Alberto Berardi, il senso della città e della partecipazione
di Gastone Mosci
Alberto Berardi (Fano 1943-2020) si è fatto travolgere dal coronavirus che ha portato nel mondo tragedie di esistenze che tuttavia restano custodite nella nostra memoria. E questo dramma non si è ancora fermato.
La sua cultura e la sua sesnsibilità hanno vissuto questa situazione collettiva, con il saper guardare la realtà con una idea di partecipazione, segno che coinvolge la propria esistenza.
Tanti lo hanno ricordato ed hanno indicato due sue ragioni di vita, due grandi riferimenti culturali: il Lisippo, “L’Atleta di Fano”, visione della bellezza, opera d’arte che appartiene a Fano e, l’altro suo impegno, il Carnevale di Fano nella sua espressione culturale e storica, come identità della città.
La bellezza del Lisippo e la gente di Fano nella partecipazione storica al Carnerale.
Berardi ha spesso parlato del Lisippo, come testimone della fanitudine ma anche nella sua responsabilità di cittadino e nella partecipazione attiva alla scrittura, come nella rivista “Vivarte” (6, 2010) di Urbino insieme al magistrato Silvia Cecchi e di nuovo nell’ultimo tornante giuridico del 2019.
La socialità del Carnevale a Fano è una espressione corale di cittadinanza, una continua creatività che coinvolge piccoli e grandi nelle scuole e negli oratori, la festa annuale (la segnalazione più antica risale al 1347) è anche storia della comunità.
Accanto a questo orizzonte culturale vorrei richiamare la conoscenza di Alberto ai tempi dell’università, dei primi anni sessanta del secolo scorso, lui a Fano con i suoi colleghi iscritto al Magistero, ed io a Urbino studente nella Fuci. Sia l’associazione di Fano con l’assistente don Isidoro Subissati e Luigina Borgogelli che coordinava il gruppo, sia la Fuci di Urbino con l’assistente don Firminio Poggiaspalla e Maria Grazia Sassi presidente, svolgevano incontri e comuni percorsi culturali.
Berardi era nel gruppo fanese per vari anni con la sua sempre incisiva partecipazione: frequentava l’università con impegno e nei gruppi di studio, in un contesto che viveva le prime esperienze del Concilio Vaticano II e in un’epoca di cambiamenti e di novità.
Berardi uscì da quella esperienza giovanile per intraprendere una sua linea politico-culturale diversa. Le conoscenze e le amicizie sono restate le stesse ma l’ambiente fu diverso; sentiva più direttamente l’impegno per la città con un indirizzo laico. La sua complessa personalità cercava un itinerario nuovo.
A pensarci oggi, sembrava seguire tracce di una testimonianza già conosciuta in città: le scelte e le occasioni di don Guido Berardi, lo straordinario zio prete che nel primo dopoguerra aveva interpretato la radicalità del monaco nella Chiesa. Ho partecipato quasi vent’anni fa (2003-2004), ad una attività di studio e d’incontri presso il centro don Orione di Fano diretto da don Giulio Massi in tema di università libere, di movimento cattolico fanese, di cultura popolare.
Anche Alberto Berardi era attivo in quell’ambiente di docenti e di studiosi in margine al libro “Don Gentili a Fano. Storia di una presenza” di Silvano Clappis e Sergio Maggioli (BCC Fano, 2004) sempre legato a quella esperienza di don Masetti, don Gentili e poi di don Orione (Nuovi Studi Fanesi 18, 2014).
Si trattava di una lettura popolare del sentimento religioso fanese, di don Orione e della collaborazione dell’Unilit. E’ doveroso e bello ricordare queste testimonianze comuni di Albero Berardi, che ha sempre tenuto Fano in relazione con Pesaro, Urbino e l’intera provincia, e come il Carnevale con il contesto nazionale.
Gastone Mosci