Egidio Mengacci: il dialogo con la cultura della città
di Gastone Mosci
Il dialogo con Egidio Mengacci (1925-2000) è stato sempre particolarmente intenso perché ha segnato i miei momenti formativi più importanti, come la vita universitaria e le relazioni con Carlo Bo, il mondo giovanile della Fuci e l’insieme delle suggestioni condivise con don Italo Mancini, l’esperienza del Circolo Acli e la passione per l’incisione e l’editoria d’arte nella collaborazione con Valerio Volpini: questo dalla fine degli anni cinquanta a tutti gli anni ottanta. Successivamente la persona è stata vista nella sua “misura” urbinate: un poeta sempre più riconosciuto ed un cittadino di forte identità culturale. La mia comunicazione si svolge su questo crinale per raccontare quale era la sua cultura e la rete dei suoi collegamenti amicali, alcuni soltanto perché il suo mondo pullulava di incontri e di continue proposte. Voglio dire che Mengacci sapeva recepire qualsiasi informazione o “pensiero” che toccasse Urbino e la sua civiltà, e trasformare il tutto in sogno o in progetto in forte sintonia con Paolo Volponi.
In dialogo con Carlo Bo
Aveva uno sguardo intenso e pensoso: Egidio sembrava avere sempre accanto a sé un interlocutore “segreto”, quasi un “angelo custode”, al quale si sentiva sempre vicino. Lo ricordo, l’aria sospesa e il sigaro in mano per raccontare le sue invenzioni, e il magnifico rettore in poltrona, silenzioso, ad ascoltare con il toscanello in bocca. Questo rapporto particolare si legge nella presentazione che Carlo Bo scrisse per la prima raccolta di poesie, “Le carte” (1959), nelle edizioni della Scuola del Libro con le decorazioni disegnate dal direttore Francesco Carnevali: un possibile San Crescentino a cavallo ed un finalino ripetuto ad apertura e chiusura del testo poetico, tre carte intrecciate con il re di fiori, l’asso di picche e un tre di cuori .
Insieme a questo schizzo-ricordo di Egidio che si collega anche al profilo inciso da Bo della sua “gaucherie” – la sua prima maturità – nella promozione culturale, vorrei ricordare la sua prima esperienza politica e civile sotto due segni.
Nella Resistenza
La formazione culturale e umana ricevuta motiva la sua partecipazione alla Resistenza: non ha vent’anni e va in montagna per una scelta di libertà e di valori umani e politici. Successivamente si fa “romeo”, pellegrino lungo la Flaminia, per partecipare all’Anno Santo del ’50 a Roma. Inoltre, la sua spiritualità nel nome di Francesco d’Assisi lo pone, a metà anni cinquanta, fra i promotori della fondazione – poi presidente – del Circolo Acli di via Santa Margherita, inaugurato da don Primo Mazzolari in occasione di una sua predicazione urbinate per la Pasqua Universitaria, invitato dall’amico Carlo Bo.
Per restare nel contesto della cultura di Mengacci, va detto che le sue profonde consapevolezze acquistano la forma radicale di scelte di vita, di valore umano altamente motivato, agevolato dalla vita universitaria, suo luogo di lavoro e luogo di animazione culturale, ma anche luogo di dialogo promosso e sostenuto dal magnifico rettore in un’epoca di grande sviluppo dell’ateneo. Con la “nuova” università, Urbino torna ad essere un centro di grande attrazione culturale, anche perché nel Palazzo Ducale è sempre ospitata la Scuola del Libro (1925), già prestigiosa per i suoi incisori-docenti.
Dalla Città in forma di Palazzo alla Città dell’anima
La cultura rinascimentale ha nutrito Mengacci, che a lei si è ispirato per indirizzare la sua vita. Il Novecento ha riattraversato quel mondo, lo ha recuperato, valorizzato: la città ha promosso la rinascita architettonica, salvaguardato quella urbanistica, riorganizzato il paesaggio naturale e attivato una comprensione nuova di quella realtà umanistica e spirituale, perché si è entrati nella civiltà della polis, della democrazia, della cittadinanza sociale. La “città in forma di palazzo” del Castiglione è diventata la “città dell’anima” di Carlo Bo. Su questo fronte Mengacci organizza la sua operosità artistica, un impegno che caratterizza la sua mediazione culturale nella città per quasi cinquant’anni.
