Paolo Volponi e le sfide del Novecento
M. Laura Ercolani pubblica un libro molto interessante su Paolo Volponi e Adriano Olivetti, “Paolo Volponi. Le sfide del Novecento. L’industria prima della letteratura” (Franco Angeli 2019), il rapporto dello scrittore con l’industria e con l’Italia del secondo dopoguerra. Nella ricerca della Ercolani, domina l’idea di un personaggio che nel dialogo fra letteratura e politica riesce ad impostare un umanesimo utopico, un auspicio delle responsabilità a tutto campo. Ne parla Maria Laura Ercolani. La cronaca di Gastone Mosci e Federico Scaramucci su un incontro urbinate.
Laura Ercolani su Paolo Volponi e Adriano Olivetti
Giorgio Londei ha organizzato un incontro molto interessante su Paolo Volponi nella sede di Urbino Capoluogo. Tema ormai di dominio pubblico: Le sfide del Novecento. Altro sottotitolo: L’industria prima della letteratura (Franco Angeli 2019). Autrice e presentatrice del libro M. Laura Ercolani, studiosa di letteratura, urbinate, da sempre studia e scrive su Volponi, anzi abita anche a due passi da casa sua, dall’altra parte dell’antica via San Polo: lo incontrava quando ritornava a Urbino, poi parlava sempre con Giovina Jannello ed ora si sente, da finestra a finestra, con Caterina, che nella casa di famiglia sta organizzando un centro studi con materiali autografi del padre. (Lascio da parte tante notizie anche dolorose per stare in tema.) Primi anni cinquanta iniziano rapporti di lavoro con Adriano Olivetti, 1956 è chiamato a Ivrea, 1966 direttore capo del personale, 1971 esce dall’Olivetti, 1972 chiamato da Umberto Agnelli per alcuni anni, seconda metà anni 70 settori Arte Rai, anni 80 parlamentare alla fine dimissionario per malattia. Questo itinerario dell’industria olivettiana e l’altro ma sempre d’interesse nazionale sono in dialogo con la letteratura e con la propria creazione letteraria. E’ stato poeta e narratore di grande efficacia: aveva di fronte a sé il mondo e il cammino e il futuro dell’uomo. L’industria prima della letteratura è la tesi della Ercolani, che ha già scritto su Volponi parlamentare e politico come anche sul narratore e sul poeta in vari seminari urbinati al Convento San Bernardino e nel Circolo Acli. L’urbinate Ercolani ripropone il Volponi del grande sistema italiano ed europeo nella sfida socialista e spirituale di Olivetti, nella sfida capitalista di Agnelli e della Fiat e nella sfida gramsciana della moderna sinistra europea: di un intellettuale che non è propenso al liberalismo. Muore nell’epoca della fine delle ideologie e della caduta del Muro di Berlino. Ma – aggiungo – direbbe Carlo Bo che la sua scrittura è sostenuta dalla poesia, da una visione mediterranea di dialogo delle culture e della bellezza, un insieme rappresentato dalla centralità dell’uomo, che non è mai solo, né una singola unità, ma che vive nell’insieme della terra e dello spazio, luoghi veri da conquistare. La sua pista storica è l’Appennino, il suo appennino contadino ma anche le porte dell’Appennino e del cammino della civiltà lungo le pendici e i fiumi che collegano il Sud con il Nord, il Mediterraneo con le pianure verso l’Atlantico polare. Quando si ascolta una dotta ricerca e conversazione si è sollecitati ad allargare la riflessione ed entrare nella testimonianza di altre esemplari esperienze di lavoro: con contributi ben delineati dell’imprenditore Gianfranco Bruscoli di Fermignano, del sociologo della sanità Ferruccio Giovanetti del Montefeltro, dell’industriale Enrico Loccioni del Loccioni Group e di Federico Scaramucci su Volponi e la politica a Urbino.
Gastone Mosci
Paolo Volponi fra letteratura , industria e politica
di M. Laura Ercolani
Volponi e il Novecento. Paolo Volponi è certamente lo scrittore più rappresentativo del Novecento non solo perché ne ha vissuto intensamente gli anni centrali – 1924/1994 – e li ha raccontati nei romanzi, ma perché lo ha indagato nelle sue pieghe più nascoste, scoprendone le dinamiche profonde. E del Novecento ha conosciuto e studiato il fenomeno più rilevante e caratterizzante, l’industria.
Il rapporto di Volponi con il suo tempo è stato antagonistico, di sfida: con il suo lavoro nell’industria, prima, e come intellettuale e politico, dopo, ne ha combattuto gli aspetti negativi e ha smascherato la vera realtà, indicando le responsabilità e denunciando i poteri forti e nascosti che impedivano la realizzazione di una società migliore e più giusta.
Fin dall’adolescenza, esplorando le campagne, i fossi delle Cesane e i vicoli della città era rimasto colpito dalla sofferenza di animali, piante e di esseri umani causata in gran parte dalla natura, ma spesso dagli uomini stessi. E fin da allora aveva sentito l’ impulso profondo, che avrebbe dato senso a tutta la sua vita, di combatterla, di fare di tutto per contrastarla se non eliminarla, per migliorare la vita di tutti gli esseri viventi.
Volponi e l’Olivetti.
Volponi è partito da Urbino per andare a lavorare nell’industria; ha scelto di lavorare nell’industria. L’industria era, secondo lui, il sistema produttivo adatto alla società moderna, l’unico in grado di produrre beni a basso prezzo per migliorare la qualità della vita di molti. Gli appariva “bella” e “buona” – come ad Albino Saluggia protagonista di Memoriale – perché produceva molto e dava lavoro a molti.
Ma quando la conobbe dall’interno, quando vide il terribile lavoro degli operai nelle officine ne rimase profondamente impressionato: quel lavoro fatto di gesti sempre uguali, rigorosamente uguali perché studiati come i più veloci, migliaia di volte al giorno, tutti i giorni, gli parve disumano, indegno di un uomo.
L’Olivetti, dove fu assunto da Adriano e, dopo alcuni anni di esperienze al Centro-Sud, nominato direttore dei Servizi sociali, era un’industria all’avanguardia per tecnologia e welfare in Italia e nel mondo; Camillo Olivetti, il fondatore, e il figlio Adriano si erano impegnati fin dall’inizio per realizzare una impresa socialmente responsabile, attenta al capitale umano, alla comunità esterna e al territorio. Avevano visto, in America, i pesanti effetti delle grandi industrie meccaniche intorno a Chicago e Detroit: responsabili degli effetti negativi le industrie avrebbero dovuto non solo intervenire a sanarli, ma avrebbero dovuto svolgere al contrario, un’azione positiva impegnando parte dei profitti in interventi esterni a favore della comunità e dell’ambiente.
Attenti alla qualità del prodotto e alla qualità del lavoro, ma ugualmente attenti al profitto – al pari degli altri industriali perseguirono il massimo profitto e realizzarono profitti altissimi per l’eccellenza e l’innovazione continua dei loro prodotti: ciò che li distinse fu la destinazione dei profitti che dovevano ricadere non solo sulla fabbrica, ma sulla comunità esterna e su tutto il territorio – , gli Olivetti non potevano non utilizzare la moderna organizzazione del lavoro sempre più perfezionata nella direzione della catena di montaggio che raggiunse la massima efficienza negli anni sessanta/settanta; cercarono in tutti i modi di attenuarne la disumanità, ma non poterono modificarla in modo sostanziale. Curarono il capitale umano, migliorarono la qualità della vita fuori e dentro la fabbrica, ma non poterono intervenire nella organizzazione del lavoro.
L’impegno umano e sociale degli Olivetti non era solo filantropia: precisione nella finitura di un pezzo e nel montaggio, vivacità nell’invenzione di nuove soluzioni tecniche richiedevano mente libera da preoccupazioni e buona salute fisica e mentale, fiducia nella fabbrica e condivisione degli obiettivi e tutto ciò gli Olivetti realizzarono concretamente, ma a Volponi dirigente dei Servizi sociali ben presto apparve chiaro che il disagio profondo che molti lavoratori manifestavano – nevrosi, assenteismo – era proprio conseguenza del tipo di lavoro che svolgevano.
