Scelte enogastronomiche e libertà
Scelte enogastronomiche e libertà
Nel marzo 2014 mi sono recato alla Università del Gusto, a Pollenzo (TO), ed in quella occasione ho incontrato Carlo Petrini, il presidente di Slow Food.
Carlo mi ha parlato del suo libro, appena uscito: “Cibo e libertà” (Giunti –Slow Food Ed 2013). E’ stato un arricchimento culturale importante, ascoltare dalla sua voce, come il tipo di alimentazione di un popolo incide sull’ambiente, sulla salute e sull’economia, e finisce per condizionarne la libertà. Infatti, il nesso tra enogastronomia e libertà non è di immediata comprensione. Però, se ci pensiamo bene, ogni volta che acquistiamo un cibo possiamo favorire l’oppressione di chi sfrutta i lavoratori, deturpa l’ambiente o distrugge la biodiversità. Infatti è molto forte la pressione fatta sulle comunità agricole a produrre intensivamente solo alcune specie di piante, con semi bloccati da brevetti, che costringono ogni anno a pagarne i diritti.
Oggi si parla di alimentazione sostenibile, vista la stragrande maggioranza di cittadini che continuano ad acquistare prodotti fuori stagione, coltivati a migliaia di chilometri o in serre riscaldate a petrolio, mentre i prodotti di stagione vanno sprecati.
Perché avviene tutto questo? E’ la domanda di cibo che decide l’offerta o è il contrario?
Purtroppo oggi bisogna rispondere che è l’offerta che decide la domanda. Sembra che il cittadino-consumatore non voglia rinunciare ai modelli di consumo imposti dalla pubblicità. Inoltre, chi pranza a casa si affida al rapido impiego di trasformati di carne per accorciare i tempi e ridurre la fatica. Chi pranza fuori casa è costretto ad utilizzare fast food, paninoteche, bevande zuccherate.
Per i problemi sopracitati, c’è un allontanamento progressivo delle abitudini alimentari dalla tradizione mediterranea, basata su frequente consumo di frutta, vegetali, cereali, legumi, noci e pochissima carne rossa, con olio extravergine di oliva come principale apporto di grassi. Abbandonando l’alimentazione mediterranea aumenta l’impatto sull’ambiente e sulla salute.
Per misurare la sostenibilità dell’alimentazione, i ricercatori hanno elaborato programmi che incrociano i dati sui consumi alimentari con le tonnellate di CO2 prodotta per fare arrivare quegli alimenti dal campo alla tavola. Avendo i diari alimentari di un campione di persone, rappresentativo di un territorio, si può stabilire il quantitativo di cibo consumato e il fattore di aderenza alla dieta mediterranea, ovvero quanto siamo lontani dal modello mediterraneo. Negli studi fatti in Italia, tra il 2018-19, è emerso che ognuno di noi consuma in media 3500 Kcal al giorno a fronte di una esigenza media di 2000, con un aumento enorme di CO2 liberata nell’ambiente. Se si ritornasse alla alimentazione mediterranea o a modelli più sostenibili si potrebbe migliorare stato di salute e livello nutrizionale della popolazione e nel contempo abbassare significativamente le emissioni di CO2. E’ quello che hanno dimostrato Giuliana Vinci e coll, dell’Università “La Sapienza” di Roma in un recente studio pubblicato su: Int. J. Environ Res Public Health, 2022, 19, 12274. Gli autori hanno calcolato quanto ci costa in termini di impatto ambientale la non aderenza alla dieta mediterranea, confrontando i consumi correnti della popolazione italiana e i consumi che ci sarebbero stati se quelle persone avessero seguito l’alimentazione mediterranea. E’ emerso che, con i consumi correnti, l’uso di carne rossa è triplicato; quello di carne bianca è raddoppiato; quello di carne trasformata (insaccati, salsicce, hamburgher, polpette, ecc) è più che decuplicato. Inoltre, i consumi di pane e pasta si sono dimezzati, così come quelli di frutta e la verdura; i consumi di latticini sono aumentati di tre volte, mentre quelli di biscotti, snacks e bibite sono aumentati di 7 volte.
L’impatto ambientale di questo scostamento dal modello mediterraneo è stato valutato con 22 parametri tra cui: le emissioni di gas serra (Kg CO2 equivalenti), l’uso di terra sottratta alle foreste, il riscaldamento globale, il consumo di acqua e di combustibile fossile. Ognuno di questi parametri lancia un grido di allarme.
Ad esempio, ognuno di noi, se seguisse la dieta mediterranea ridurrebbe di 2 tonnellate all’anno la CO2 emessa rispetto alla dieta corrente. Questo dimostra che la dieta corrente è meno sostenibile della dieta mediterranea. Per essere più chiari gli autori hanno suddiviso la CO2 prodotta dalla dieta corrente in tre categorie: CO2 biogenica, cioè prodotta da vegetali, piante e microorganismi; CO2 da trasformazione di foreste in terra coltivabile; CO2 da emissioni di combustibile fossile. Tutte e tre le fonti di CO2 si innalzano con l’alimentazione corrente. La CO2 di origine biologica si innalza per le emissioni di dovute ai batteri rilasciati dai ruminanti. La CO2 emessa dalla trasformazione di foreste in terra coltivabile aumenta per il lavoro di deforestazione e fertilizzazione di quei terreni. La CO2 liberata dal combustibile fossile aumenta per il trasporto del cibo e la conversione dei semi in mangimi. I risultati di questo studio italiano concordano con altri studi fatti in Germania, Spagna e Portogallo.
In conclusione, il cambiamento di alimentazione in un popolo incide fortemente sull’ambiente e mette a dura prova l’obbiettivo di abbassare le emissioni di CO2, nonché la salvaguardia della salute. La maggiore emissione di CO2 è legata alla quantità e frequenza del consumo di carne e di prodotti trasformati della carne, nonché di zucchero, bevande zuccherate, latticini e uova. Un ritorno alla alimentazione mediterranea sarebbe la via auspicabile per la sostenibilità ambientale. L’apporto di proteine dovrebbe essere promosso con un maggior consumo di legumi e noci.
Le politiche alimentari dovrebbero essere finalizzate di più a favorire i consumi di prodotti territoriali a km zero, stagionali e a preservare la biodiversità. Non è in gioco solo l’economia e la sostenibilità ambientale, ma anche la salute. Scegliere il modo con cui alimentarci è far sì che sia la domanda a condizionare l’offerta. E’ dare “il voto col portafoglio” come ci invita a fare Leonardo Becchetti nel suo libro: “La rivoluzione della cittadinanza attiva “ (EMI 2022). Becchetti è convinto che la leva più potente per cambiare il mercato, siamo noi stessi. “La domanda siamo noi” dice Becchetti, “se domani, con le nostre scelte di consumo e di risparmio, scegliessimo di premiare i prodotti delle imprese leader nel coniugare qualità, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale, il mondo cambierebbe”. E’ chiaro che questa via ha molti ostacoli e tempi lunghi, ma la crescita consapevole passa di qua. A giudicare dalle emergenze ambientali, pandemiche ed energetiche che stiamo vivendo, bisogna rompere col sistema economico attuale. E’ tempo che ognuno faccia la sua parte scegliendo la via della libertà, dotandosi di consapevolezza, responsabilità e creatività nelle scelte alimentari, tenendo conto del patrimonio culturale della alimentazione mediterranea, di cui siamo i principali detentori.
Paolo Ninfali