Vino senza solfiti: la nuova frontiera del gusto
Vino senza solfiti: la nuova frontiera del gusto
Era il 1977. Ricordo che girando nelle cantine sociali dell’Emilia per collaborare da chimico neolaureato all’analisi chimica dei vini, la frase più comune che sentivo era: “Senza solfiti aggiunti la vinificazione non è possibile”. Non tardai a capire che l’uso dei solfiti risolve molti problemi agli enologi. Il sodio solfito (E221), bisolfito (E222) e l’anidride solforosa (E220) selezionano i lieviti che svolgono la fermentazione alcolica uccidendo gli altri nocivi; in seconda istanza, i solfiti funzionano da antiossidanti, impedendo l’ossidazione dei pigmenti che imbrunirebbero il vino; infine, favoriscono la precipitazione dei tannini e dei composti più pesanti, riportando la limpidezza in pochi passaggi di decantazione e filtrazione.
I solfiti sono coadiuvanti tecnologici utili nella stabilizzazione e conservazione dei vini, ma hanno delle controindicazioni per la salute dell’uomo. L’OMS ha fissato il limite massimo giornaliero in 0,7 mg per Kg di peso corporeo. Ciò significa che una persona di 70 Kg può assumerne fino a 49 mg giornalieri. La legislazione italiana ha fissato la concentrazione di anidride solforosa a: 150 mg/l nei vini rossi; 200 mg/l per bianchi e rosati. Nei rossi dolci con zucchero superiore a 5 g/l, la solforosa può arrivare fino a 200 mg/l; per bianchi e rosati dolci è ammessa fino a 250 mg/l. Nei vini biologici, la dose si abbassa a 100 mg/l per i rossi secchi e 150 mg/l per i vini bianchi secchi.
Questi limiti di legge vanno compresi dai consumatori che devono agire con prudenza, perchè altri alimenti contengono solfiti e alla fine della giornata si può avere un accumulo significativo da varie fonti alimentari. La prudenza è necessaria perchè ci sono persone sensibili che appena bevono vino solfitato, percepiscono emicrania, nausea e vomito, oppure scatenano reazioni allergiche cutanee o bronchiali.
Sono tornato a interessarmi di vinificazione negli anni 2000, quando mi hanno affidato l’incarico di docente di Biochimica Industriale al corso di laurea in biotecnologie a Fano e ho compreso che il vecchio teorema degli anni ’70 era caduto. I tecnologi alimentari e i biochimici, dopo aver studiato i pericoli dell’accumulo di solfiti, hanno iniziato a valutare la possibilità di procedere nella vinificazione industriale senza solfiti aggiunti, sfruttando il fatto che una quantità di solfiti viene naturalmente prodotta dei lieviti della fermentazione alcolica. Ovviamente tutta la filiera deve essere controllata, dalla raccolta all’imbottigliamento. Uve sanissime e selezionate, contenitori e tubi di trasferimento perfettamente igienizzati, controllo costante nel processo di fermentazione.
Nel 2017 in qualità di docente di Biochimica della Nutrizione sono stato invitato dalla Associazione Italiana Sommelier, sezione Marche (AIS Marche) attraverso il delegato AIS Urbino Montefeltro, Raffaele Papi, ad un incontro presso la Cantina Bruscia di San Costanzo. Ho partecipato con piacere, insieme a giovani borsisti, dottorandi e neo laureati in Biologia della Nutrizione, per mettere a disposizione le nostre conoscenze e per conoscere attraverso la grande esperienza dell’enologo Giancarlo Soverchia, il procedimento di filiera per realizzare un vino senza solfiti aggiunti. Nell’incontro, il sommelier Raffaele Papi ha presentato vini delle cantine Bruscia, Giusti, Podere Santa Lucia, Terracruda, Strologo e Monticino Rosso. E’ stato un incontro di notevole interesse per noi, in quanto abbiamo capito “sul campo” la difficoltà di realizzare questi vini e la necessità di una collaborazione più stretta tra università e aziende del settore per avere prodotti sicuri dal punto di vista microbiologico e organolettico, ma nello stesso tempo con il minimo di additivi. Dai valori di anidride solforosa ammessi dalla legge si capisce, con un semplice calcolo, che un vino dolce convenzionale, che possiede 250 mg/litro di solforosa, già con un bicchiere da 200 centimetri cubici supera la quantità giornaliera consigliata dall’OMS; mentre, con un vino rosso bio, che ha 100 mg/l di solforosa, una persona può permettersi fino a mezzo litro al giorno, ovvero un bicchiere pieno a pranzo e uno a cena. I vini bianchi e i vini dolci vanno controllati nella quantità assunta perché necessitano di più solfiti. Ma il vino senza solfiti aggiunti a quale valore di solforosa arriva? Quanto se ne può bere in un giorno? In genere un vino naturale rosso arriva a 30 mg/l di solforosa, mentre un vino bianco raggiunge i 60 mg/l. Da questi valori è chiaro che la quantità di solfiti consente una maggiore libertà nel consumo, tenendo sempre conto del grado alcolico che rimane uguale con le sue limitazioni. Non è mai giusto eccedere, ma è bene mantenere la capacità di gustare un buon vino in compagnia di amici facendo le dovute attenzioni al grado alcolico. Concludo dicendo che la legge obbliga i produttori a scrivere in etichetta:“il vino contiene solfiti”. In questo modo si pensa che abbia il massimo di legge, mentre magari il produttore è stato parco nell’aggiungere i solfiti. Pertanto se la concentrazione reale di solfito fosse riportata in etichetta, questo aiuterebbe il consumatore a mantenere un rapporto di fiducia con l’azienda, premiandone la trasparenza.
Paolo Ninfali
già Docente di Biochimica della Nutrizione
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo