La nuova incisione della Podgornik e della Sperindio
Irene Podgornik e Michela Sperindio, urbinate la prima e sanmarinese la seconda, rappresentano l’ultima generazione del laboratorio di via Giro del Cassero, l’arcinota Scuola di Grafica, diretta da Giovanni Turrìa e Gianluca Murasecchi, docenti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino e fra i più autorevoli incisori italiani che si dedicano al bulino e all’acquaforte.
Questi due professori dell’incisione svolgono anche un intelligente ruolo di animazione all’interno dell’Istituto Nazionale per la Grafica in relazione alle professioni dell’incisore ed alle strategie di relazione con le stamperie d’arte.
Turrìa e Murasecchi sono promotori di tante iniziative editoriali e di attività di ricerca e di sperimentazione sull’incisione contemporanea a Urbino e in collaborazione con altre Accademie di Belle Arti. La Podgornik e la Sperindio si sono formate in questo ambiente urbinate molto operoso e stimolante, hanno anche partecipato ad esposizioni nazionali nell’ambito delle Accademie di Belle Arti ed hanno percorso un loro itinerario di formazione in questi ultimissimi anni, espongono dieci opere ciascuna: l’urbinate ha vinto una borsa di studio per un torchio calcografico della SCM press di Brendola in Vicenza, la Sperindio ha frequentato corsi di xilografia giapponese a Edimburgo in Scozia. La Podgornik si dedica alle tecniche calcografiche, acquaforte, acquatinta, puntasecca e manieranera, e presenta anche un’opera di grande formato, “Indagine”, un lenzuolo m. 1,00×25.00, china e cera, 2013; la Sperindio presenta xilografie di grande e medio formato, immagini di lunghi paesaggi. La mostra di Fermignano si svolge in un suggestivo palazzetto antico vicino alle rapide del Metauro dell’ex lanificio Carotti, un luogo che sta molto a cuore al sindaco Cancellieri, che firma anche i due Cataloghi. (Gastone Mosci)
I.Podgornik, Serie “Lacrime di Ra, dimore di suono”, acquaforte. 779 K
(Per Irene Podgornik)
Ho iniziato a sciogliere la perfezione,
per questo ti ho fatto venire.
Il nome, sai, è scritto sulle cose.
Non piangere.
Il brusio, senti? è ricordo d’infinito.
Guarda senza temere, entra
nel groviglio: scoprirai
il cristallo, l’ordine delle linee
che si sgranano sull’equilibrio
mai fermo, nel tutto ove ogni singolo
ha voluto annullarsi.
Resta, memoria
di un tempo senza origine.
Mariarita Stefanini
L’abbraccio dell’acquaforte
Irene Porgornik addiziona segni ed entra nel sistema di una grafia che tende al nero, si trova all’interno del paesaggio e cerca di destrutturarlo, di scomporlo. L’orizzonte è dominato da una visione notturna, l’azione si muove nella notte e sembra provocare una sospensione della memoria.
La poetica del buio, della notte predispone a cercare un mondo sconosciuto, ad intraprendere un viaggio pieno di misteri, dove la sua strada non è segnata: è un andare oltre. La prospettiva organizza invece la visione di Irene: è centrale, con un unico punto d’osservazione. Il suo foglio mostra le vibrazioni del segno, sembra diffondere la sonorità del volo dell’ape, sottolinea la tessitura della sua laboriosità. L’incisore è preso dalla perfezione dell’arnia segnata dall’acquatinta, dalla puntasecca e dalla manieranera. Il mistero domina questo lavorio del segno.
(Giovanni Turrìa)
M. Sperindio, “Serie Nibes” – viola, xilografia. 3839 K
(Per Michela Sperindio)
NUBES
Vento ad alta quota, direzioni confuse da una parte all’altra
filamenti bianchi densi di cristalli ghiacciati e traslucidi.
Questi sono i cirri, nuvole chiare che si stemperano nel cielo.
Bianchissimi perché baciati dal sole, colpiti da una luce quasi accecante,
diversi per dimensioni e forme
i cumuli, come tanti piccoli grumi, grigiastri se nascosti all’ombra in compagnia
o persi nella loro solitudine
sovrastano la corrente del loro percorso che va su diritto al cielo.
Come un pendolo che oscilla senza mai fermarsi si somigliano ai nostri umori.
Mutevoli, vaganti e anonimi: sono gli strati di nuvole.
Vestiti con un cappotto grigio e addosso un viso scuro, i nembi carichi di pioggia
fanno piangere il nostro cielo.
Quanta vita e quanto spazio esiste sopra noi.
Lo osservo e mi perdo e so che alla fine quel posto è anche il mio.
Martina Piras
I filamenti della xilografia
Michela Sperindio sottrae segni alla sua costruzione per giungere al bianco, crea atmosfere sospese nei suoi paesaggi. Si ancora alla sua superficie e ne riproduce la monotonia. Sorvola il mondo che l’attrae e realizza l’anatomia del paesaggio. Cattura la corrente del vento che la porta ad innalzare il suo punto di vista e la sua concezione diventa aerea, mutevole, leggera.
La Sperindio cerca il segno che goffra la carta, la spinge in alto, affronta la strada che vuole intraprendere. La sua è una trama aerea perché il segno è gestuale. La sua provenienza da San Marino le offre l’idea della prospettiva, l’orizzonte allargato. La sua visione si sviluppa in tante direzioni, come in una dissolvenza diffusa in tanti filamenti, visioni solari, densità atmosferiche in una luce permanente. Mi fa pensare ad una luce nuvolosa, zenitale che domina dall’alto, cosmica: la luce di Virgilio Guidi dalla tonalità fredda tra il nuvoloso e lo stratificato. La luce della fiducia domina lo sguardo della Sperindio. (Giovanni Turrìa)