Va detto che la personalità del poeta si sviluppa lungo tutta la sua vita, dal primo libro d’artista per la sua poesia – quello della Scuola del Libro, del 1959 – all’antologia “L’anima e il vento” del 1996 e alla prosa di “Flaminio” del 1999 con interventi, nelle varie occasioni editoriali, sempre di Carlo Bo. Ma a Urbino dire poesia significa coniugare il foyer dei poeti con il laboratorio dell’incisione, il testo letterario con la calcografia, i fogli tirati nel torchio a stella con le confezioni editoriali magiche.
La Galleria dell’Aquilone
Alla fine degli anni cinquanta Mengacci fonda la Galleria dell’Aquilone a Valbona 75 in un’epoca d’intreccio di grandi progetti che rappresentano la nuova rinascita della città: Carlo Bo attiva la facoltà di lettere e filosofia nel 1956, il Premio Montefeltro domina la scena letteraria fino al ’68, il Comune affida il piano regolatore all’architetto Giancarlo De Carlo, il quale edifica il monumento del Novecento, il Collegio del Colle ai Cappuccini metà anni sessanta, diventano operose le leggi speciali per il restauro di Urbino, la Scuola del Libro si rinnova con i corsi estivi internazionali di grafica, i progetti editoriali e nella “Celebrazione del primo centenario dell’Istituto Statale d’Arte di Urbino” (1961). Leonardo Castellani pubblica la famosa rivista di acqueforti originali e testi letterari, “Valbona” (1957-61, tiratura 100 esemplari, 20 fascicoli in 8°). Segnalo anche due significative lauree ad honorem per l’editore Cino Del Duca e l’ing. Enrico Mattei (1962), vale a dire rapporti con Parigi e con lo sviluppo universitario nel campo scientifico.
In questo movimento di rinascita, Mengacci presenta una galleria d’arte di qualità, dove domina la grafica e dove vengono valorizzati gli artisti marchigiani.
Da Carnevali a Licini e Fazzini
Se il primo autore presentato è Francesco Carnevali, direttore della Scuola del Libro, i due che seguono sono il pittore Osvaldo Licini, subito dopo il successo alla Biennale di Venezia, e lo scultore Pericle Fazzini. L’attività culturale è rivolta anche alla letteratura, alla filosofia e al giornalismo: la sede della galleria è luogo d’incontri e di presentazione di libri. Mengacci pubblica accanto ai cataloghi delle mostre anche una collana di libri, mentre nell’ambito universitario nasce la rivista “Differenze”, seguita dai “Quaderni di Differenze”, sotto la guida di Livio Sichirollo, Pino Paioni e Giorgio Cerboni Baiardi, sostenuti dal filosofo Arturo Massolo, con la serie sperimentale presso la tipografia Bellucci, dei testi poetici di Ercole Bellucci, figlio del titolare (1958 e 1959). Già negli anni sessanta il progetto di “Differenze” si impone editorialmente e viene pubblicato da Argalìa: i libri sono collegati principalmente ai problemi urbanistici della città, a corsi universitari di filosofia, letteratura e teatro. In questa epoca di studi e di ricerca, legata anche alla Parigi del cinema della “nouvelle vague” e del “nouveau théȃtre”, dominano i “Nuovissimi”, Ginsberg, Senghor, la poesia e la grafica di Bompadre, l’urbanistica di De Carlo, una anticipazione del ’68 nelle proposte di comunicazione creativa di redattori non ancora trentenni come Gualtiero De Santi, Luciano Fabi, Zeno Fortini, Umberto Piersanti, Vitaliano Angelini e Floriano De Santi con le collaborazioni di Alberto Bernini e Giulio Giulianelli, della rivista di lettere e arti “Ad Libitum”, sei fascicoli in-8° dal giugno 1966 al luglio 1969 (Steu-Argalìa Urbino).
