BIODIVERSITA’ E GASTRONOMIA: UN VANTAGGIO PER LA SALUTE

in Enogastronomia

La FAO ha previsto che la popolazione mondiale passerà dai 7,7 miliardi del 2019 a 9.7 miliardi nel 2050 e che sarà necessario aumentare la produzione agricola del 50% per soddisfare la domanda di cibo, specialmente di carne e di trasformati a base di carne. Questa richiesta rischia di mettere in crisi la sostenibilità del sistema agroalimentare di molte nazioni, perché ridurrà le risorse naturali con le culture intensive e frammentazione dei territori, prima dedicati a coltivazioni più specifiche e di nicchia. Se non si riduce la spinta verso una alimentazione incentrata sulla carne e non si valorizza di più il comparto frutta e verdura ci sono serie difficoltà a mantenere il sistema agroalimentare sostenibile. Per questo la biodiversità sarà un requisito fondamentale per poter nutrire le future generazioni.

Dal punto di vista della biodiversità l’Italia è posizionata molto bene tra le nazioni occidentali del mondo. Uno studio recente dei ricercatori dell’Università di Salonicco (Mattas K. et al 2023) ha riportato il confronto tra il numero di piante, varietà e specie alimentari spontanee e coltivate, presenti nelle nazioni occidentali. Gli autori hanno concluso, numeri alla mano, che la maggiore varietà di piante tra tutte le nazioni, si trova in Italia. La Spagna segue l’Italia da vicino, mentre Algeria, Grecia, Libano e Malta sono al di sotto della media, calcolata su tutti i paesi. In termini di biodiversità di piante spontanee e coltivate, Belgio, Danimarca, Svezia risultano nei valori più bassi.

L’Italia ha pertanto, la maggiore diversiMà nella varietà di piante, coltivate e spontanee, confrontata con il resto delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. Questo vantaggio rischia di essere perduto se cittadini, politici e amministratori locali non sanno assegnargli il giusto valore e se si seguono solo i desideri della grande distribuzione organizzata.

Riflettiamo allora su cosa comporta nella gastronomia in generale e nella cucina di ogni famiglia il mantenimento di una ampia biodiversità. Due punti risultano evidenti a molti nutrizionisti.

a) Un primo punto è sicuramente un vantaggio nella “sostenibilità alimentare”, poiché biodiversità nei territori significa più opzioni gastronomiche in cucina e minore rischio di esaurimento dei prodotti freschi per la tradizionale dieta Mediterranea, che fa uso di poca carne e molta frutta e verdura fresca. La dieta Mediterranea sarà sempre più importante da trasmettere alle future generazioni non solo in Italia, dove la si conosce abbastanza, ma anche in altre nazioni, dove ancora si utilizzano diete troppo ricche di carne.

b) La seconda considerazione ci viene dal fatto che la biodiversità contrasta l’impoverimento di nutrienti. La diversificazione delle specie alimentari è considerata necessaria per evitare la malnutrizione causata da diete monotone. Benché la biodiversità consenta alla agricoltura di evolvere, creando con la ricerca genetica nuovi ibridi performanti su vari parametri di qualità, le specie coltivate continuano a diminuire. Soltanto il 10% delle varietà coltivate in passato è coltivato ora nelle fattorie. Molte varietà locali sono state rimpiazzate da un piccolo numero di specie non-native geneticamente migliorate. Si assiste pertanto ad un fenomeno paradossale, ovvero, malgrado il fatto che la monocultura abbia aumentato la disponibilità di derrate alimentari, l’uso di pochi tipi di derrate ha portato ad un impoverimento di nutrienti nella popolazione con ripercussioni sulla salute.

La biodiversità è infatti collegata alla salute pubblica per il maggior numero di nutrienti che garantisce rispetto alle diete monotoniche, quelle per intenderci dove si mangiano sempre gli stessi cibi tutti i giorni, che sono invece poco salutari. Per capire il valore dei due punti a e b sopracitati, procediamo per chiarezza con due esempi. Nel caso del consumo della foglia di bietola, se abbandonassimo la “bietolina sottile da taglio” per puntare solo sulla “bieta a costa bianca”, non avremmo più a disposizione la prima per frullati, vellutate, paste ripiene, poiche per questi piatti serve una bietola a foglie sottili con poca fibra; la bieta a coste non va bene per questi piatti, ma è utilissima per l’apporto di fibra. Mantenendole entrambe avremmo più opzioni gastronomiche e maggiore diversità nutrizionale. Ancora, se usassimo solo la lattuga romana ci priveremmo della gentilina, della trocadero o della scarola, che tra l’altro è invernale e resiste bene a temperature basse, seguendo una stagionalità diversa dalla lattuga ordinaria. Questo principio vale per tutti i vegetali, per i legumi e per i cereali.

