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Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti III

in Cultura

Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti

 

 

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Iaia Lorenzoni. Verso “Da voce a voce”

di Gastone Mosci

 

Iaia Lorenzoni, poeta e insegnante, urbinate che a Pesaro, dove vive, ha portato l’amore per la scuola e per la famiglia, oggi in particolare Victor, il piccolo Victor, adottato da una famiglia amica. Ha pubblicato cinque opere: quattro libri e una plaquette dal 2001 ad oggi: “Parlando e viciolando. 12 storie di Viciolandia” (Manni 2001) con illustrazioni di Enrico Bertuccioli che offre un segno visivo forte e una interpretazione partecipata dei racconti; la plaquette “Ballata della Fata illustrata” nella rivista Prima del vischio, direttore Raimondo Rossi, con una sua acquaforte (Urbania, n. 17, Settembre 2005), è una anticipazione del nuovo mondo delle favole di una fata fatessa con un gatto bambino. Secondo libro: “L’altra faccia delle fate” (Argalia 2007), dodici ballate in poesia dopo dodici racconti di Viciolandia, veramente il corpus di un’invenzione lirica profonda, di fate teatranti con i disegni stregati sempre di Enrico Bertuccioli (due libri d’artista favolosi). Poi, terzo libro: “La casa delle lune” (Argalia 2010), il luogo del riappropriarsi del proprio tempo libero, del tempo dell’ascolto e della fantasia. Ecco la cadenza delle inquietudini e delle sezioni del libro: luna, tempo, realtà, io/tu, poesia… Il libro rivela un poeta sicuro, rivolto alla quotidianità pensosa e fantastica, esprime la dimensione di vita civile e l’orizzonte di desideri, di conquiste, di letture, coglie la pienezza della poesia e della vita. Iaia Lorenzoni ascolta e discute con Fioretta Faeti Barbati, Stefania Lanari, Rita Ceccarelli, Germana Duca, Milena Milazzo, Claudia Grazioli e un personaggio pennese, Otello Giovanetti.

 

Il libro d’oggi, il quarto, “Da voce a voce” (Nuova Montaccini 2017, p. 117), è un’opera sull’infanzia e sulla trasparenza, un dialogo fra sapienza adulta e sapienza “della visione innocente”. Anche la Lorenzoni è per la visione innocente che sta nel suo testo d’apertura di “In cima”, che pone in primo piano ed è la sua poesia, la poesia della vita. Ma in questa ultima raccolta sono stato preso da alcune tematiche: il tormentone del vento, l’idea del mondo che evolve, l’uso della casa che è il luogo delle fate come convivenza e l’ambiente della luce o delle luci.

 

Queste problematiche sono ricorrenti nei vari libri pubblicati, nelle antologie poetiche che si succedono, sono questioni della poesia: temi che interagiscono con i luoghi, il panorama, le cose dei campi e gli umori dello spazio: Il poeta ama la natura e il mondo animale, che la circonda. Porta con sé l’immagine del nonno, si sente “nonna” di una creatura custodita. Nella storia di Viciolandia del libro d’esordio, Vicio è nella nebbia (p.39), il gatto è inquieto: “il vento tace, non sta ancora dritto / il silenzio però non sta zitto / e dice… dice, lo dice al noce / che tutti han perso la voce… ). E il vento fa un piccolo ingresso, mentre domina la luna che è la fantasia delle fate e il vento è l’immagine della vita, della realtà, delle sensazioni vere. Le favole di Vicio, il gatto-bambino, sono per i bambini, le poesie d’oggi di “Da voce a voce” sono per i grandi che si interrogano sulla vita, ma c’è Victor.

 

Lascio da parte “L’altra faccia delle fate”, che è un libro per lo spettacolo, un “musical” del designer Bertuccioli, una illustrazione che fa spettacolo da sola. Ed entro ne “La casa delle lune”, il terzo libro, dove vivono queste immagini: la casa / la luna, la notte / il silenzio. Ecco la centralità della poetica dell’autrice: il suono e il silenzio dell’anima, tutto si riassume nel silenzio che agisce nelle condizioni della casa e della luna, in un mistero intermittente, invaso da luci. Si apre una porta nuova: la quotidianità, il mondo che cambia, la casa della la vita civile: “Piove un chiaro di luna”, arriva il vento: casa, luna e vento interagiscono: la casa delle lune è la casa di Iaia, la vera casa, in collina, fra l’Adriatico e i colli urbinati, casa abbracciata dal vento. In “Da voce a voce” il dialogo mirato del poeta è con il vento, non come luogo sensibile ma come sogno continuo, come accoglienza, come “sapienza della visione innocente”. Questo suo libro è luogo di civiltà, sembra porsi come itinerario di un bilancio di comprensione della vita e di immaginario fra vento e luci: Il vento è una pagina dolce, amica, silenziosa come la luce ma piena di segnali, che rivelano una personalità di gesti coraggiosi, di attesa, di letture di senso.