Restituire al lavoro frammentato delle officine la dignità di un lavoro complesso, senza tuttavia rinunciare al profitto divenne un obiettivo irrinunciabile. Ma finché rimase ai servizi sociali Volponi non poté fare altro che seguire le linee di Adriano. L’opportunità di fare di più si presentò quando fu nominato Direttore del personale, ma non vide il compimento del suo progetto perché nel 1971, alla vigilia della sua nomina ad Amministratore delegato,dopo un duro scontro con il presidente Visentini, lasciò l’azienda.
Questo evento divise sostanzialmente in due parti la sua vita.
Volponi sconosciuto.
Del lavoro di Volponi come Direttore dei Servizi sociali e soprattutto come Direttore del Personale sapevamo poco e in termini molto generali. Volponi, uscito dall’Olivetti e successivamente, dopo una breve collaborazione, dalla Fondazione Agnelli, ha parlato molto in interviste, incontri, articoli, di sé e del suo lavoro di intellettuale, ma dei grandi progetti maturati in Olivetti a contatto con psicologi e sociologi non ha parlato mai; esistono solo tracce, indizi, testimonianze di stretti collaboratori.
Tante domande sulla sua carriera in Olivetti e sulle sue scelte dopo l’uscita dal mondo industriale erano senza risposta:
Volponi ha seguito puntualmente le direttive di Adriano da cui come dirigente dei Servizi sociali dipendeva direttamente e con il quale era costantemente in contatto – ma le relazioni erano solo orali e non ne è rimasta traccia – rinunciando totalmente a ideali e progetti suoi? Come possiamo pensare che un uomo dal pensiero robusto, dalla personalità forte e dalla straordinaria capacità immaginativa sia rimasto totalmente nell’ombra del pensiero altrui? Volponi era repubblicano, amava il lavoro concreto, l’analisi precisa della realtà; Adriano era socialista e portato più alla filosofia che alla tecnologia: quale fu, a livello profondo, al di là dell’ammirazione sempre mostrata, il pensiero di Volponi su Adriano?
Come si spiega la straordinaria carriera di Volponi che dai Servizi sociali è arrivato alle soglie dell’Amministrazione delegata?
E ancora. Perché tante rotture nella sua vita? E’ uscito dalla Olivetti, dalla Fiat, dal Consiglio di Amministrazione Rai, dal Pci: fu irrequietezza, insofferenza di situazioni mutate e non gestibili secondo i suoi progetti da cui, come la volpe alla quale per via del suo cognome si sentiva affine, doveva assolutamente uscire a costo di lasciare la zampa nella tagliola; o coerenza con valori di fondo irrinunciabili?
E infine, come era arrivato a schierarsi a fianco del Pci , seppure come indipendente, lui, individualista convinto, illuminista in ritardo – così si definì – ammiratore degli eretici capaci di affermare il proprio pensiero contro il pensiero dominante a costo della vita; avverso a ogni totalitarismo e a ogni omologazione anche a quella prodotta dai mass-media e dal mercato; avverso a ogni violenza, tanto più alla violenza di classe? di quale comunismo parlava Volponi?
Ragioni della ricerca
Per rispondere a tante domande era necessario ripercorrere fin dall’inizio le esperienze, gli incontri, i pensieri , la vita interiore, per quanto possibile, del dirigente industriale prima che scrittore e politico urbinate colmando le lacune delle biografie che privilegiavano l’aspetto letterario, sempre appoggiandoci a testi autografi o assolutamente attendibili.
Non è stato facile.
Tanto è il materiale relativo alla seconda parte della vita di Volponi per i numerosi articoli scritti da lui stesso e interviste fatte a lui, incontri pubblici e saggi nei quali di volta in volta e in modo frammentario si racconta, che l’evoluzione del pensiero si perde; scarso, al contrario, o addirittura assente il materiale relativo alla prima parte della vita. Volponi, come abbiamo detto non ne parlò, piuttosto ricordò e celebrò Adriano come suo maestro ed esempio per tutti gli imprenditori non solo d’Italia, ma del mondo.
Nella vasta produzione di memorie degli olivettiani ciascuno ripercorre con orgoglio la propria esperienza in Olivetti, ma di Volponi e del suo contributo all’azienda c’è appena qualche traccia. E’ stato necessario ricorrere a testimonianze di stretti collaboratori a lui legati da ammirazione e sincera amicizia, testimonianze certe e autorevoli.
In ogni caso per lo stretto legame di Volponi con il suo tempo è stato indispensabile calare nella storia e attentamente contestualizzare ogni esperienza, ogni scelta, ogni progetto.
Tutti importanti sono i tanti temi di riflessione che ci propone Volponi, ne presentiamo due che riteniamo fondamentali.
Un umanesimo fondato sul lavoro
Il lavoro, proprio e altrui, è stato centrale nella vita e nel pensiero di Volponi. Scriveva poesie e romanzi e contemporaneamente lavorava moltissimo: “a testa bassa”, disse di sé ricordando quegli anni in Olivetti; e i colleghi si meravigliavano per la sua capacità di lavoro. Era vero, ma non era tutto: lavorava a testa bassa, ma col pensiero andava oltre, elaborava progetti , non poteva fermarsi alla gestione dell’esistente, era sempre proteso verso il futuro.
Il lavoro Volponi lo conosceva bene, a cominciare da quello della fornace di Urbino, quello duro degli operai che lavoravano l’argilla con le mani e quello altrettanto duro del padre che tirava avanti la piccola azienda di famiglia fra notevoli difficoltà.
Conosceva il lavoro delle campagne e quello degli artigiani delle botteghe che spesso si fermava ad osservare durante il suo gironzolare per i vicoli. Questo soprattutto lo affascinava. Era il lavoro che impegnava l’intelligenza, l’esperienza, la capacità progettuale di fronte a problemi concreti; che produceva oggetti completi e utili; che creava relazioni con gli altri e contribuiva a migliorarne la vita. Era un lavoro di immediata soddisfazione.
Così avrebbe dovuto essere ogni lavoro: qualificante, libero e liberante, non da schiavo, mezzo di realizzazione delle proprie capacità e aspirazioni, occasione per migliorare sé stessi e contribuire al progresso di tutta la società.
Il lavoro era per Volponi un valore umano e sociale, non una condanna: non la liberazione dal lavoro, ma la liberazione del lavoro, anche ai livelli più bassi, anche nelle officine, era l’obiettivo da perseguire.
Lavoro e innovazione
Non solo la mole di lavoro è da apprezzare in Volponi, ma la sua innovatività e il nuovo che introdusse nella azienda, sempre nello spirito del fondatore, si dimostrò efficace e duraturo: trasformò i Servizi sociali da servizi di assistenza economica e sanitaria in servizi di formazione e crescita della persona; convinse i sindacati dell’importanza di superare le rivendicazioni economiche e di lottare invece per la riqualificazione del lavoro e della vita personale: il riconoscimento delle 150 ore di lavoro retribuite per lo studio sarà una conquista delle contrattazioni sindacali per tutti i lavoratori nel 1973. Riorganizzò la Direzione del personale portando sotto la sua responsabilità un totale di 24 mila dipendenti – tanti erano negli anni sessanta – e trasformò la Direzione del personale in Direzione delle relazioni aziendali: era il superamento di una concezione verticistica del rapporto fra dirigente e dipendenti verso un rapporto di tipo sistemico, di collaborazione e reciproco arricchimento fra tutti i lavoratori. E’ una concezione molto attuale della valorizzazione della intelligenza diffusa nell’ambito di una azienda.
Allo stesso modo in previsione della nomina ad amministratore delegato elaborò un progetto di riorganizzazione dell’Olivetti non più eurocentrica, ma policentrica con il riconoscimento dell’autonomia progettuale e della responsabilità gestionale di ciascuna consociata. Infine incaricò due suoi giovani collaboratori di visitare le più avanzate aziende d’Europa e d’America per esplorare le possibilità del superamento della catena di montaggio. Federico Butera al ritorno animò un gruppo di lavoro che sperimentò il nuovo sistema delle isole di montaggio. Era il 1973, Volponi era già uscito dall’Olivetti.
