Cà Bernardi Miniera
Cà Bernardi La Miniera

C’ERANO UNA VOLTA LO ZOLFO E … i solfari

in Città

C’ERANO UNA VOLTA LO ZOLFO E … i solfari

di Angelo Sferrazza

“La chiostra ove sta il zolfo e irregolare or retta si prolunga, or tortuosa si restringe, s’allunga…”

 

Cà Bernardi Miniera

 

Così si legge in un poema arcadico pubblicato nel 1759 a Cesena da Cesare Masini. Era ancora il tempo in cui letteratura, poesia e scienza non si erano separate e l’umanesimo la faceva da padrone, anche se per poco… Il poema del Masini è il racconto dello “zolfo” in Romagna e nelle Marche, dove dal cesenate al fabrianese si trovavano numerosi giacimenti di quel non–metallo, un tempo addirittura considerato sostanza demoniaca, ma che i pragmatici romani usavano già per scopi bellici. C’è ancora zolfo sotto terra da quelle parti? Ufficialmente no. Intorno agli anni ’50/’60 si “stabilì” che era esaurito e che le miniere dovevano essere chiuse, anche quelle siciliane, pur sapendo che l’Isola è assieme gli Stati Uniti e il Messico, terra ancora ricca di zolfo. Delle miniere romagnole e di quelle marchigiane di Perticara e Cabernardi, restano ora scheletriche infrastrutture esterne e il ventre della terra violato dalle gallerie. Intatta però la memoria del lavoro e del sacrificio degli uomini, degli zolfatari, che per un lungo tempo sono discesi in quelle gallerie e di ciò che ha rappresentato lo zolfo per quelle zone in termini economici, sociali e culturali, così come nello sviluppo dell’industria chimica italiana ed europea.

 

Le solfonarie fra Pergola e Cagli
Conoscere la vita degli zolfatari marchigiani è come entrare in un epos, un grande racconto, una leggenda, sempre che la discrezione e la riservatezza della gente di quei luoghi lo consentano. Il ricordo delle miniere, chiuse da più di mezzo secolo, Cabernardi (ufficialmente 1959) e Perticara, “ultimo carrello” 1964, è stato recuperato, con intelligenza, ma soprattutto con orgoglio, ricostruendo nel 2005 un percorso storico-museale dal medioevo a metà del secolo scorso: il ” Parco museo minerario delle miniere dello zolfo delle Marche”. Una storia quello dello zolfo che ha radici lontane come lo testimoniano alcuni documenti, da una pergamena del 1047 che si trova nell’Archivio Arcivescovile di Ravenna ad un manoscritto del 1149 conservato nel convento di Fonte Avellana che parla di “solfonarie” fra Pergola e Cagli e poi dal ‘500 memorie e testi più “scientifici”, come il “De re metallica” (1530) dell’umanista e scienziato tedesco Georg Bauer (Giorgio Agricola) o di cronache locali come le Istorie dello Stato di Urbino” (1642) dell’Abate Vincenzo Cimarelli. Lo zolfo marchigiano “entra nel mercato” nel momento in cui nasce l’industrializzazione e i multiformi impieghi dei suoi derivati richiesti in vari settori. Nell’ottocento lo sfruttamento dei giacimenti diventa sistematico ed organizzato: lo Stato unitario si avviava a fare dell’Italia un Paese in concorrenza con le altre grandi nazioni europee. La prima concessione di Cabernardi è stata data a due tedeschi Bauer e Deinhard, a cui subentrano altri concessionari italiani. Nel 1917 arriva la Montecatini che, in regime monopolistico, dominerà tutto il settore estrattivo, la trasformazione e la commercializzazione, dalla Sicilia al Montefeltro, con tecnologie avanzate, rigida gestione del personale, metodi innovativi e all’apparenza “filantropici”, ma con esclusive logiche di mercato. Le zone limitrofe alle miniere subiscono una profonda trasformazione, da rurali divengono industriali; si conosce per la prima volta lo stipendio mensile!

 

Il polo minerario delle Marche

Nasce un vero e moderno polo industriale, con il suo indotto, forse l’unico nelle Marche dopo quello cantieristico di Ancona e in minor misura cartiero di Fabriano. Matura al contempo una coscienza sindacale: il primo sciopero nel 1920 dà i primi, concreti e positivi risultati, soprattutto sul piano delle condizioni di lavoro. I dati sono tutti in salita, il numero dei minatori è sempre più alto, così come, ovviamente, la produzione. Si arriva alla seconda Guerra Mondiale, lo zolfo serve ancora e come. Nel ’43, dopo l’armistizio dell’otto settembre, i tedeschi e le forze di Polizia della RSI occupano le miniere. Arrivano purtroppo anche i bombardamenti. Da ricordare quello di Bellisio Solfare del 10 giugno del ’44 che fa 32 vittime, 18 adulti, 8 bambini di un asilo con 4 suore e 2 militari tedeschi. Pochi giorni prima, nella notte fra il 4 e 5 maggio il drammatico eccidio perpetrato dai nazifascisti a Monte S.Angelo di Arcevia. A guerra finita tutto cambia, nel ’46 si riprende, ma la richiesta di zolfo precipita anche per la scomparsa dell’industria bellica, appaiono nuove tecniche di estrazione, desolfizzazione del petrolio e soprattutto la concorrenza statunitense: il destino è segnato.

 

La fine di Cabernardi
Ancora una volta i minatori cercano di resistere e lo fanno, ostinatamente da marchigiani, con la famosa occupazione della miniera di Cabernardi del 28 maggio al 5 luglio del 1952, che ebbe risonanza nazionale e che spaccò l’opinione pubblica. Ma questa volta i minatori debbono cedere: pensione anticipata, trasferimenti in Romagna, nel ferrarese, a Pontelagoscuro o la via del Belgio, Charleroi. Niente di nuovo sotto il sole! La miniera chiude definitivamente nel 1959 e con essa scompare uno straordinario pezzo di storia di quelle terre, ma anche dell’economia marchigiana. I due Musei di Perticara, Sulphur e Cabernardi fanno rivivere le emozioni e la memoria di quel tempo, duro, difficile, ma straordinario. (Angelo Sferrazza)