 

Gastone Mosci

 

 

 

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Sintesi dell’intervento di Alberto Calavalle alla presentazione di “Da voce a voce” (Nuova Montaccini, Pesaro 2017) di Iaia Lorenzoni

di Alberto Calavalle

 

La produzione poetica di Iaia Lorenzoni è espressione di un animo sereno e come tale trasmette serenità anche al lettore. Le sue poesie sono come un infuso di fiori rilassanti da prendere alla sera prima di dormire. Nella raccolta “Da voce a voce” questa mia considerazione è valida soprattutto dopo la prima parte: “In cima”, “Il cuore della terra”, “Nella paglia di un pagliaio”, “Quando la luna”, per citare alcune poesie, poi emerge un certo realismo della vita. Sembra di percorrere la vita nei suoi stati dall’infanzia alla maturità alla senilità.

 

“Rimbalzavano dappertutto le risate, / / Adesso… /è tutto dentro.” (“Tra l’ora e l’ora”) Sembrerebbe un cedimento dell’animo, ma subito dopo (“Ode al buio”) “…dietro la luce / non c’è il buio, / ma un’altra luce”.

 

E ancora più oltre (“Attesa”) “Che posto è mai questo / se il vento è chiuso…?”. Seguito da (“Il risveglio”) “La luce respira. / Respira la vita”. Fino a (“Trasloco”) “E io dove sono? // Forse in questi muti scatoloni… / …con la scritta… FRAGILE”.

 

E infine (“Notaio scriva!”) che sembra un commiato “Lascio al vento le mie / fotocopie. // E ai tarli dei cassetti / l’eredità dei miei / originali”. Ma subito dopo nelle Note tutto vive. Tutto è nella chiavetta del computer e tutto risorge, la parola, la poesia, Iaia.

Alberto Calavalle

 

 

L’intervista di GD Germana Duca a IL Iaia Lorenzoni apre una nuova finestra sull’autrice pesarese

La poesia è. Iaia Lorenzoni è una risorsa di quel mondo. Il suo canto è uno sguardo ed un respiro continuo. Ama la musica e la città, interpreta la vita e impegna quel suo sentire da voce a voce, il sussurro del vento e le “curve del vento”. Molte poesie accompagnano l’intervista di Germana Duca ed è il ritrovarsi in un luogo amato.

 

di Germana Duca e Iaia Lorenzoni

 

GD “Da voce a voce” è una raccolta poetica in cinque tempi, dai titoli molto suggestivi: “Nel chiaro del primo mattino”, “Fra le curve del vento”, “Il cuore maturo delle stanze”, “Spartito compiuto”, “E più belle della luce le penombre”, “Un po’ rimescolate e un po’ rosate”. Un libro a forma di quintetto vocale e strumentale, dove Iaia Lorenzoni, tra il serio e il faceto, mette in campo il suo talento espressivo e una notevole varietà di temi. Alcuni sono stati già trattati da Gastone Mosci, di altri parleremo ora insieme all’autrice. Penso al tema dell’infanzia – fra memoria e presente- e al grande tema della luce, senza escludere ombre e penombre, nel variare del tempo esterno e del tempo interiore.Una fantasmagoria di questioni che, a mio avviso, trovano la loro prima sintesi sulla copertina: “Azzurro cielo”, di Wassily kandinsky; uno spazio surreale con forme in movimento, ora rubate ai giochi, ora ai sogni; incanti e disincanti sospesi “fra cielo e terra”.Un po’ come tu dici di te stessa, cara Iaia, in “Donna accesa”, uno dei testi più ragguardevoli, insieme a molti altri che i lettori potranno scovare fra le pagine di questo bel volumetto.Ci vuoi dire com’è nato, prima di leggere alcune poesie di autopresentazione?Anche il titolo, “Da voce a voce”, ci incuriosisce: da dove viene?

