Mostra Paolo Annibali al Museo Omero “Dirà l’argilla, la mano, la terra, il sacro”
Le sculture in terracotta di Paolo Annibali invitano ad una riflessione sullo scorrere del tempo e sul mistero della vita.
Recensione a cura di Vincenzo Prediletto
Il dr. Aldo Grassini, Presidente del Museo Tattile Statale Omero, ha inaugurato ufficialmente sabato pomeriggio alle 18 nelle ampie sale della splendida Mole settecentesca di Ancona la pregevole mostra dell’artista sambenedettese Paolo Annibali “DIRA’ L’ARGILLA, la mano, la terra, il sacro”, con più di 20 grandi sculture in terracotta realizzate negli ultimi tre anni.
Di fronte al numeroso pubblico, composto in parte da un consistente gruppo di amici ed estimatori sanbenedettesi fra cui il Sindaco ed il dirigente scolastico del liceo in cui Annibali insegna, il dr. Grassini ha prima presentato l’artista ed il curatore Flaminio Gualdoni al suo fianco e poi ha precisato che la mostra è il frutto di un progetto unitario pensato ed ideato per il Museo Omero, che peraltro possiede in collezione permanente ben 4 opere di Annibali, per cui ogni scultura è fruibile da parte dei visitatori vedenti e non vedenti, in quanto la terracotta – materiale ideale per una mostra tattile – può essere toccata ed esplorata con le mani.
Come ben osserva lo stesso Grassini nella prefazione del catalogo “Lasciamo che parli l’argilla. Con le mani di Paolo Annibali”, […] l’argilla è il materiale più antico e più moderno; contenuta nella citazione biblica cui si ispira il titolo della mostra, è morbida e duttile, ma diventa dura e resistente. Si lascia plasmare e modellare con facilità, ma poi sfida i secoli e i millenni consegnando le proprie forme agli uomini più lontani. E l’argilla è il simbolo del lavoro, della manipolazione creativa, del sodalizio indivisibile della mano con la mente. Contiene in sé una tecnica millenaria che avvicina l’uomo antico all’uomo moderno. Essa sembra proprio lo strumento ideale per Annibali, grande lavoratore della mano e della mente, capace di creare in pochi mesi un’opera così grande e così complessa, spingendo il pensiero ad esplorare i misteriosi meandri del destino umano… […] La Tyche, il caso, la sorte, il destino è il baricentro intorno al quale ruota tutta la complessa composizione di questa mostra… E Annibali è sospeso tra l’antico e il moderno. La consapevolezza della fragilità umana sembra spingerlo ad un’assidua ricerca delle proprie radici in un’antica realtà che sentiamo nostra e pur stentiamo a riconoscerci in essa.
E questa mostra è la metafora di un tal disagio…” Dopo il breve ma efficace intervento di Paolo Marasca, assessore alla cultura del Comune di Ancona,che esprime apprezzamenti convinti per le iniziative culturali e le mostre di spessore promosse in questi anni dal Museo Omero in una Mole oggi per tre quarti pienamente recuperata e fruibile come luogo ideale d’aggregazione socio-culturale e contenitore di eventi espositivi, Giovanni Gaspari, sindaco di S. Benedetto del Tronto e convinto estimatore dell’artista Annibali da almeno 40 anni, nonchè Ivana Iacchetti, responsabile cinema Regione Marche, mettono in rilievo il lungo percorso professionale, le realizzazioni di alto profilo qualitativo , la prestigiosa partecipazione alla “LIV Esposizione Internazionale d’Arte- Biennale – Padiglione Marche” proprio qui alla Mole Vanvitelliana, organizzata da Vittorio Sgarbi nel 2011, la complessa personalità artistica e la forte e coerente tempra morale dell’instancabile scultore marchigiano, suggellate perfettamente da questa significativa ed emozionante mostra che ne conferma la piena maturità.
A questo punto la parola passa al protagonista dell’evento, Paolo Annibali, il quale ringrazia anzitutto i relatori e tutti i presenti per l’atmosfera che s’è creata attorno al lavoro sulla mostra e poi apre un foglio con le sue note e considerazioni che legge velocemente: ” Per circa tre anni ho lavorato a questo progetto immaginando di voler segnare un bilancio della mia carriera di scultore. Ho voluto realizzare un gruppo di opere contraddistinte dalla coralità.
Sicuramente questo deriva dalla confidenza con la pratica della scultura monumentale che da sempre definisce la mia cifra stilistica. Ho cercato così di coniugare il linguaggio della scultura di grandi dimensioni con il racconto più intimo della mia condizione umana.
L’incontro con Aldo Grassini e Daniela e la profonda amicizia che ne è conseguita ha permesso di realizzare questa mostra, prova molto impegnativa per l’artista, in particolare per lo scultore che deve misurarsi con la fatica non solo della realizzazione delle opere ma con tutto ciò che concerne la loro temporanea fruibilità.
Oltre ai disegni la mostra è costituita da opere in terracotta, materiale arrendevole solo in apparenza che ha dettato da sempre i ritmi del mio fare. L’argilla, così superficialmente docile alle carezze delle dita, impone profonda conoscenza dei procedimenti e molta pazienza ; più che scultore mi sento costruttore… L’argilla non è solo l’arte del porre, ma anche della pressione.