La promozione della grafica
La galleria d’arte di via Mazzini. un laboratorio di intuizioni culturali, si sposta nella nuova sede di corso Garibaldi 68 (dal 1963), sotto i portici del teatro, ma tiene ben visibile il cartello della grafica: in trent’anni vengono presentati, in più di cento mostre (fino al 1985), tutti gli incisori della Scuola del Libro. La scena artistica cittadina è dominata da Carnevali, Leonardo Castellani, Carlo Ceci, Renato Bruscaglia, Pietro Sanchini, Arnaldo Battistoni, personaggi che sono impegnati anche nella grande promozione culturale urbinate – gli artisti del Castellare del Palazzo Ducale vivono in sintonia con la città -, come il Teatro di Corte, le rassegne cinematografiche, il Premio Montefeltro.
Nell’animazione di Urbino si inseriscono autorevolmente i seminari universitari: nei primi anni sessanta il Centro Internazionale sul nouveau roman e lo strutturalismo poi Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica, direttore Pino Paioni, coadiuvato da Algirdas Julien Greimas, Roland Barthes, Claude Lévy-Strauss, Roman Jakobson, Christian Metz, Gérard Genette, Tzvetan Todorov, Ju.M. Lotman, Michel de Certeau, Umberto Eco, Paolo Fabbri -, ed anche il Centro studi diretto dal grecista Bruno Gentili sulla poesia e l’antico teatro greco.
Fra università e città
Intellettuali, linguisti, scrittori e docenti di chiara fama vengono continuamente a Urbino. Mengacci, che lavora nell’università accanto al magnifico rettore, si muove nei vari contesti di studio, attento a queste attività di prim’ordine e caratterizza la sua Galleria dell’Aquilone nell’indirizzo della “città dell’anima” di Carlo Bo, di Urbino “luogo di sperimentazioni giovanili”, come scrive il filosofo Italo Mancini, in linea con lo stile del mondo artistico e di studi matematici di tradizione rinascimentale e quello novecentesco del laboratorio d’incisione della Scuola del Libro.
Un luogo nuovo nel contesto italiano è il Centro Alti Studi Europei che viene fondato a Urbino nel 1978 per iniziativa di Bianca Tosco Iacopini, fermana d’origine ma docente legata all’università urbinate e a Carlo Bo. Questo istituto speciale svolge una intensa attività culturale e scientifica, legata all’Unione Europea. Bo ne è presidente e la Tosco segretario generale, Egidio Mengacci vi collabora direttamente per conto dell’università. Il suo compito riguarda l’informazione, la documentazione sulle problematiche europee attraverso la didattica pluridisciplinare e plurilingue, il rapporto con la cooperazione universitaria internazionale, l’organizzazione di convegni, seminari e pubblicazioni. Urbino può così esprimere concretamente la sua vocazione internazionale. Il Case viene riconosciuto dalla Commissione delle Comunità Europee e dal Governo italiano. La sede urbinate diventa il luogo di incontri partecipati e impegnativi: personalità politiche di governo, ministeriali, europee e della cultura fanno capo a Urbino. Vengono istituiti nuovi centri di ricerca e di documentazione, borse di studio per l’estero, seminari che coinvolgono le facoltà. Questo clima europeo di scambi con la Direzione Generale Cultura di Bruxelles, i corsi permanenti per docenti di lingua italiana all’estero, i gemellaggi con le università europee, un congresso mondiale dei poeti con sede a Firenze continuano fino a tutto il 1997. Sono stati venti anni di una notevole attività culturale e convegnistica che si è anche istituzionalizzata, per la quale Egidio si è speso con impegno, contribuendo all’immagine di Urbino città del Rinascimento e dell’Europa.
