Recensione del libro di Raoul Paciaroni: Una lunga scia di sangue la guerra e le sue vittime nel sanseverinate (1943-1944)
Questo libro sulla Resistenza presente nella cittadina di San Severino Marche si caratterizza per diversi punti di forza. Nell’esaminare l’arco temporale intercorrente tra i giorni immediatamente successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943, fino al 1° luglio 1944, che segna la fine dell’occupazione tedesca, i fatti accaduti vengono presentati attingendo ad una ricchezza di fonti, frutto di una scrupolosa attività di ricerca. La ricostruzione dei fatti si avvale, oltre alle versioni delle parti, vale a dire il Movimento della Resistenza e la Guardia Nazionale facente capo alla Repubblica Sociale Italiana, anche delle testimonianze private e del ruolo, spesso centrale, della Chiesa cattolica. Ne esce fuori una narrazione che incolla il lettore a vicende lontane, in un progressivo incalzare di fatti sanguinosi, la cui memoria deve essere mantenuta e custodita, in quanto i fatti raccontati fanno parte del patrimonio storico della Comunità cittadina.
L’autore del libro ha cercato di valorizzare i ritratti storici dei vari personaggi, molti dei quali sono rimasti uccisi con l’accadere degli eventi, curando l’approfondimento dell’ambientazione, in modo molto simile a quel che avviene nella cura del soggetto e della sceneggiatura di un film, con la piccola e grandiosa differenza che non ci si trova niente affatto con una finzione scenica, ma con una tragica realtà. Il ruolo della fortuna, per esempio, il fatto di trovarsi nel posto giusto o in quello sbagliato, ha segnato l’esistenza di queste persone e dei loro familiari, che spesso non sono riusciti ad accettare l’immenso dolore della scomparsa dei loro cari. Ma il libro non si ferma al 1° luglio 1944, che ha segnato la fine di un incubo ed il ritorno alla normalità, ma continua con l’elencazione delle vittime civili della guerra, di coloro che sono rimasti feriti o uccisi dagli ordigni bellici, tristi eredità della Seconda Guerra Mondiale.
Per un Paese come il Nostro, che ha sempre un grande problema legato alla Memoria, la conoscenza di questo periodo storico è di fondamentale importanza. Per questa ragione, ne raccomando la lettura e la più capillare diffusione, soprattutto rivolta alle giovani generazioni.
Massimo Cortese
Il programma “Passato e Presente” diretto da Paolo Mieli e prodotto da Rai Cultura, in occasione della Festa della Liberazione 2021 dedica una puntata alla storia della Banda Mario, formazione partigiana attiva nelle Marche e composta da combattenti di varia nazionalità e appartenenza religiosa.
La puntata “Il Battaglione Mario” sarà in onda venerdì 23 aprile su Rai3 alle ore 13:15 e in replica su Rai Storia lo stesso giorno alle ore 20:30.
Il programma è stato realizzato anche con il contributo dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani nel reperimento di materiali e di testimonianze. Si ringrazia in particolare la Sezione ANPC Marche, l’On. Adriano Ciaffi e l’Archivio Storico Eni per la collaborazione e il materiale fornito.
Il “Battaglione Mario”: una formazione partigiana attiva nelle Marche durante la Resistenza e diventata una forza “internazionale”, costituita da ex prigionieri alleati, slavi ed ebrei. Ma non solo: nelle sue file entrarono anche africani, eritrei ed etiopi, protagonisti di un’odissea cominciata ancora prima della guerra.
Una storia che la professoressa Isabella Insolvibile e Paolo Mieli ricostruiscono a “Passato e Presente”, il programma di Rai Cultura in onda venerdì 23 aprile alle 13.15 su Rai3 e alle 20.30 su Rai Storia, che ospita anche lo storico Matteo Petracci, esperto della storia del “Battaglione Mario”.
Tutto ebbe inizio il 9 maggio 1936, quando Mussolini annuncia la nascita dell’Impero. Negli ambienti fascisti, inebriati dalla vittoria, si fece strada l’idea di realizzare una Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare a Napoli, per esibire la supremazia italiana nei territori del Corno d’Africa. Aree e padiglioni espositivi saranno dedicati all’Albania, al Dodecaneso, alla Libia e all’Africa Orientale.
Vennero ingaggiati anche settanta sudditi coloniali, tra eritrei ed etiopi, da esporre in un villaggio indigeno, ricostruito per l’occasione.
La Mostra si aprì il 9 maggio 1940, in occasione del quarto annuale dell’Impero, ma, poche settimane dopo, l’Italia entrò in guerra.
Gli inglesi interdirono il passaggio attraverso il canale di Suez e la piccola comunità africana resta bloccata in Italia.
Divenuta un peso per i responsabili della Triennale, la comunità vebbe trasferita a Villa la Quiete, un ex campo di prigionia fascista, nella provincia di Macerata. Il 28 ottobre 1943, il “Battaglione Mario” – comandato da Mario Depangher – assaltò la Villa per recuperare armi e aprire le porte del campo.
Una decina di ex sudditi coloniali decise in quell’occasione di unirsi alla formazione partigiana per andare a combattere, insieme, i nazifascisti.