La costruzione avviene anche dall’interno; le sculture in terracotta prendono vita dalla cavità interiore. Ho cercato anche di inserire altre opere, una piccola mostra introduttiva di disegni, appunti, cartoline e bozzetti che non sono mai stati esposti proprio per la loro indefinita dimensione e fanno parte del mio mondo più segreto.
Ho cercato di creare una serie di sculture che evocassero l’apparato decorativo di un tempio:le sculture frontonali, metope e acrotèri. Sculture senza tempio, senza l’architettura che avrebbe dovuto accoglierle. Si intuisce dalle posture, dalle storiette dei teatrini (più che metope sembrano presepi),un racconto senza miti né eroi ,in cui la mancanza del luogo, nell’incertezza dei gesti e nell’inutilità degli sguardi, diventa assenza di un possibile destino.
L’uso della terracotta, più che la scultura greca, ricorda la fragilità di quella etrusca, dove la vulnerabilità dell’esistenza era regolata da un senso oscuro della fortuna.
Nonostante la volontà di dominare consapevolmente l’opera, questa sceglie sempre una sua via, come un oracolo offre risposte diverse alle attese. Nonostante il senso di provvisorietà che avrei voluto raccontare con tutti i personaggi, le cinque sculture del frontone hanno assunto la fissità e la solennità di una forma assoluta di esistenza cristallizzata. Un monumento al nulla.
Ringrazio tutti gli amici che mi sono stati vicini per la realizzazione di quest’impresa, in particolare Aldo e Daniela, il prof. Gualdoni, mio fratello Gianni e mia moglie Anna che ha sopportato tutte le mie ansie degli ultimi tempi e non solo. Grazie a tutti.” Conclude infine la serie degli interventi il curatore della mostra, prof. Flaminio Gualdoni, il quale sottolinea che questa è una delle mostre rare di Paolo Annibali perché egli fin dagli anni ’80 ha scelto di non avere una carriera nelle gallerie private, anzi per l’occasione ha operato la scelta veramente anacronistica di una struttura pubblica di dimensione civile e comunitaria, ovvero ha voluto recuperare dell’antico non le forme immote ma soprattutto il senso centrale della scultura, qualcosa che un artista fa a nome e per conto d’una comunità esprimendo valori o ipotesi di valori condivisi, in un luogo dove l’intera comunità si identifica.
La concentrazione di Paolo in quest’occasione poggia su un’idea, ossessione di recupero in modo retorico di un modello antico: può ancora una figura classica, un corpo classico essere avvertito come un corpo sacro, può non essere iconografia di un dio? E’ una domanda, non un’affermazione, un tema che tutti i giorni ci poniamo.
Successivamente si passa al percorso espositivo che inizia con la visione di uno scenografico pannello modulare contenente disegni, schizzi e bozzetti inediti dove l’artista, seguìto ed attorniato per la visita guidata dal drappello di concittadini e da altri visitatori, intinge le mani nell’argilla fresca posta su un piedistallo, facendo notare come sia ancora morbida e malleabile prima di indurirsi.
L’allestimento realizzato dagli architetti Massimo Di Matteo e Mauro Tarsetti si articola in modo da fondere la fatica quotidiana del lavoro della scultura con la solennità delle opere finite, permettendo d’entrare nell’intimo repertorio dell’artista. Nell’ampia sala , sulla destra si possono ammirare 21 splendidi disegni a china, tra cui spiccano “Autoritratto”, “Disperdersi”, “Il mare lontano”, “Eva”; al centro e sulla sinistra, le sculture inedite con il gruppo di “acrotèri”: Cariatide, Hestia, La fine delle cose, Eroe sfinito, Maschere.
Quindi al piano sopraelevato si resta davvero sorpresi davanti al tempio con le 12 metope: singole scene teatrali incastonate in moduli di terracotta, racconti intimi e visioni da “Album di famiglia” a “Bambina che sogna il mare”.
Meravigliose, emozionanti e di sicuro impatto visivo le cinque grandi figure femminili del frontone, cinque donne còlte nei loro gesti quotidiani come truccarsi ,pettinarsi o specchiarsi.
Lo stupendo gruppo scultoreo, sospeso nella sua raggelante fissità su una tavola di acero, costituisce il fulcro di quest’acropoli contemporanea e vale da solo l’opportunità imperdibile di una visita emozionante e sicuramente stimolante per una riflessione sul mistero del tempo e della vita e sul significato ideale dell’Arte. Alla reception è disponibile un bellissimo e pregevole catalogo pubblicato da De Luca Editori d’Arte, con i contributi critici del curatore Gualdoni, di Erri de Luca, di Aldo Grassini, Presidente del Museo Omero e dell’artista Annibali, corredato dalle foto di tutte le opere in esposizione realizzate da Domenico Campanelli.
La mostra, promossa dal Museo Tattile Stale Omero, con il Patrocinio della Regione Marche, in collaborazione con l’Associazione per il Museo Omero ONLUS e gli sponsor tecnici Adriatica Legnami s.r.l., Cotto Santa Maria della Petrella s.r.l., Mobilificio Binni s.n.c., è visitabile fino al 15 febbraio 2015, con ingresso libero, dal giovedì al sabato ore 16-19, domenica e festivi ore 10-13 e 16-19, con apertura straordinaria per gruppi e scuole. Chiusa il 25 e 31 dicembre.
Per info, tel. 071. 2811935