 

 

IL Il volumetto è nato da certe mie sonorità interiori, da quell’ “intima necesiità” di cui parla Kandinsky: fonte di ogni nostra ispirazione. E, per la copertina, ho scelto il suo dipinto ” Azzurro cielo” (1940- Parigi occupata dai nazisti).
Il pittore voleva evadere nel mondo buono dei sogni e della fantasia? Lo fanno pensare le creaturine che volteggiano nel chiaro azzurro.
Ma poi ho visto ciò che Kandinsky voleva, a mio parere, veramente dirci: il suo, il mio, il nostro desiderio di una colma e calma serenità, tutta e solo lì espressa: nell’azzurro.
Il dipinto mi ha subito rimandata alla poesia “Da voce a voce” che avevo da poco scritto. E cioè al silenzio che tace, al vento, all’avventura, al mistero… a quel qualcosa che infine scricchiola e frana: la forza corporea di un rumore che arriva, magico e unico e solo dai bambini, nel loro chiamarsi e rincorrersi da voce a voce: una cascata di bambini. Quella cascata di tutti i miei mattini di maestra elementare, dove si entra infastiditi e poi invece si esce colorati.

 

 

La porta è questa

 

È la soffitta.
La porta è questa.
E la spalanco.

 

Mi corrono intorno
le cose preservate e custodite.
Le cose amate.

 

 

Hanno ancora la freschezza
del pane del mattino,
quel profumo
quel sapore.

 

Sto,
dove si aspetta.
E da un’aria più alta
e levigata,
ecco i volti delle mie stagioni,
le persone attraversate,
i passi,
e il mistero senza fine
bello,
delle strade.

 

Mi riconosco.
Ho il loro batticuore.

 

E tutto s’ illumina.

 

La soffitta sono io.

 

 

Donna accesa

 

Non ho mai guardato cosa si muove
dentro le stelle.
È troppo alto il cielo.
Troppo alta perfino la terra.
E c’è un indefinito sentiero delle mani
dove ragiono
coi miei pezzi di legno
umani.
Ma l’imprevisto preme
inaspettato
e salta la luna sui rigagnoli dei muri.
Sconfino allora
in un giro di bambina
in una luce di collina.
E sto fra cielo e terra appesa
-come succede spesso-
donna accesa.

 

 

Grillo parlante

 

Ricordati di spegnere il gas
se no va tutto a fuoco.
E se continui a bruciare pentole e tegami a volontà
che cosa ti resta?
Solo due tre cipolle appassite e piangenti.
Senza pensare che puoi bruciare la luna
e vanno in fumo anche le stelle.

 

Controlla i guasti dell’ acqua e della luce,
e soprattutto i tuoi guasti.

 

Vedi se sgocciola ancora la fontana.

 

E tieni sottomano i numeri telefonici
di Vigili Urbani Pompieri Polizia Carabinieri
e Corpo forestale dello Stato,
nel caso dovessi incastrarti
in uno dei tuoi variegati inciampi.

 

Già che ci sei, tieni legate al collo le chiavi
perché il cancello non è un portinaio che si apre da sé,
ti scappella e spalanca la strada.

 

Dai pure l’eternità a gatti
grilli lumache e coccinelle,
ma impara intanto a memoria,
come fosse una filastrocca,
i tuoi balzi d’ umore
e quei detti e ridetti e ripassati e sottolineati:
«Mi sono rotta!»
Tieni poi sotto stretto controllo
quel tuo Io incommensurabile.

 

E non ti giustificare col solito ritornello
che tu sconfini per quel cavolo che non sopporti le cornici
perchè ti soffocano…

 

E tu vuoi… diventare.

 

Non ti vedi? Sei già diventata!!!!

 

E per finire,
se caso mai ti venisse quel pensiero che dici da un po’
che ti vuoi inventare,
nessuno te lo vieta.
Ma regolati!
Chiudi porte e finestre prima di andare a dormire
e metti l’allarme, perché le voci circolano.
Prima o poi si viene a sapere che ti sei inventata davvero.

 

E se viene un ladro, che t’ inventi?
Che non ci sei – che sei un’ altra – che sei finta?

