Senigallia, 26 luglio 2014 Sulla Resistenza e Enrico Mattei

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Senigallia, 26 luglio 2014 Sulla Resistenza e Enrico Mattei.

Ore 10,30 in Duomo ricordo del Vescovo Umberto Ravetta e del Cardinale Testaferrata;

ore 11 al Circolo cittadino La Fenice presentazione de “La leggenda del Santo Petroliere” di Maurizio Verdenelli con Vittoriano Solazzi, Giuseppe Orciari, Tarcisio Torreggiani.

 

Sta per scoccare il 70° anniversario della Liberazione di Senigallia, 4 agosto 1944; va da sé, che ne siamo presi a dovere in quanto è l’avvenimento più importante della stagione. Accanto, il Circolo -pur nella penuria dei mezzi e delle persone disponibili a ‘spendersi’- cerca di raccogliere le domande del territorio per aggiungervi la risposta che sembra opportuna. Di qui il senso del calendario che se al top mette a fine mese l’evento prima accennato (v. all. n. 1) -già da oggi è prevedibile ‘il tutto esaurito’ stante le significative presenze da città anche lontane, nel segno più genuino del glorioso C.L.N.-, però offre altro ancora. Infatti, finalmente imbastito in tipografia il percorso che a ottobre dovrebbe concludersi con la consegna degli “Atti del convegno «Alberto Polverari», adesso segue l’indicazione dei vari appuntamenti in agenda: a) 12 luglio, ore 18.00, alla galleria Expo-ex l’assessore Stefano Schiavoni (v. all, n. 2) inaugurerà la mostra “Dalla terra al mare” dell’amico e artista di vaglia Sante Arduini (più volte lo abbiamo avuto ospite al Mastai e, ai tempi della Galleria Lorenzelli di Bergamo, spesso in sinergia con Mario Giacomelli e Flavio Sabbatini!!!); b) a cavallo di queste due date ed anche a seguire, …. corrispondendo a quanti sollecitano la prosecuzione della ricognizione sul territorio e sui suoi protagonisti, incursioni in valle ed oltre cominciando dalle offerte che arrivano sull’asse Villa Castracane – Fabriano; c) infine, conversazioni pomeridiane al Mastai e/o nell’accogliente circolo cittadino ” La Fenice “.

Esaurita la summa delle coordinate, cominciamo ad entrare nel vivo dell’Evento Top del mese con qualche nota d’approccio ad Enrico Mattei e agli avvenimenti del tempo. Al momento ‘giro’ la memoria che Angelo Paoluzi, già direttore di “Avvenire”, ha stilato per Fanocittà diretto da Gastone Mosci. Poi, periodicamente, seguiranno altri sostanziosi ‘intercalare’ dato che in preparazione al Convegno del prossimo 26 luglio sono arrivati, sempre grazie al prof. Gastone, i preziosi contributi degli amici: Angelo Sferrazza (Roma) e Massimo Cortese (Ancona) + la foto-ricordo, fornita da Ivano Tacconi (Macerata) e puntualmente ‘girata’ a “Fanocitta” per la condivisione sul web, del compianto Segretario naz. ANPC Bartolo Ciccardini + un estratto dell’ampia intervista programmatica concessa da mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI -e allievo di don Italo Mancini- a Gianfranco Brunelli, direttore della rivista Il Regno. L’intervista sarà pubblicata sul prossimo numero de Il Regno – attualità (12/2014). Intanto chi volesse approfondire tutto da subito, può farlo digitando appunto Fanocitta e visitare i suoi Post “Valerio Volpini. La Resistenza “. Cordialmente F. Porcelli

 

Da “Fanocitta”, su Enrico Mattei a cura di Angelo Paoluzi.

5 maggio 1945 a Milano

Mattei ha 43 anni, un passato di medio imprenditore che si era fatto strada con le sue forze e che aveva chiuso, nel settembre 1943, l ‘azienda di cui era proprietario per non dover lavorare per i tedeschi. Nato ad Acqualagna, in provincia di Pesaro, da famiglia abruzzese (il padre, Antonio, sottufficiale dei carabinieri, era stato protagonista della cattura del brigante Musolino), nelle Marche aveva cominciato a organizzare nuclei di resistenza agli invasori ed ai loro complici fascisti, prima di trasferirsi a Milano, dove mise in piedi le prime “Brigate del popolo” di ispirazione cattolica e democratico-cristiana che operavano al Nord.

 

Fare il capo partigiano

Dopo la fucilazione dell’avvocato Galileo Vercesi, rappresentante dc nel comando generale delle forze partigiane, nell’estate del 1944 fu invitato a prenderne il posto come vice capo di stato maggiore addetto all’intendenza. Non era un incarico facile, perché il mondo al quale Enrico Mattei doveva riferirsi non aveva una solida struttura centralizzata e politicizzata, come quella di comunisti, azionisti e socialisti che l’avevano rodata attraverso anni di resistenza, esilio, persecuzioni e condanne. Essa però affondava le radici nella società civile e aveva messo in atto una serie di iniziative spontanee (si pensi a tutta la rete di soccorso ai ricercati, ai renitenti alla leva, ai prigionieri, agli ebrei) ma scoordinate e difficili comunque da tradurre in termini di partecipazione alla lotta armata e di collegamento organico fra reparti operanti alla macchia.