Con Albe Steiner, Valerio Volpini e Livio Sichirollo
Il dibattito in galleria, a seguito delle mostre di autori urbinati che frequentano con successo la Biennale di Venezia e le maggiori biennali internazionali d’incisione, si allarga dalla poetica dell’acquaforte e dall’opera incisa alla creazione del progetto editoriale e pubblicitario, alle nuove arti grafiche, alla figura del design con Albe Steiner, Valerio Volpini, Livio Sichirollo, ciò che oggi si è trasferito all’Isia, un’altra eccellenza artistica urbinate, come anche l’Accademia di Belle Arti.
La società che cambia trasforma la cultura e apre le porte al consumismo che tocca anche il mercato dell’arte. Urbino vive un’epoca di fiducia. I giovani che escono dalla Scuola del Libro partecipano con consapevolezza a tutte queste novità della società italiana: è finita l’epoca della ricostruzione post-bellica, si osserva concretamente il boom economico della fase industriale, è iniziata la società del benessere.
All’ombra della Scuola del Libro e nel campo della grafica d’arte, grazie alla animazione della Galleria L’Aquilone, un settore di fine artigianato artistico prende avvio visibilmente: il mondo delle stamperie e dell’editoria. Chi esce dall’istituto d’arte cerca un posto d’insegnamento oppure si dedica alla propria specializzazione – fare l’artista – oppure va a stampare le incisioni nel laboratorio più vicino per poi fare lo stampatore e successivamente l’editore d’arte. In questa promettente atmosfera urbinate un caso emblematico è rappresentato da un amico di Egidio Mengacci e di Paolo Volponi, Vincenzo Tiboni.
L’epoca delle Stamperie d’arte
Tiboni si diploma nel sessanta, nell’estate dell’anno successivo fa un’esperienza d’arte a Ginevra, nel 1962 conosce il mondo romano delle stamperie di urbinati intraprendenti: Emiliano Sorini, Franco Cioppi nella 2 RC per la nuova grafica, Alberto Caprini fine litografo di De Chirico nella Stamperia d’Arte Caprini, Renato Volpini è già nell’avventura milanese ed europea.
Nel 1963 Tiboni si dedica all’insegnamento in Sardegna poi nel Lazio e infine rientra a Urbino. Nel ’68 presenta la sua personale nella Galleria dell’Aquilone, con notevole successo: Paolo Volponi la porta a Ivrea al Centro Culturale Olivetti. Nel 1970 inizia la sua nuova avventura: apre la Stamperia Posterula a San Bartolo, nel 1971 si trasferisce a Ca’ Gnagno a San Cipriano, nel 1972 va in via Giannetto Dini 3, dal 1973 fino al 1975 alle Conce verso la Stazione, anno in cui finisce la collaborazione con il fratello Marcello, che lì apre la sua nuova Stamperia Santa Chiara, poi al Sasso, con un lavoro di qualità e progettazioni continue ancor oggi. Nel 1976 Vincenzo porta La Posterula in via Luca Pacioli 14, e dal 1977 è definitivamente nel laboratorio di via Sasso 67, dove dal 2000 si dedica alla scultura. La Posterula ha rappresentato spiritualmente la continuazione dell’attività della Scuola del Libro come stamperia, come editrice, come luogo d’animazione culturale anche per la città: il laboratorio era un infaticabile centro culturale. Chi lavorava altrove viveva la propria esperienza artistica con lo stesso spirito che aveva animato le aule di Carnevali, di Castellani, di Ceci (morto a Chiaravalle il 3 maggio 2013).
Gli stampatori
Dalla fine degli anni cinquanta, sempre in dialogo con Bartolini e Maccari, Walter Piacesi, il favoloso Torcoliere del Metauro, aveva il suo studio a Fermignano lungo il fiume, poi la stamperia sul colle di Ca’ Spinello. Renato Volpini a Milano lavorava nel cuore dell’Europa con la Stamperia Multirevol (’69-’85), in prima linea in quella capitale della cultura.