 

Vedi un po’ tu!?!?

 

 

Da voce a voce

 

Nessun rumore.
Tace il silenzio.

 

E in una nebulosa trasparenza
ferma nel tempo e senza voce,
tacciono i nostri passi nella città deserta,
le vie cercate con gli occhi dei lampioni,
il vento, l’avventura, il mistero.

 

 

Mi manca il respiro.
Mi sento morire.

 

Ma qualcosa scricchiola, e frana.

 

È la forza corporea di un rumore.

 

E come una cascata di bambini,
è un chiamarsi e rincorrersi
                                   – da voce a voce-.

 

GD L’immagine della “cascata di bambini” che si chiamano e si rincorrono è paragonabile a quella dei ricordi; i quali, stando a Leopardi e Pascoli, sono il motore stesso della poesia. Il passato, si sa, non va mitizzato, ma trattenerne dei frammenti, registrarne le voci, come tu fai, rende più agile l’intelletto e il linguaggio, più ricco il sentimento.

Pensi che parlare del tempo andato a una generazione che sta crescendo sia utile?
Al riguardo tu, amatissima maestra, dedichi una delle prime poesie del libro al piccolo Victor: chi è?

 

IL Victor fa la III elementare. E’ il nipotino di Claudia e Stefano (suoi zii). Io non ho figli. Claudia e Stefano sono i miei nipoti, e un giorno vengono a trovarmi con il piccolo Victor.
Victor entra in casa mia, mi guarda, guarda felice i tre mici che mi girano intorno e subito ( oh, miracolo!), mi chiama “nonna Iaia”. E mi adotta. Da quel giorno sono veramente la sua “nonna dei gatti”, come qualche volta dice, e lui ed io andiamo “in cima” (p.13). Visti i troppi tanti adulti-adulti in giro, andare “in cima” è la strada per abbandonarmi, sentirmi viva, di nuovo bambina e comunicare con Victor. Perché il mio tempo è il suo. E io per prima vado, come lui mi dice sempre, ma in verità è “noi due insieme”, simultaneo al suo. Allora dialogo con lui, trasmetto ricordi della mia infanzia, esperienze che mi ritornano in un vivido presente col desiderio di farlo crescere, sognare e credere per proiettarlo nel futuro.

 

In cima

                                                                                     Al mio piccolo Victor

Da un po’ di tempo
ci sono tanti di quegli adulti in giro
                                                      -troppi-
che vado sulle cime dei bambini.

 

E arrivi tu,
suoni i miei sentieri
e di gioia pura mi saltilampi
                                                     gli occhi.

 

Vai nonna, dici.
E vado qua e là e su e giù
e dove e come e quando,
per prima.

 

E poi noi due insieme.

 

Si va
come si va
sulle cime dei bambini,
in cima.

 

GD L’infanzia come valore in sé, di grande altezza, chiama in causa il presente, la trasmissione della memoria. Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi, ma non sono mai stati così poco ascoltati. In rete, sui social, il passato non esiste; sembra che i giovani non dialoghino volentieri con chi li ha preceduti. Nei tuoi versi, invece, brilla il ricordo del cerchio di vita tra generazioni. Che cos’è cambiato? Iaia bambina e Iaia adulta dialogano ancora fra loro? Ci potresti leggere, magari alternandole, poesie che evocano la tua infanzia e poesie dove ti misuri con il mondo di oggi?

 

