Muro di Berlino, trenta anni dopo: il resoconto di Angelo Sferrazza

in Costume

IO BERLINO EST/OVEST E IL MURO

Venti luglio 1959. Fano, Bologna, Hannover, Berlino. Ora è facile, ma non in quegli anni, non per i trasporti, ma per la “politica”. Per andare da Hannover a Berlino via terra si doveva attraversare la DDR e per farlo c’erano tre “corridoi”, Monaco, Hannover ed Amburgo. L’Italia non riconosceva la DDR, lo fece solo nel 1975 e quindi era necessario un visto speciale del Ministero degli Interni. Non era facile averlo perché le nostre autorità dovevano “indagare” e solo dopo le Questure autorizzavano al viaggio il cittadino italiano. Ricordo, sul mio primo passaporto un timbro rosso a tutta pagina dove si leggeva “ il signor Angelo Sferraza è autorizzato a transitare nel territorio della così detta DDR”. Si indicava il “corridoio” e guai a non farlo, perchè poi intervenivano pesantemente i tedeschi della DDR. Per me era il primo viaggio all’estero. Avevo vinto una borsa di studio del Senato di Berlino (Ovest). La guerra era finita da quattordici anni, non tanti da cancellare i ricordi di un ragazzino di nove anni che aveva vissuto i momenti tragici 43/44 e che dei tedeschi ricordava solo divise e paure. Anche se nella nostra costa adriatica ormai erano presenti in massa, specialmente le ragazze, terrore delle nostre madri! No, no, una tedesca no!. Non era in Germania che avrei voluto fare il primo viaggio, ma come i giovani di allora negli Stati Unititi, in America, conquistati non solo dai “liberatori”, ma dalla lettura di Alexis de Tocqueville e di scrittori americani, Hemingway, Faulkner, Steimbeck o Parigi. Ma il viaggio in Germania, riconosco oggi, fu educativo, come quello dell’anno successivo, precedente la costruzione del muro. Pensavo che avrei visto una Germania, distrutta, con rovine e “punita”, ma svegliandomi la mattina in treno dopo un viaggio notturno, turbato dagli ordini dei ferrovieri nelle diverse stazioni che mi ricordavano altri ordini, scoprii una Germania ricostruita e avanzatissima, rispetto a noi. Viaggio in pulmann attraverso la così detta DDR e qui era come entrare in un altro mondo, tutto era grigio, povero, arretrato. Niente auto, campagne con pochissime e antiquate macchine agricole. E questo era niente rispetto alla differenza fra la Berlino sotto controllo franco inglese statunitense, con quello russo. Fummo ospitati in una splendida villa nella zona di Wansee, ma nessuno ci disse che quella villa era appartenuta ad una famiglia ebrea e solo molti anni dopo ho scoperto che a poca distanza c’era la villa dove si era tenuta nel ’42 la riunione per la “soluzione finale”. Non fu facile a me, ma anche agli altri giovani, francesi, belgi, olandesi liberarsi dei ricordi. Ma poi l’attenzione si spostò ad est. Eravamo nella contemporaneità e la porta di Brandeburgo, da dove cominciava il settore russo, era lì a dimostrarcelo. Alle nostre spalle colori e vivacità, davanti ai nostri occhi grigiore e abbandono, una Unter del Linden senza più alberi, deserta. Entrammo nella zona sovietica senza problemi, bastava mostrare il passaporto ai militari di guardia. Palazzi cadenti, silenzio, solo poche persone frettolose e vestite modestamente, qualche rara “Trabant”, la macchina che ha fatto la storia delle grandi fughe. Nel caldo luglio ci fermammo a guardare le vetrine di rari negozi. Rimanemmo sconvolti: in quella di un venditore di carne, vedemmo un brulicare di vermiciattoli bianchicci. Facile fare dell’anticomunismo, di confronti fra la superiorità fra i due sistemi. Non era certo sul consumismo che si doveva fare. Era la paura della gente che colpiva, lo sguardo spaurito, il grigiore dello spirito. A ovest la Kurfursterdamm, la Kude come la chiamano i