Piergiorgio Spallacci apriva in via Diaz a Pesaro, stamperia, scuola d’incisione, editrice e galleria nel 1969 con edizioni diffuse a Parigi. Questa appassionata storia editoriale d’arte è ora conclusa. A metà degli anni sessanta Luigi Corsini (Urbino 1937-2007) andava a Roma a specializzarsi alla 2 RC e dopo dieci anni si spostava a Brescia dando vita ad una stamperia, mantenendo vivi rapporti con Mengacci (Cat. A. Barretta, ab/arte, Brescia 2013).
Nel 1974 Giordano Perelli chiudeva la sua esperienza di torcoliere delle Edizioni della Pergola e attivava a Fano la stamperia e le edizioni “le nuove carte” (cento titoli finora). Nel 1976 la Stamperia GF di Gianfranco Bravi e Giuseppina Forlini apriva in via S. Chiara, poi si spostava al Sasso dove opera tutt’ora, raccogliendo l’eredità dell’operosità grafica urbinate, stampa e editoria, diffusa a livello internazionale.
Negli anni settanta, 1974, Egiziano Piersantini con il Gruppo Montefeltro, incisori urbinati alla diaspora a Varese, organizzava la stamperia “Lithobottega”, che serviva tutta la regione, poi ritornava a Urbino e, nel 1990, inventava la Corte della Miniera, un centro multiculturale per far apprendere e amare l’incisione e la grafica. All’inizio degli anni ottanta, Corrado Albicocco e Federico Santini, erano due urbinati ambasciatori della grafica nel Friuli, negli anni novanta separavano la loro attività. Albicocco si dedicava a Udine alle edizioni del “Tavolo rosso”, ai grandi incisori, all’editoria ed alla rivista “Prova d’artista”, direttore Roberto Budassi; Santini in rapporto con gli autori urbinati e Tonino Guerra pubblicava “Bon à tirer”. A metà degli anni ottanta a Urbino Oliviero Gessaroli, Gianfranco Ceccaroli e Ercole Bellucci davano vita per dieci anni alla strabiliante Stamperia Il Colle. Questa storia d’arte che è stata amata e protetta da Egidio Mengacci e da Carlo Bo continua in parte anche oggi, ma nel frattempo la Scuola del Libro ha lasciato il Palazzo Ducale ed ora opera principalmente nella sede di Villa Maria sulla strada di Montefabbri..
Accanto al gallerista opera l’editore
Nel cuore dell’operosità del gallerista Mengacci, vive il desiderio del libro e non solo delle bianche e invitanti plaquette quadrotte delle mostre – ad ogni artista la sua – che sembrano progettate dalla limpida grafica di Pietro Sanchini, ma nasce anche l’ambizione di legare la cultura dell’esposizione al pensiero critico più vasto per affrontare il capitolo dell’identità dell’artista e del suo rapporto con l’ambiente.
Le Edizioni della Galleria dell’Aquilone hanno promosso tre libri. Il primo su cinque artisti marchigiani del Novecento – fra i maggiori in Italia – che vengono esposti singolarmente intorno al 1962, “Bartolini, Carnevali, Fazzini, Monachesi, Scipione” (Steu, Urbino 1962). L’autore è Nicola Ciarletta, docente di filosofia morale, critico teatrale e d’arte, studioso autorevole, aquilano di nascita ma urbinate con l’avvento della facoltà di Lettere. Ciarletta pubblica un saggio introduttivo sulle Marche e la vitalità del popolo marchigiano: “C’è un po’ di tutto in questa vitalità che a volte si colorisce d’impulsi addirittura teatrali: c’è il giuoco innocente e il giuoco d’azzardo, l’impeto del grandioso e il giudizio del limite, il gusto dell’episodio e la volontà d’astrazione, lo sfogo dei sensi e l’ictus dell’intelligenza, la vocazione estroflessa verso una natura carica di promesse e l’effusione melodrammatica di un furioso egocentrismo.” (p. 5). Egli sottolinea anche il conformismo che si lega alla saggezza ed alla fiducia nella realtà, per cui volgersi all’arte vuol dire avvicinarsi alle cose con spirito artigiano e qualità d’invenzione. Ciarletta è invece inquietante e stimola al dialogo attraverso impressioni e giudizi martellanti sugli artisti presentati: per Bartolini “l’incisione è la poesia”, di Carnevali dice che il suo disegno ha sapienza e raffinatezza, di Fazzini che la sua scultura contribuisce alla perfezione prospettica del mondo, di Monachesi che i colori sono la sua forza d’attrazione, e che Scipione comunica il colore di Roma che la rende un fantasma nel barocco.
