giorni “a ferro e fuoco” dal cielo e dalla terra: le bombe degli aerei e i proiettili delle artiglierie. La collina di Montegiove, per due giorni e due notti, senza sosta, fu battuta, palmo a palmo; venne detta “la collina di fuoco”. Su tutte le piante del bosco di cipressi, dietro la chiesa, rimasero i segni delle schegge e dei proiettili. Nei giorni precedenti i tedeschi, in ritirata, avevano compiuto la sistematica distruzione di ogni opera sul territorio. Non più un ponte sulle strade, anche in quelle secondarie, né un palo delle linee elettriche e telefoniche, né una rotaia delle ferrovie che non fosse stata spezzata. Smantellate le industrie, affondati i pescherecci, saltati i moli del porto. Non esistevano più i negozi. I ponti della Liscia e sull’Arzilla furono distrutti all’ultimo momento.
Non più una mucca nelle stalle: a branchi eran state fatte partire, anch’esse prigioniere, nel generale lamentoso fuggire. Nulla di utile fu lasciato alla popolazione stremata: dietro a loro il deserto. Il 20 e 21 agosto, con le mine, erano stati abbattuti i 7 più bei campanili delle chiese, la torre civica e le case ad angolo delle principali vie del centro storico. Scardinate le porte delle abitazioni. Si aggiungano le distruzioni causate dagli oltre 160
bombardamenti causati dagli aerei alleati. La popolazione con ansia sospirava la libertà.
Il 27 agosto finalmente arrivarono gli alleati, primi i polacchi, con i carri armati, ai Passeggi uscirono dalle Torrette con in mano una tazza fumante di cioccolata. Nel pomeriggio i tedeschi si fecero risentire con i cannoni appostati sulle colline di S. Biagio. Furono subito messi a tacere. Desolante, paurosa la visione della città devastata!
La Libertà fece miracoli: in tutti era incontenibile la volontà di ricostruire. La fantasia e l’operosità si misero in moto. Fano, l’Italia diventarono un immenso cantiere: la ricostruzione avvenne in un tempo molto più breve di quanto si pensasse. La lotta politica si fece aspra e a volte violenta. I cattolici credevano fermamente che si potesse realizzare una società nuova, “egualitaria” (si diceva allora) in pace e nella giustizia. E doveroso ricordare con perenne riconoscenza quanti, con indicibile coraggio e sofferenze, operarono per il ritorno della libertà, della pace e poi del benessere economico.
Oggi, dopo 50 anni dalla riconquista della libertà, dopo un lungo periodo di pace e di così mal goduto benessere materiale, dobbiamo ricominciare da capo. La passione politica, l’onestà, l’altruismo, la moralità singola e familiare, lo spirito di sacrificio, lo slancio verso ideali oltre il materiale non ci sono più: c’è stato un generalizzato tradimento in alto e in basso. Un’altra lotta di liberazione, quella di sempre dell’uomo contro se stesso, contro le sue tendenze malvage, senza tradimenti consapevoli che non ci sarà mai sulla terra la vera felicità, ma che la lotta è la condizione propria di questa natura umana, che pur sempre fra tante bassure è fatta per raggiungere traguardi sempre più alti e mirare, senza scoraggiarsi mai, specie dopo le sconfitte, ad un fine che va oltre le cose materiali.
Ivo Amaduzzi