Celebrazioni per il Centenario del Canonico Amato Cini 1919-1987

in Cultura

Le iniziative per il Centenario del poeta Amato Cini sono state seguite da un pubblico molto attento  al   personaggio Cini, docente al Liceo Classico Raffaello, sia a Urbino che a Fermignano per iniziativa dell’Unilit e del Comune di Fernignano, sua città natale (1919-1987). Si è parlato di Cini come cittadino di Urbino e assistente dei Laureati Cattolici, dell’autore  sempre al lavoro sulla sua poesia legata alla città. Sul docente di lettere al Liceo Scientifico Marconi di Pesaro sono intervenuti a Fermignano il preside Gustavi Ferretti, lo storico Andrea Bianchini e la docente Rosanna Gambarara. Segue una nota di Germana Duca. (Ga.Mo.)

 

Note a margine dell’incontro UNILIT su Amato Cini (Fermignano, 4 dicembre 2019)

di Germana Duca

Addentrarsi nella poetica di Amato Cini equivale a riscoprire, nel centenario della nascita, la ricchezza del suo pensiero e il vigore del suo linguaggio, sullo sfondo del paesaggio metaurense e urbinate, fra emozioni e stati d’animo a volte discordanti: amore per la terra d’origine e cupi presentimenti per la sorte del pianeta, ricerca di pace e tormento interiore.

Quella del poeta è un’inquietudine evidente, ma benedetta. Perché non sta chiusa in se stessa, ma interroga Dio – un Dio difficile, unica disperata certezza – coinvolgendo nella domanda di senso chiunque legga le sue pagine. Pagine piene di energia che, pur parlando di paura, solitudine, dolore, somigliano a fresche secchiate di vita ed emanano buon odore, lo stesso che si avverte quando si inizia a leggere un buon libro. Perché accade questo?

La spiegazione è semplice: Amato Cini sta alla verità delle cose, ai legami concreti fra tempo e natura, materia e spirito. E se egli ci apre il suo cuore, ora costernato ed esterrefatto, ora fremente di ricordi e visioni, è per mostrarci la vita nella sua essenza, nel perpetuo girotondo di nascita, morte e rinascita. Da qui il suo impegno morale, l’etica del lavoro ben fatto, la volontà di mettere al centro della sua filosofia le fatiche dell’esistere e del resistere. Fraterno in questo ad Abramo, a Giobbe, ai testi biblici; agli autori classici – Esiodo, Virgilio, in primis; a Leopardi e Pascoli, fino a poeti del Novecento, come Clemente Rebora e Davide Maria Turoldo. Senza tralasciare, d’altra parte, i suoi affondi su temi quali la fine del mondo contadino, la minaccia nucleare, il terrorismo, negli stessi anni in cui ne scrivevano Pasolini e Volponi. La dedizione alla parola di Amato Cini, uomo di elevata cultura rimasto umile, riguarda tutti noi, immersi nell’attualità travagliata del secondo millennio. Muovendo da tali suggestioni, affidiamoci alla sua scrittura per riscoprire, in questo caso, il Natale.

 

Dicembre antico

E poi veniva il dicembre e il gran vuoto dei campi
e le cicale morte e le api in sordo rumore
la sera dentro le arnie, e la neve
e il vento che urtava sui muri e sui vetri,
e Natale odoroso di muschio,
e mio padre e mia madre
che accendevano il ceppo,
secondo il rito degli avi,
a propiziare le opere e i giorni.

E la pace era fatta, e tutto
era essenziale come i grappoli d’uva
appesi alle travi,
serbati pei giorni felici.

 

Dicembre: pienezza del tempo

Ora il tempo si compie:
ora si libra lo Spirito
sull’acqua e l’abisso,
ora più cara fra tutte a me torna
la luna dell’ultimo mese,
presagio del Verbo.

Ora si colmano il vuoto e l’attesa,
fiorisce il deserto
e sui nostri sentieri
esplodono i canti
perché il cielo irrompe sul mondo
al passaggio del giovane Dio.

Ora tutto è un altissimo vertice
che sale, luna,
oltre il tuo splendore.

 

 

RICORDO DI DON AMATO CINI
A SCUOLA FRA URBINO E PESARO

di Rosanna Gambarara

Don Cini lo conoscevo già, ma di lontano, quando nel 1976 ci fu assegnata ad entrambi una cattedra di Materie Letterarie e latino presso il Liceo Scientifico “Marconi” di Pesaro Mi capitava di incontrarlo per la strada e lo riconoscevo fin da bambina perché era sempre presente in occasione delle messe solenni con gli abiti della liturgia e soprattutto era uno dei canonici che sedevano negli scranni del coro con mantellina bianca e veste di porpora! Con noi altre tre persone furono assegnate a Pesaro presso lo stesso liceo: Alba Spina, Maggy Leone, Teresa Gramaccioni.

Dunque nel ’76 ci ritrovammo in cinque a pendolare ogni giorno da Urbino a Pesaro. Allora, per motivi di comodità e pure per esigenze di risparmio, stilammo un calendario per viaggiare a turno con la macchina dell’uno o dell’altro. Don Cini, che non era motorizzato, viaggiava a seconda dei giorni con due o tre donne. Talvolta se c’era posto saliva con noi qualcuno che si fermava alla scuola di Morciola. Poi via giù verso Pesaro e stura alle chiacchiere.

In auto a Pesaro

Di cosa si parlava? Di cose serie ma anche di frivolezze. Eravamo nel pieno degli anni di piombo: la crisi energetica, la strategia della tensione, le Brigate Rosse e gli opposti estremismi, il sequestro Moro. Come potevamo non parlarne, con l’ansia e la speranza che tutto finisse. E poi il referendum sul divorzio, il compromesso storico, Berlinguer. Ma anche la tv a colori, Portobello, Rita Pavone, Mina, Raffaella Carrà… E la scuola, lo svolgimento dei programmi, la correzione dei compiti in classe…e le nuove generazioni, la droga.

E don Cini ? Un prete e tre donne iperlaliche: ti saresti aspettato una ritirata silenziosa in buon ordine. Invece lui In questo clima si trovava perfettamente a suo agio e si inseriva con grande naturalezza vivacità e arguzia nel cicaleccio, con una spensieratezza giocosa mai sopra le righe, con momenti di ritrosia. Era quella che si dice una persona simpatica. Solo quando nel gruppo c’era Teresa, comunista ortodossa, che amava provocare, il clima si accendeva con scaramucce verbali e punzecchiature da una parte e dall’altra.

Non conoscevo don Cini poeta

Durante questi nostri andirivieni tra Urbino e Pesaro per me il don Cini poeta non esisteva. Il particolare contesto che ci vedeva insieme non dava il tempo per approfondimenti e confidenze personali. Ed io allora ero già proiettata verso Roma. Vivevo a Urbino, lavoravo a Pesaro, col cuore a Roma dove ogni fine settimana, privilegiata dal sabato libero, raggiungevo Pino, mio marito, che allora era dirigente della Euro International Films. Quando una sera a cena raccontai al regista Guido Leoni dei nostri viaggi quotidiani – due o tre donne, a seconda dei turni, più un prete – delle discussioni, delle chiacchiere, si illuminò tutto. ” Magnifico! Facciamo una sceneggiatura a quatto mani”. E buttò giù lì per lì una storia con tre donne complicate e di un prete. Io mi divertii moltissimo a confrontare i personaggi del film che mai nacque con quelli reali della nostra combriccola, e a paragonare don Loris (così il prete doveva chiamarsi!) con don Cini. Don Cini non era don Loris ma neppure soltanto lo spiritoso garbato piacevole compagno di viaggio dei nostri andirivieni quotidiani.

Infatti Don Cini era poeta, aveva già pubblicato diverse raccolte, ma io non conoscevo la sua poesia. Che fosse poeta lo scoprii quando nell’aprile del 1980, (poco prima del mio trasferimento a Roma) mi donò Un difficile Dio e mi si offrì all’improvviso secondo una prospettiva imprevedibile. Acutamente Carlo Bo, nella premessa a L’acqua dentro la roccia, Forum – Quinta Generazione 1983, parla della poesia di don Cini come di un esercizio segreto gelosamente protetto. Cominciai allora a cercare che cosa ci fosse del don Cini poeta nell’altro don Cini che conoscevo e mi rendevo conto di quanto ricca e complessa fosse la sua personalità.

La sua poesia

Nelle poesie che venivo leggendo trovavo il travagliato anelito religioso di un uomo proteso verso Dio attraverso tanta sofferenza, la spontaneità e l’immediatezza di una poesia totalmente lirica, libera da intellettualismi ermetici. Una poesia piena di echi biblici, Qoèlet, Giobbe, Apocalisse, Paolo, e a questi testi debitrice prima che a Leopardi, come don Cini stesso dichiara.

E di lui Geno Pampaloni scrive: “La poesia di Amato Cini è intensamente apocalittica…” E Giorgio Bàrberi Squarotti: “Non è poesia di pace, non di consolazione, ma piuttosto…un itinerarium in Deum che non può avvenire che passando attraverso la petrosità e il deserto”.

Tra cielo e abisso” il libro postumo

Ma don Cini stesso ci presenta in maniera straordinariamente illuminante il percorso della sua poesia in La mia poetica (1982), su Tra cielo e abisso – poesie postume, Forum /Quinta Generazione, 1989 in una bella prosa che ha le movenze e le immagini della poesia.

In essa “la natura appare violenta e tragica, benigna e materna, assente e petrosa, specchio di scoramenti e sussulti, di speranze e di arresti che si alternano nel cuore dell’uomo attraverso epifanie di sere struggenti, di denudanti meriggi, di colline ondose che si perdono come le nuvole, di spazi cinti di vacui silenzi, di rose tardive, di incomunicabili destini di cose che vanno slegate nel tempo, di acque morte, di attese impossibili, di lune invernali ed alberi spogli, di lento disfacimento della terra insieme a un inconscio piacere di vivere in turbine, e di contro balenano immagini d’acque scorrenti, di foglie vocali e di primavere danzanti..”.

Tutta la produzione poetica di don Cini dalle prime raccolte alle ultime poesie rimanda a questa poetica. Il carattere e l’impostazione del mio intervento non prevede il discorso approfondito che don Cini poeta meriterebbe e che altri in occasione di questa ricorrenza hanno fatto. Mi limito a riportare una poesia.

Sei un difficile Dio.

E non è vero che Tu facilmente
rispondi alle nostre domande
perché tu sei un Dio nascosto
il più difficile Dio
che osiamo implorare.

Siamo al Tuo cospetto un deserto
una città di rovine.
Ti ho cercato nel tempio,
ma tu hai distrutto anche il tempio,
anche il cielo plasmato
con mani imporose
non canta più la Tua gloria.

Anche il cielo è ora senza magia,
e le stelle, pietre impassibili.
Ov’è la Tua orma armoniosa,
le Tue strade abissali?

Vedi che sei un difficile Dio,
vertigine, dimensione del vuoto.
Per questo gemo come colomba,
Ti cerco, mio male sublime, nel buio,
mia disperata certezza.

1977