Un maggio epico della Garfagnana
La pubblicazione di un maggio epico garfagnino, “Re Filippo d’Eggitto”, a cura del docente Gastone Venturelli, rientra nelle iniziative editoriali dell’Università di Urbino (Stabilimento Tipografico “Bramante”, 15 ottobre 1974), ma è una emanazione delle iniziative di Egidio Mengacci nella sua tenuta di Ca’ Risciolo, un abitato medioevale nella zona delle volte del Mercatale. La rappresentazione di questo maggio si svolge il 25 agosto 1974 per opera di 14 Maggianti di Pieve San Lorenzo nella Garfagnana. L’opera è di generazione recente, non più legata ai riti propiziatori della primavera, manoscritto copiato da Giuseppe Spinetti (classe 1908), che canta in un dialetto toscano di base la lotta fra turchi e cristiani. “Il Maggio è uno spettacolo popolare tradizionale: una rozza tragedia in versi rappresentata da popolani, sovente da popolani composta. Ma esso è più di una tragedia: è la sopravvivenza di un antico rito.” (p. 13). Il volume è un saggio importante per l’ambiente culturale urbinate: accompagna il testo una ricca documentazione fotografica del luogo, dei cantori e del pubblico; recupera una poesia popolare trascurata, un immaginario di scene di vita della tradizione rurale; illustra l’intreccio fra pubblico e scena, attori in costume e strumenti musicali, il canto ed i gesti del racconto. Fra le luci di Ca’ Risciolo a mezzogiorno del sole agostano.
I Duchi di Urbino
L’altro libro delle Edizioni della Galleria dell’Aquilone è un’opera postuma dello storico Fabio Cusin, “La personalità storica dei Duchi di Urbino” (Stibu, 1970), con presentazione di Carlo Bo: elaborazione di un gruppo di lavoro in edizione ben impostata con immagini inedite. Si tratta di appunti di un corso universitario rielaborato poi in relazione nel 1946. La scelta pensante dell’editore Mengacci sta nel recuperare l’invito di un grande storico come Cusin ad allargare l’orizzonte degli studi rinascimentali e a spostare la ricerca locale su un fronte europeo, non storia romanzata ma storia d’analisi per la comprensione della realtà antica e vicina: i Montefeltro nell’élite spirituale italiana del XV secolo, come grandi costruttori di Urbino, interpreti, come sostiene Bo, della nuova civiltà.
“Si dice che l’opera di uno studioso non duri più di un decennio. Quando uno studioso muore, viene segnato anche il limite della sua nuova vita. Sarà poi vero? Proprio queste pagine di Fabio Cusin, morto nel 1954, sembrano voler smentire una sentenza così severa. Da notare che Cusin era uno storico e quindi si suppone che la misura dovrebbe essere ancora ridotta. La risposta sta ora al lettore. Per conto nostro siamo sicuri che ben poco o nulla sia caduto di questo discorso, anzi che esso si imponga per doti fin troppo evidenti di chiarezza e insieme di partecipazione.” (p. 6).
In cosa Cusin aiuta Bo a capire l’Urbino dei Montefeltro? O meglio come lavora lo storico e perché è credibile? Cusin è collegato con le ricerche di Rotondi e con le interpretazioni di Federico dei francesi e degli inglesi. Cusin convince Bo sui lavori architettonici e urbanistici di Federico: passare dalla rocca al palazzo, alla costruzione ispirata dall’Alberti, da Laurana, da Francesco di Giorgio Martini, alla Città ideale, cullata da Piero della Francesca e da Luca Pacioli. La storia di una famiglia diventa esercizio creativo di una corte inedita e rete di rapporti e di scambi di codici e di idee, di oggetti votati alla bellezza. La tesi dello storico: “I duchi di Urbino hanno costruito la personalità storica di un piccolo centro…”, significa aver realizzato un’operazione spirituale che guida a un’epoca nuova, in una nuova politica con al centro l’uomo nella sua libertà. La libertà non è una concessione è una conquista ed una resistenza. Questo rinnovamento spirituale è nutrito dal misticismo ed è un’età dell’oro rivolta alla pace, come insegnava Vittorino da Feltre al giovane Federico di Montefeltro. Nella corte ducale serpeggia la tensione di una utopia politica che interpreta la Città ideale. La pittura di Piero e dei sostenitori della prospettiva propone l’utopia della Città ideale, racconta le nuove domande che introducono al cambiamento: una città operosa, attratta dal lavoro e dalla bellezza, una “città armoniosa” (come Péguy amava la città a fine Ottocento). Tutto sta nel Palazzo Ducale, che rappresenta la continuità, la dimora dei cittadini, il luogo della bellezza, ed Egidio Mengacci si trova sulla linea rossa della modernità, nel dialogo con la città aperta agli uomini di buona volontà ed alla cittadinanza.
Gastone Mosci
La poesia d’azzardo di Egidio Mengacci
di Germana Duca Ruggeri
L’opera poetica di Egidio Mengacci, “il più estroso e indipendente” dei giovani poeti urbinati usciti dalla bufera della guerra, come ebbe a scrivere Carlo Bo, si dispiega nell’arco di mezzo secolo, fra il 1947 delle Prime poesie e il 1996 de L’anima e il vento, la raccolta del congedo, posta al centro del nostro incontro.
Il libro – con dedica al padre, prefato da Bo, edito dalla Stamperia dell’Arancio di Grottammare, aperto da parole di ringraziamento per Fabio Ciceroni, Riccardo Lupo, Vincenzo Tiboni ed arricchito da alcuni disegni – riunisce il meglio di Mengacci. Vale a dire il meglio di una scrittura in versi e di una voce che, pur sembrando appartate, nella sostanza puntano in alto, si proiettano verso l’infinito.
L’anima e il vento, a ben vedere, è una auto-antologia, dove una ventina di inediti coabitano con un’ampia selezione di poesie edite, tratte dalle Carte pubblicate nel 1983 e nel 1959, fino a risalire a una terna di poesie di argomento religioso – Preghiera, Quadretto, Venerdì Santo – salvate dalle prove iniziali (1947-1952). Il libro offre ai lettori una retrospettiva e nel medesimo tempo una prospettiva, quasi fossero le sue pagine la sintesi del testamento spirituale dell’autore. Il lascito di una vita spesa non solo per l’arte, (si pensi al successo ventennale della Galleria L’aquilone, da lui fondata e diretta) ma anche per la poesia.
Una poesia d’azzardo, verrebbe da dire; che, fuori dall’ordine razionale delle cose, si arrischia a inseguire la vitalità della coscienza, attratta da echi soprannaturali, con visioni, ora frammentate ora unitarie, dell’essere umano e dell’universo.
Tale percorso, sostenuto da parole e ritmi scelti con cura, costruzioni talvolta elaborate, verbi a contrasto, metafore, mentre rispecchia fedelmente l’estro e l’indipendenza del poeta, esalta la varietà e la libertà della sua ispirazione. Che spazia dal movimento della Parola e dell’Eco alle mosse del destino, come succede nel gioco del carachè, una specie di riffa, che suscita negli appassionati sensazioni molto simili a quelle che si provano quando si sfida la sorte con la poesia.