berlinesi, vetrina dell’ovest, vivace, piena. di giovani, voluttuosa esca per i poveri della zona Est. Cosa insopportabile per il prussocomunismo del duro Walter Ulbricht. Nel ’61 nella notte del 15 di agosto, scende la saracinesca del muro, il Berliner Mauer che era iniziato come semplice filo spinato, ma che subirà “miglioramenti” fino a diventare una insuperabile barriera di cemento e tecnologia di 155 chilometri, un mostro bicefalo di lager e gulag. Iniziarono le fughe,molti ci riuscirono, ma molti furono i morti centinaia, migliaia i feriti, non si sa quanti gli arrestati. La Stasi non perdonava. Fra le prime fughe immortalata da una foto, fu quella di Conrad Schumann, un vopos che superò con un balzo la barrirera di filo spinato armato, con l’elmetto e la divisa quasi identica a quella della Wermacht. Dopo la costruzione del muro, sono ritornato varie volte a Berlino e l’ho visto crescere insieme all’irrigidirsi delle procedure, anche per gli stranieri, di valicare il mitico, ora diventato museo, Charlie Checkpoint. Ho altri ricordi. Nel 1985 entra in vigore il “passaporto europeo” Con un gruppo di giornislisti italiani, invitati a Berlino Ovest per un congresso, decidiamo di andare il giorno dopo , domenica, a visitare il Pergamo. Ero il solo ad avere il passaporto europeo che mi era stato rilasciato qualche giorno prima della partenza e che entrava in vigore proprio nella notte fra il sabato del nostro arrivo e la domenica. Ci presentiamo al mattino al passaggio della Friedrichtstrasse. Per entrare ci si doveva mettere in fila con gli sportelli separati da un’alta barriera di metallo, che si chiudeva alle spalle. Quindi isolati dagli altri, in un cassone di ferro. Presento il passaporto, ma il poliziotto comincia ad urlare che il mio passaporto era falso. Con il mio tedesco di freschi studi, certo non vasti, sono riuscito a spiegargli che era un nuovo passaporto e che entrava in vigore quel giorno stesso. Conclusione. Sono stato arrestato e messo in cella per alcune ore con un giovane giapponese che tremava di paura. Finalmente, rimesso in libertà e autorizzato ad entrare a Berlino Est. Il giorno dopo ho riferito quanto mi era successo al nostro Ambasciatore nella DDR. Qualche ora dopo l’Ambasciatore mi ha richiamato e divertito mi ha dato la spiegazione: “Saranno comunisti e tedeschi, ma per loro il sabato e la domenica sono sacri. Si sono dimenticati di inviare la comunicazione ai posti di frontiera”. Confesso che la cosa non mi divertì. Qualche ora in una cella di poliziotti della DDR non dava molte garanzie! L’altro ricordo. Fine giugno 1989, sono stato invitato a colazione da alcuni deputati della CDU della DDR. Il Parlamento della DDR era speculare a quello di Bonn, c ‘erano gli stessi partiti, in misura diversa. I democristiani erano pochissimi, controllati e senza nessuna posibilità di far politica. Alla fine del pranzo, mi accorgo di non aver fiammiferi per accendere il toscano. Mi consigliano di scendere al vestiario dove avrei potuto comperarrli. Al banco una anziana signorai, dignitosa e molto austera. Poliglotta, quando mi ha sentito parlare, mi ha chiesto se ero come “quelli di sopra”. Dissi di no naturalmente. E allora mi ha detto. “Con questi fiammiferi non cerchi di dar fuoco al muro, perché a novembre cadrà. Lo dicono quelli di sopra: parlano e pensano che io non senta”. Così è stato. Berlino mi è rimasta nel cuore. Anche perché tre giorni dopo la caduta del muro ero a Berlino per un incontro programmato mesi prima. E dalla porta di Brandeburgo liberata dalla barriera di cemento si poteva vedere di nuovo la Unter den Linden, invasa da gente festante e finalmente libera. La Unter den Linden non era più quella del 1959. Ci sono voluti vent’otto anni.

Angelo Sferrazza