IL E’ vero! Non ci sono mai stati tanti nonni come oggi. Ma ci sono davvero o nel nostro continuo correre ci siamo fatti… assenti? Secondo me, non sappiamo più anche noi amare la lentezza.
Non sappiamo ripercorrere con lentezza e lievità nemmeno la nostra vita passata, perché appesantiamo spesso memoria e ricordi con il rimpianto e la malinconia. La società, malata come oggi è, di indifferenza ed egoismo, ci allontana. Non vuole il dialogo con nonni “troppo pesanti”. Qualcuno arriva anche a definirci “noiosi”. Fra noi e i nostri figli che vanno velocissimi, inquieti, in cerca del subito qui e adesso, delusi da sogni che sentono impossibili, c’è una frattura.
La luce è serrata. Che dire?. Aspettiamo.
Prima o poi si aprirà una fessura. Però siamo nonni vivi, come è giusto che sia.
Purtroppo però diventiamo anche noi isole; e nascosti nel nostro pane.
Così nascosti che neanche una “vertigine di luce” può saperci. Mi accorgo che anch’io sono, a poco a poco, parte di questa società.
Mi seduce la folla. Mi sento bene dentro. Mi sento protetta. Ogni mia fragilità assolta e perdonata. Mi riconosco nei tanti volti che, come me, vanno vanno vanno… Ma poi,mi sento “stinta e spiegazzata”. Fuggo. Trasloco nella bambina che sono stata, nella bambina che sono. Ma a volte cado. Mi rompo. Vado in pezzi. E che fatica inginocchiarsi, raccogliere i miei frammenti! E cercare quello misteriosamente nascosto e luminoso che è l’unico a potermi dare la scintilla per essere interezza. Non so, allora, se andare”in cima”, sia davvero possibile , per me nonna di oggi. Se a Victor so cantare come cantava lei, mia nonna Angela. Se sono, come lei, di basilico e gerani.

 

Le finestre del vento

                                                                  A mio nonno Giuseppe

Mio nonno faceva poesie con le mani,
e in un preciso giorno dell’inverno
prendeva la finestra del vento
per spalancarla in un’altra parete
calda e lucente della casa.

 

Poi prendeva me.
M’accomodava.
E mi volava come mi volasse il vento,
in un’altra poesia
e in un altro tempo.

E oggi,
parallela alla tua,
si spalanca
la mia finestra del vento.

 

Esplodono gli estremi del giorno.
Entrano le occhiaie nude e insonni della legnaia,
ciò che si muove, preme, pretende.
Il fragore dell’orizzonte.
L’esistente.

 

Ma chi mi vola?
Chi mi accende?

 

Cadono i muri del Tempo.
Scorro fino all’epifania delle tue mani.
E come fossi una bambina,
tu mi reggi.
Tu mi voli ancora.

 

 

Ignari e dispersi

 

La fonte.
Le fontane.
L’ acqua.

 

In controluce il tempo che zampillava,
estremo e fresco.

 

E noi dentro di noi,
ignari e dispersi.

 

Poi, la vita.
E ricorrente,
quella nostra interminabile brevità,
ferita.

 

 

Nella paglia di un pagliaio

                                                                                       A mia madre
E lei corre a cercarmi,
a parlarmi perfino
coi passi degli occhi:

 

– L’ho perduta!

 

L’ho perduta m’è sfuggita se n’è andata.

 

I vicoli non sanno.
Non c’è nella piazzetta.

 

Chissà dov’è finita!
L’hai vista biancospino?

 

Purtroppo è sempre tanta.
Mi sfugge, non la tengo.

 

Curiosa vuole tutto.
Si colma, poi straripa!

 

E non la prendo mai, è un po’ infinita…

 

Magari è fra le ortiche.
La pungono le vespe.
Si sta mettendo in bocca
un’erba velenosa…

 

E invece,
no!

 

E la mano della mamma che mi piglia
dalla paglia di un pagliaio,
e poi mi spaglia.

 

E anch’ io

 

In un’aria densa e limacciosa
arranco sul marciapiede fra la folla,
e sono una convulsa moltitudine
di vite e di destini.

 

In un movimento teso e incessante
nella stessa direzione e nella stessa luce;
e nel buio nella polvere nel sudore,
mi riconosco.

 

E mi tiene un’attrazione segreta,
forse una speranza:
di essere interamente vera
soltanto fra la gente.
In comune case e cose,
piazze fontane monumenti,
storia racconti generazioni.
Tutto dentro la gente.
E anch’io dentro: un’abbuffata!

 

Ma stinta e spiegazzata,

è

la mia vita.

 

 

Canto

                                                             A mia nonna Angela

 

Oggi che sono strappate le finestre,
che nessuno annaffia più i gerani sui balconi e canta,
che cantare è un volo fermo sulle ali
e fisso in gola;
oggi che niente ci consola
se non quel rapido annegare nella tv
e poi nel sonno,
e ogni giorno ricomincia sempre uguale a ieri,
canto te,
nonna di gerani.

 

Oggi che conosciamo un solo modo di andare
desiderare
esistere,
un solo modo di abitare la vita,
canto il tuo grembo dove m’ addormentavo sognando,
nonna di basilico e gerani.

 

GD Nonostante la vita a tratti “stinta e spiegazzata” a me sembra che le tue poesie siano pervase, dove più dove meno, da una luminosità in movimento. Luce che esce da ogni tessera, da ogni frammento del tuo mosaico; e diventa liquida, tutt’uno con l’acqua che la rifrange e la fa fluire, proprio come il pensiero dietro la mano che scrive. Non solo luce, come si diceva all’inizio, ma anche ombre e penombre, con pennellate di colore: tocchi scarlatti, verdi, azzurri, gialli, sulle sfumature di emozioni ed intuizioni. Simili, queste ultime, a biglietti di andata e ritorno per conoscere i segreti della vita.

Cara Iaia, ci potresti illuminare a questo proposito, magari leggendoci ancora qualcosa? Ci piacerebbe se, per concludere, scegliessi i versi più vicini alla tua vena poetica, al fuoco d’artificio della tua ispirazione.

 

IL Ti ringrazio, cara Germana. E ringrazio gli amici Gastone, Alberto, Sergi, Nicolettoo. Ringrazio le nostre vite che si attraversano nel profondo. Vi invito a leggere “sul filo” a p. 99 perché confesso che nel rivedervi sono riuscita a scrivere davvero su un filo di voce, “e poi vedere tutto germogliare, / e germogliarmi”. Vicino a voi ho messo tutto al sole, al vento di Urbino, e agli occhi della sera. Grazie allora, ancora e ancora perché nessuno di noi era ” isola”.
Eravamo dentro la lentezza: scompigliati e vivi, con il cielo e la terra. E nello Spazio a un tratto visto, c’era l’amore riconosciuto, frequentato, amato, udito, servito, pianto. Non era più serrata la nostra luce perché dentro aveva l’attesa che aspetta la speranza. Da alcuni anni non ci si vedeva, ma c’erano le nostre penombre ” più belle di ogni luce” ed eravamo appesi a una bella pagina di lampi.
C’era anche il colore che nel suo “singolare-plurale” colora e ci colorava di ciò che abbiamo bisogno. La poesia il risveglio”, l’indossavo: perfetta all’anima e alla carne, con le discrete luci dell’alba e poi il pieno mattino quando “tutto è di fronte. / Tutto è aperto. / La luce respira. / Respira la vita”.
Incontrarvi mi ha permesso di sentire davvero ciò che mi corrisponde: il cuore maturo delle stanze, le luci, i suoni, l’infanzia dilatata. Ma anche il buio, il rumore, l’assoluto incolore, le increspature delle mie ragioni, le ferite, le mie prigioni, la gratitudine che vi devo, e devo a ogni istante. E adesso che ho dialogato con voi e mi sono vista davvero, so che bisogna tenere i giorni scuri come si tiene la finestra del mattino. E ho la consapevolezza che in tutto ciò che siamo e che saremo, l’importante non è tanto capire, ma credere.

 

 

Sul filo

 

Sarebbe bello se si potesse scrivere su un filo,
sintetizzare tutto lì,
stenderlo al sole al vento alla pioggia
ai passi degli uccelli alle nuvole
e agli occhi della sera.

 

Ma ancor più bello sarebbe se si potesse scrivere
su un filo di voce
per dirlo ai bulbi e alle radici.
E poi vedere tutto germogliare,
e germogliarmi.

 

Bella, la fronte aperta al sole

                                                                               A mia sorella

Ho i passi stanchi
quando m’investe un soprassalto di luce.

 

Quest’infinito è troppo, non posso contenerlo!

 

Eppure ciò che vedo è aperto al vento,
e s’ alza, si muove
e si frange dappertutto.
E c’è un colore giallo, prendibile e vasto e dolce
arrampicato su per la collina.

 

Nelle sue perfette forme,
ecco allora la tua casa coi suoi confini spalancati,
e i miei recinti.

 

Bella, la fronte aperta al sole, alla strada, a chi passa,
al male e al bene, ai ladri e alla forza della terra,
la tua casa è una radice che cammina
fra i miei pensieri.

 

E conto i passi che mi separano dal conoscerla a fondo.

 

Li conto o li canto?

 

 

Perduta la lentezza

 

Fra l’ insensato andare e andare,
siamo tutti diventati
turbinosi andanti.

 

Più niente vediamo.
Più nessuno s’ incontra.

 

Finito l’ incanto di quel passare lento
estasiato e carnale
da una realtà all’ altra,
dov’è il cielo?
Cos’è la terra?
E chi sono i viventi?

 

Perduta la lentezza,
quel che ci strugge è la nostalgia
dello Spazio.

 

Perché lo Spazio è all’ improvviso
come un amore mai visto,
mai frequentato;
come un amore non amato,
mai udito
mai servito
mai pianto.

 

 

 

Attesa

 

Che cosa aspetto
se non c’è nessuno,
nessuna siepe da ammirare
e non passa più la donnina col suo cane?

 

Che posto è mai questo
se il vento è chiuso
e l’intera natura inchiodata?

 

È la stretta della luce.

 

È crudele!

 

Ma una scia bianca sfreccia
e taglia il cielo.

 

E allora credo anche in questa
luce serrata.
E aspetto.

 

Le nostre penombre

 

Quando le sere mettono tendine alle finestre,
è un dolce discreto intravvedere.

 

Si sta in un così perfetto stare,
che cadono paure, limiti,
e la sfioritura degli anni.

 

Inutile è allora cercare
altra grazia.

 

E più belle di ogni luce
sono le nostre penombre.

 

 

Appesa a questa pagina di lampi

                                                             A mio padre

 

Padre,
oggi che nelle mie stanze si fa sera,
affondo i passi nei tuoi occhi grandi.

 

Raccontami il pane,
i sentieri,
i balconi delle tue colline.
Raccontami le voci.
Tieni il vento.
Dammi un colore.

 

E come ti avessi chiamato fin dall’origine,
arrivi nello spazio di un istante.
Spalanchi le finestre
e mi riluci.
Risplendi di sereni le mie stanze.

 

E io,
appesa a questa pagina di lampi,
stendo il cuore.

 

E grazie per la voce.
Grazie per il colore.

 

Il risveglio

 

È quell’ora del primo mattino
-quasi sempre la stessa-
che non vedo, non so, non conosco, sono assente,
dormo.

 

Ma già si sono spostate le distanze,
svegliati i miei occhiali,
la mia camicetta a fiori appoggiata sulla sedia,
il tavolo, l’armadio, gli altri oggetti e i colori.

 

Ancora appiccicata a un sogno, io resisto.
Finchè confusa e assonnata,
apro gli occhi.
Arrivano allora il pensiero e i ricordi.
Sono vigile, attenta.
E anzi testimone di quel che è già avvenuto nella stanza.

 

Ed è come se tutto, e a mia insaputa,
si fosse non solo risvegliato,
ma nato di nuovo.
Guardo allora quel punto della finestra
che mi porta le acrobazie del mattino.

 

Sono in ritardo. Mi sento in colpa.
Ma sono qui.
Un istante e sono pronta.

 

Tutto è di fronte.
Tutto è aperto.
La luce respira.
Respira la vita.

 

 

III. IL CUORE MATURO DELLE STANZE

III. Senti?

È il cuore maturo delle stanze.
Ti corrispondono le luci
i suoni
i colori
e perfino le morbide necessità della tua infanzia
dilatata.
Ma anche il buio
il rumore
l’assoluto incolore
e le increspature delle tue
ragioni.

 

Mi senti?
Nel colmo caldo fluire del tempo,
cosciente di esistere in tutto ciò che accade,
saprai assolvere le tue prigioni
rimarginare le ferite
coprire di gratitudine ogni istante.

 

Tieni dunque i giorni scuri
come tieni la finestra del mattino.
Perché lo sai, e lo sai bene:
si può ferire ed essere feriti.

 

Ma c’è sempre un perdono da chiedere,
e un perdono da perdonare.

 

 

Germana Duca

Iaia Lorenzoni

 

 

 

“Da Voce a voce” di Iaia Lorenzoni

Ovvero di come un’unica voce possa diventare polifonia

 

di Claudia Grazioli

 

Chi volesse scorrere un qualsiasi vocabolario della lingua italiana e cercare la parola “polifonia” immediatamente si accorgerebbe di quale bellissimo e affascinante mondo spalancherebbe quella definizione; un universo musicale fatto di note diverse che, all’interno della stessa partitura, si confondono e si rimbalzano, suoni apparentemente solitari che magicamente producono una strabiliante ed equilibrata unione, appartenenze vocali e strumentali dissimili per melodia ma collegate tra loro da leggi armoniche. Un mondo nel quale non può che venire desiderio di visitarlo e attraversarlo sentendosi come Alice in wonderland.