Ma per Egidio Mengacci, il solitario, vi è anche una fonte di ispirazione che trascende le esperienze e le emozioni e va a coincidere con la ricerca di Dio. Ovvero con l’incontro dell’Altro da sé, con la scoperta degli Altri, in frangenti a volte tragici, a volte felici; nella realtà dei sentimenti o, come accade nel testo che dà il titolo alla raccolta, nell’immaginario, con l’anima e il vento in volo sopra il Mondo.
Il poeta si azzarda, nondimeno, a presagire la fusione dei viventi con il Creato, sullo sfondo di una Natura che, a dispetto di tutte le aridità, non solo ha le sue Oasi, ma ci incanta con la sua multiforme bellezza. Quasi fosse desiderosa di farci pregustare, stando alla verità racchiusa nel poema di Egidio Mengacci, <<l’avvento di=”” un=”” regno=”” d’amore=””>>. Quel regno d’amore che, per non soccombere alle crescenti paure, anche noi vorremmo azzardarci a credere possibile.
Germana Duca Ruggeri
L’ANIMA E IL VENTO
Se il vento asseconda la sua corsa
Alla linea curva degli ondulati colli
– L’ago della bussola fermo
Alla retta direzione – l’anima guarda,
Dilettandosi, alla mèta prefissa,
Dove giungere snella come il Vento
E insieme cogliere se pur diversa e sola.
Tutti gli aspetti di varietà che il Mondo
A lei svela ed effonde in mille spiegamenti
Riverberati di luci traverse.
Decollata da un umile foglio,
Campo d’aviazione di carta,
Sul filo dell’eco ti ergi
E vai, Parola,
Sgorgata appena,
A percorrere infiniti spazi infiniti…
INTIFADA
Come il sangue dei Cristiani nelle arene
Quello che sgorga dai corpi martoriati
E bagna i corpi grondanti delle vittime
E cade poi nella sabbia insanguinata
Raccogliamolo in urne, unguento sacro!
L’ANGELO DELLA RESURREZIONE
Nella Sindone del Tempo
Si essiccheranno tutte le piaghe
Dell’umano martirio…
Diamo
Credito
All’Angelo
Della Resurrezione!
SERENATA
Bianca voce al Cielo, alata
Porta un’ansia di sperata
Carità…
Alba bianca: serenata
Si protrae, recando al giorno
Nuovo canto di pietà!
Segue il programma:
UNIILIT – Università Libera Itinerante
Collegata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Circolo Acli – Centro Universitario
Conversazioni di Palazzo Petrangolini
Vivarte – www.urbinovivarte.com
www.fanocitta.it
www.prourbino.it
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Poeti d’Urbino 3
Egidio Mengacci
poesia e grafica
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Mercoledì 8 aprile 2015 ore 16,30
Piazza Rinascimento 7 – Urbino
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Saluto di Sergio Pretelli, Presidente Unilit
Coordina Gastone Mosci
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Silvia Cuppini
Egidio Mengacci: la Galleria dell’Aquilone
e la Scuola del Libro
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Germana Duca Ruggeri
Lettura di testi da L’anima e il vento (1996)
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Raimondo Rossi
Carlo Betocchi e Egidio Mengacci un giorno a Urbania
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Michele Gianotti
Egidio Mengacci in tv
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Mostra delle pubblicazioni di Egidio Mengacci
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Mostra di fotografie e materiale iconografico
Ingresso libero
Poeti d’Urbino è una iniziativa dell’Unilit.
Ercole Bellucci (1937-1997)
Zeno Fortini (1939-2010)
Egidio Mengacci (1925-2000)
Questo terzo incontro si collega alla presentazione del volume
Le Carte “poetiche” di Egidio Mengacci (Edizioni Fermenti 2014)
a cura di Gualtiero De Santi, Rettorato Università, 26 febbraio 2015.
Egidio Mengacci è uno dei poeti del Quadrilatero di Carlo Bo.