IL BIANCHELLO DEL METAURO TRA GEOGRAFIA, STORIA, SIMBOLISMO
Il Bianchello del Metauro tra geografia, storia e simbolismo
di Sergio Pretelli
Il Bianchello del Metauro della Provincia di Pesaro e Urbino è la sintesi felice di una lunga storia dei bianchi o dei biancami ottenuti dalla spremitura dei grossi grappoli d’uva verde dorata, imparentata col Trebbiano della confinante Toscana.
Battaglia del Metauro
Ne hanno scritto i romani Plinio e Tacito, attribuendo al vino locale la disfatta del punico Asdrubale nella battaglia del Metauro (207 a.C). Con la caduta dell’Impero Romano si perdono le notizie di questo vitigno. Per ricomparire nei Monasteri con la diffusione del monachesimo del basso medioevo, diffuso lungo il Metauro, favorendo il lento ripopolarsi delle campagne. Un vino bianco acidulo, aspro, considerato come alimento e come tale si diffonde per tutto il medioevo, puntando sulla quantità. Il vino buono, raro, si beve in qualche Cenobio, dove si legge, si fa ricerca e si coltiva la vite, spinti dal salmo “il vino allieta il cuore dell’uomo”.
Nel Rinascimento
Il salto di qualità avviene nel Rinascimento. Nelle feste di Corte, con la qualità del cibo si apprezza e si esalta la buona fragranza del vino. Non potendola esigere dai contadini, agronomicamente impreparati, si allestisce la cantina nel Palazzo Signorile. Con l’addetto al vino.
Nel Palazzo ducale di Urbino c’erano botti enormi. Il cantiniere ci stava dentro in piedi a scrostare il tartaro, per la pulizia della botte.
Nelle campagne si diffonde il contratto di mezzadria. Il mezzadro ha diritto alla metà dell’uva. Vinifica male perché punta sulla quantità. I proprietari più facoltosi seguono la prassi della Corte ducale. Si fanno portare, dal mezzadro, l’uva a casa, nella loro cantina, curando personalmente la loro vendemmia.
Nelle cantine contadine
Quindi sia nelle cantine contadine che in quelle dei padroni, nascono tanti biancami (termine generico usato anche nella vicina Umbria – Sergio Anselmi-), diversi da zona a zona, anche da podere a podere. Nelle annate buone nelle campagne, ma soprattutto nelle città e nelle osterie, i produttori invitano a bere il loro vinello o Bianchello, apprezzato per il gusto asciutto, vivo, fragrante dal colore tra il giallo paglierino e il verdignolo, che spalina (frizzo soave) e si beve con una sensazione di leggerezza, anche per la sua gradazione alcolica che oscilla in genere tra gli 11 e i 12 gradi.
Da vino popolare a prodotto di qualità
Associato al prodotto di quelle uve appese ad appassire al soffitto delle cucine o dei magazzini, è il Vin Santo. Anche questo diverso da casa a casa, legato alla passione e alla cultura del produttore. Un nettare, un liquore secco con un sottofondo di aromi e profumi che si conserva a lungo, per tanti anni.
Utilizzato nelle ricorrenze particolari: per le puerpere, nelle malattie gravi, nelle grandi feste. Così il vino, oltre l’aspetto alimentare e quello liturgico, assume anche un aspetto terapeutico, taumaturgico.
La crisi dei cent’anni
Con lo spopolamento delle campagne, il vitigno del Bianchello sembrava destinato a scomparire. Invece benemeriti pionieri di Diciotto Comuni del Metauro della Provincia di Pesaro e Urbino, custodi delle tradizioni della loro terra, lo hanno recuperato, amato e rilanciato.
L’epoca nuova del Doc e del Vinitaly
Tanto che 50 anni fa ne hanno ottenuto la Denominazione di Origine Controllata (DOC), curato le caratteristiche organolettiche, fin nei particolari, come da sapienza e tradizione. Ottenendo un prodotto eccellente, internazionalmente conosciuto, come conferma l’export crescente e oltre il milione di bottiglie prodotte nel 2018. E dai due premi nazionali conseguiti al Vinitaly di Verona (Aprile 2019) che registra il sorpasso storico qualitativo del Bianchello del Metauro sul suo parente nobile: il Verdicchio della Marca anconitana (Carlino, 9 aprile 2019). Contribuendo al riequilibrio della produzione tra uve bianche e uve nere che Bruno Ciaffi, nel 1952, indicava essere nella provincia pesarese-urbinate, del 35 per cento di bianche e del 65 per cento di nere.
Sergio Pretelli