 

Ecco, la voce unica, distinta, individuale, assai caratterizzata, monodica, all’apparenza, di Iaia Lorenzoni diventa, attraversando con la lettura le poesie del suo libro, un simposio simultaneo di più voci che provengono da risonanze tra loro lontane ma che procedono affiancate pronte a intonare comuni versi, canti, odi, inni sinfonici, preghiere poetiche. Una voce che diventa, parola dietro parola, una densa intesa di suoni che vanno a comporre un accordo armonico; un concerto di molteplici segni eseguiti simultaneamente dalla penna dell’autrice.
E allora, se polifonia significa in musica “uno stile di composizione che combina più voci indipendenti che evolvono insieme nel corso della composizione mantenendosi al contempo distinte l’una dall’altra pur essendo regolate da principi armonici”

 

Definizione liberamente tratta da wikipedia.it, allora possiamo dire che i componimenti poetici di Iaia Lorenzoni siano polifonia in parole e le leggi armoniche che governano tali parole siano il vento e la luce: il vento che “raccoglie il provvisorio e l’inaudito” e la luce che “lucida la vita che riluce,/ e la vita opaca”.
“Provvisorio e inaudito”, “vita lucida e vita opaca”, voci contrapposte eppure corrispondenti provenienti da profondità interiori diverse che tuttavia si incontrano a formare una concordanza polifonica dove tutto è amalgamato ma ha anche mantenuto la sua propria identità; dove ogni incontro è possibile, anche quello degli ossimori che congiungono gli opposti; dove l’inaudito, lo straordinario, il trascendente sta accanto, placidamente dissonante, al provvisorio, al contingente, al terreno, al transitorio, senza scandali colossali bensì in modo piacevolmente discordante, come è la vita: un continuo ossimoro che “ti accenderà le ombre”.
E la vita delle poesie di Iaia Lorenzoni passa per le “curve del vento”, “nel suo grande spirito inesausto”, perché “solo il vento quel che vede trova,/ comprende,/ tiene senza escludere,/ senza fare differenze”. Anzi, il vento unisce il tutto nella polifonia del suo richiamo, nel suo attraversare il ricco e il povero, il bello e il brutto, il genio e il miserabile; e li attraversa senza fare differenze di sorta, senza escludere né l’uno né l’altro; sibila all’orecchio di ognuno il suo canto, trapassa il buio per sfociare poi nella luce, trascina via la luce per ripiombare nel buio; nel frattempo li ha accarezzati e li ha cambiati; prima li ha colti bambini e, infine, li ha ritrovati adulti.

Proprio come l’autrice che, accompagnata dal vento, passa dall’infanzia all’età matura poi di nuovo alla giovinezza e poi alla dolce condizione di essere nonna e assaporare, indirettamente, la nuova infanzia che la guarda e le dice: “Vai nonna”; quella nuova infanzia che è come il vento, per nulla preoccupata del giudizio altrui e ancor più dell’ansia di dare giudizi lei, ma libera, impertinente, capace di coagulare e tenere insieme, con leggerezza, gli ossimori degli adulti e portarli, con delicatezza e incanto e la giusta e incorrotta autenticità, sulle “cime dei bambini,/ in cima”, là dove solo il vento può arrivare a ricomporre la luce, e la sua ombra, in una armonica polifonia.

Claudia Grazioli

 

L’Unilit di Urbino comunica che la presentazione del libro di poesia di Rosanna Gambarara, urbinate residente a Roma, prevista per Mercoledì 28 febbraio 2018, è rinviata a data da destinarsi (primavera inoltrata). L’unilit ricorda, fra gli altri nel Vademecum, due incontri:
Il giorno della primavera e della Poesia, 21 marzo 2018 ore 16,30 il ricordo dello scrittore Mario Agnoli (e del suocero Alfredo Zampolini); il Centenario dalla nascita di Carlo Ceci, incisore e docente della Scuola del Libro, Venerdì 4 maggio 2018 ore 16,30 sempre presso il Circolo Acli-Centro Universitario.