Perché la grande distribuzione organizzata favorisce alcune cultivar e non altre? Perché sono meglio trasportabili, resistono nell’imballaggio e durano di più nella refrigerazione. Ma solo per questo vale la pena di perdere in nutrienti, stagionalità, qualità dei sapori e delle ricette possibili?

Un terzo aspetto, ben evidente agli agronomi e agli economisti agrari concerne il fatto che diversificando le diete e i vegetali coltivati o spontanei si supporta un diverso assestamento del terreno agricolo e si mitigano gli effetti avversi del clima sui tempi lunghi. La FAO insiste sul fatto che le diete dei popoli andranno viste in futuro sempre di più, sia sotto una ottica di quantità di produzione agroalimentare, che di impatto ecologico, in un sistema integrato.

In conclusione, perdere in biodiversità significa perdere in termini di quantità e qualità dell’alimentazione e dei nutrienti collegati ai vegetali: vitamine, sali minerali, polifenoli e fibra. Significa anche la perdita di territori dedicati a specifiche produzioni, nonché ai sapori e ai profumi che caratterizzano le diverse varietà. Questo spiega il perché, tanti ristoranti in Italia hanno accordi con aziende agricole che forniscono i loro prodotti nelle cultivar che lo chef e i clienti apprezzano: fagiolini, zucche verdi o gialle, rape, bietole da foglia e da radice, patate gialle, blu o rosse..ecc. Questo spiega altresì perché i ristoratori italiani all’estero si vantano di cucinare nel loro ristorante con verdure e prodotti che arrivano direttamente dall’Italia, sottolineando così il loro impegno a mantenere alta la tradizione e la qualità dei loro piatti. Nostro compito di cittadini è quello di sperimentare le varietà, essere curiosi, cercarle e continuare a chiederle per mantenere viva conoscenza e abilità nel loro utilizzo, nonché per valorizzare i territori, i sapori e gli odori della tradizione mediterranea.

Paolo Ninfali

Riceviamo e pubblichiamo un commento a caldo di GERVASIO ANTONELLI già ordinario di economia agraria università di Urbino Carlo Bo:

…complimenti per l’interessante articolo, che condivido pienamente. Hai fatto molto bene a sottolineare che l’Italia è il paese al mondo con la maggiore biodiversità alimentare (basti pensare alle oltre 500 varietà di ulivi, dei quali 70/80 in produzione), che rischia di essere persa se “cittadini, politici e amministratori non sanno assegnargli il giusto valore. Mi sembra molto interessante il collegamento che tu fai tra biodiversità, sostenibilità alimentare e ambientale, salute e sapori. Io se allagherei l’ambito del ragionamento anche ai cereali. Tu scrivi: “ Se non si riduce la spinta verso una alimentazione incentrata sulla carne e non si valorizza di più il comparto frutta e verdura ci sono serie difficoltà a mantenere il sistema agroalimentare sostenibile” vero, ma oltre al comparto frutta e verdura, c’è il comparto cerealicolo da considerare per la sostenibilità alimentare e per concorrere al soddisfacimento dell’alimentazione della popolazione mondiale. Mi sembra che per una proteina animale (bovino) siano richieste 7 proteine vegetali. In sostanza, se non si torna ai cereali aumenta la fame nel mondo e si compromette qualsiasi obiettivo di sostenibilità sia ambientale, sia alimentare. Ad allontanarci dalla sostenibilità alimentare e ambientale ci sono sicuramente le strategie della grande distribuzione, sempre più decisive nell’orientate la produzione e il consumo, ma anche un cittadino sempre più consumatore formato dalla pubblicità è lontano dal mondo della produzione agricola. Ti faccio un esempio. Ho la fortuna di avere vicino a casa una bancarella di un agricoltore di Velletri che qualche volta porta varietà di mele antiche; mi dice che nessuno le vuole e io sono il solo a comprarle; risultato: non le porta più. Non solo, a gennaio se entra in vigore la Direttiva Bolkestien il posto occupato sarà messo in gara e magari la gara sarà vinta da un prestanome di una grande catena della grande distribuzione.