 

Il suo talento manageriale

Qui fu prezioso il talento manageriale di Mattei che, accanto al coraggio fisico in rischiose trasferte, lo sollecitava alle missioni, dall’Emilia al Veneto al Piemonte, di raccordo fra i gruppi, di rifornimenti di materiale bellico e di cibo, di presenza sul posto, di raccolta di informazioni, di coinvolgimento di preti e parrocchie. Este, Monti, Leone, Marconi furono i suoi nomi di battaglia: averne molti lo salvò da guai peggiori quando, il 26 ottobre ’44, i poliziotti fascisti lo arrestarono a Milano insieme con altri membri del Comitato di Liberazione Alta Italia. Cercavano Marconi, il tesoriere del CLN, e trovarono Monti, per loro molto meno interessante.

 

In prigione a Como

Dalla prigione di Como, dove era stato portato, riuscì a fuggire il 3 dicembre successivo, con l’aiuto del cappellano del carcere. Invece di rifugiarsi in Svizzera (come facevano in genere gli evasi d’alto rango, anche perché “bruciati” dall’arresto), tornò a lavorare al comando generale, nel ruolo di rappresentante dei partigiani cristiani, che controllava, oltre le Brigate del popolo, anche il Raggruppamento divisioni Alfredo Di Dio, le Osoppo, le Fiamme Verdi della Brianza, della Val Camonica e della Valtellina, i gruppi di alcune città dell’Emilia (Parma, Reggio Emilia e Modena), del Piacentino e altre formazioni minori. Senza contare la presenza di cattolici fra gli autonomi (in particolare quelli di Mauri in Piemonte) e nelle stesse Brigate garibaldine, come in Liguria.

 

I cristiani nella lotta partigiana

La partecipazione dei cristiani alla lotta partigiana trova un riscontro nell’atteggiamento generale della Chiesa di fronte alla caricatura di fascismo che fu il regime di Salò, non riconosciuto dal Vaticano e respinto dalla coscienza comune. Un alto ufficiale tedesco rimproverò a un vescovo che “l’85 per cento dei preti sono contro di noi”; e avrebbe potuto aggiungere la silenziosa complicità del mondo rurale, intriso di valori religiosi, che sfamava i partigiani e dava rifugio a prigionieri, perseguitati e fuggiaschi. E ciò rendeva meno arduo il compito di chi si batteva contro l’invasore e i suoi servi.

 

1946 in politica

In questo modo Enrico Mattei poté presentare a un congresso del suo partito, nel 1946, il bilancio della presenza cattolica nella Resistenza: 65 mila fra uomini e donne (nonostante tentativi di parte di ridurre il numero per accreditare unilaterali egemonie), raggruppati in 181 unità e saliti a 80 mila nei giorni dell’insurrezione, con 2000 morti e 2500 feriti. Registriamo che la fraterna unità di tutte le forze che avevano partecipato alla lotta ebbe il merito di aver collaborato alla vittoria finale degli Alleati impegnando in Italia sino a nove divisioni tedesche e la totalità delle unità militari della Repubblica di Salò.

 

Il testimone di 70 anni fa

A settant’anni da un’epoca che sancì il rifiuto del fascismo da parte degli italiani, forse troppo a lungo silenziosi o conniventi, è giusto ricordare la figura di Enrico Mattei come combattente della libertà, al di là di quanto operò in seguito come grande manager di Stato. Da esponente della Resistenza si è trovato in sintonia ideale con le grandi figure di martiri che i partigiani cattolici hanno espresso, da Giancarlo Puecher a Teresio Olivelli a Ignazio Vian, da Giorgio Catti ai fratelli Di Dio, da Filippo Beltrami a Giacomo Ulivi; è passato attraverso la prova, il rischio, il timore di chi impegnava la propria vita in una partita che non si sapeva come sarebbe andata a finire. Ha meritato la riconoscenza degli italiani, non soltanto cristiani, per aver collaborato alla vittoria della democrazia e della libertà.

 

Il combattente

Nella motivazione della medaglia che gli fu concessa dal generale Mark W. Clark, comandante della 15.a Armata, si riconosce l'”azione eroica riguardante le operazioni militari contro il nemico dal 1° marzo al 2 maggio 1945… Malgrado la scarsità delle armi e di equipaggiamento, intralciò sempre il nemico con continui atti di sabotaggio e con attacchi su convogli e truppe. Dimostrando sorprendente abilità e talento, unitamente a grande lealtà ed eroismo…”.

Angelo Paoluzi