Unico strumento, la cultura
L’Olivetti raggiunse livelli di eccellenza ancora insuperati nei Servizi sociali diretti da Volponi e si riprese velocemente dalla crisi che stava attraversando, dopo la morte di Adriano, quando egli fu nominato Direttore del personale.
L’unico strumento di cui si servì fu la cultura.
Promosse una intensa attività culturale. Nell’ambito dei Servizi sociali essa era incentrata nella ricchissima biblioteca dove si svolgevano corsi di studi, conferenze, mostre, dibattiti; come Direttore del personale potenziò scuole, attivò corsi di formazione per tutti i livelli: operai,quadri ,dirigenti.
L’alto livello di cultura generale e tecnica e il dinamismo psicologico, operativo e collaborativo raggiunti permetteranno all’Olivetti – negli anni di De Benedetti – di convertire la produzione da meccanica ad elettronica in tempi brevissimi: e questo è un altro lascito importante di Volponi all’Olivetti da non sottovalutare.
Era convinto che la cultura dovesse essere fondamentalmente cultura umanistica volta alla formazione della persona, aperta a una visione globale del mondo; che le conoscenze tecniche fossero pericolose se non fondate su una solida base umanistica, sul rispetto per l’uomo, per la società e la natura.
La cultura promossa da Volponi come dirigente industriale e come intellettuale è aperta, condivisa, non è strumento di potere, né dentro né fuori della fabbrica, non resta patrimonio privato, ma diventa patrimonio pubblico e opportunità di crescita per tutta la società; è libera, non bloccata da dogmi, principio d’autorità, idee dominanti; non dà risposte, ma suscita interrogativi, ricerche, confronti; è liberante perché permette a ciascuno di comprendere sé stesso e il mondo in cui vive, di partecipare secondo le proprie possibilità al progresso comune. E’ dinamica, aperta sempre a istanze nuove, muove egualmente dall’alto e dal basso e rende possibile un reale dialogo fra due che si intendono perché sanno capire l’uno le ragioni dell’altro e sanno vedere al di là degli interessi privati il bene comune.
La vera cultura è la base della democrazia.
Utopista o anticipatore?
L’andamento attuale delle cose, la crisi generale, il diffuso bisogno di cultura, di energie e intelligenze aperte e generose con le quali affrontare in collaborazione le sfide locali e globali ci permettono di comprendere e di affermare che Volponi non fu un utopista, ma un grande anticipatore.
Urbino, 3 marzo 2020
M. Laura Ercolani
Note biografiche dei presentatori del libro su Volponi
Giuseppe Berta è docente di Storia Contemporanea presso l’Università Bocconi di Milano, in particolare si è dedicato alla Storia dell’Industria. Tra le numerose pubblicazioni: Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la comunità. Roma, Edizioni di Comunità, 2015 e L’Italia delle fabbriche, il Mulino, Bologna, 2009.
Federico Butera, sociologo, ha lavorato in Olivetti dal 1962 al 1973, prima presso l’Ufficio Ricerca e Selezione Laureati, successivamente come Direttore dell’Ufficio Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione dipendente dalla Direzione del Personale di Paolo Volponi. Ha lasciato l’Olivetti nel ’73 per divergenza di idee con l’Amministratore delegato. E’ professore emerito di Sociologia dell’Organizzazione e Presidente della Fondazione IRSO da lui fondata. E’ autore di numerosissimi testi, saggi e articoli, I frantumi ricomposti: struttura e ideologia nel declino del taylorismo in America, Marsilio, Venezia, 1972 è stato tradotto in 7 lingue.
In programma:
. conferenza del prof. Ilvo Diamanti organizzata dall’Università “Carlo Bo” di Urbino.
– Presentazione presso la Memoteca “Montanari” di Fano.
-Partecipazione al Salone del Libro di Torino per iniziativa della Regione Marche.
-Presentazione presso la sede dell’ISTAO di Ancona.tutte le date sono incerte a causa dell’epidemia di coronavirus.