Mario Luzi
Carlo Bo e Mario Luzi nella Sala del Trono del Palazzo Ducale di Urbino in occasione dei festeggiamenti dei 50 anni di Rettorato, nel 2007. Foto di Paolo Bianchi.

3. Centenario di Mario Luzi 1914 – 2014

in Centenario di Mario Luzi 1914 - 2014

Fanocittà | Centenario di Mario Luzi 1914 – 2014

 

Mario Luzi

 

3. UN RITRATTO DI MARIO LUZI (II – Fine)

di Carlo Bo

Quindi allora i rapporti, le relazioni fra poeta, fra scrittore e lettore erano dei rapporti molto sottili, anche se molto più profondi forse di quello che sono oggi. E Luzi ha sempre rappresentato una specie di capofila della poesia nuova.

 

Quale era lo stato della poesia?

 

E in che stato era la poesia allora? C’erano dei grandi poeti. Nel ’33, sono cinquant’anni adesso, Ungaretti pubblicava “Sentimento del tempo”, nel ’25 erano usciti gli “Ossi diseppia”, e Montale avrebbe pubblicato nel ’39 “Le occasioni”, ma si trattava sempre di qualcosa di molto particolare che interessava gli addetti ai lavori o i famosi 25 lettori del Manzoni, oppure quella piccola schiera di lettori che, secondo Valéry, sarebbe stata pronta a dare la vita per Mallarmé, per una poesia di Mallarmé, come una soecie di setta, o per essere più precisi, una specie di religione.

 

 

Cosa trovavano i giovani nella letteratura?

 

Questo fatto era anche accresciuto e reso più vivo, più sensibile, dal clima politico e sociale di quel tempo, i giovani cioè trovavano nella letteratura e in particolare nella poesia quello che non trovavano nella vita comune, trovavano una ragione di fede, trovavano un proprio credo. Anche senza arrivare agli estremi del simbolismo, cui del resto Luzi si rifà continuamente, non solo nella prima stagione, anche senza arrivare a quel punto, bisogna dire che questa nozione di poesia si è irradiata a tutte le città e anche in provincia. Esisteva in tutta Italia e si è costituita una vera religione, qualche cosa di più importante di un partito.

 

 

Cos’era l’ermetismo?

 

L’ermetismo infatti ha avuto fra le sue caratteristiche quella di aver trovato una chiave di discorso apparentemente fuori di ogni logica, ma che servisse, ed aiutasse a comprendere quello che erano le aspirazioni dei nuovi lettori. E Luzi con il seguito della sua opera e soprattutto con “Avvento notturno” del 1940 ha costituito uno dei caposaldi della poesia ermetica.

 

 

Il ruolo di Luzi

 

Poi c’è stata l’interruzione della guerra, c’è stato questa specie di diluvio; la guerra ha cambiato molte cose, e correggendo quella che era una legge fissata da Renato Serra, ha cambiato molto anche in letteratura. Perciò alla fine del ’45 di quel clima dell’ermetismo sussisteva ben poco. E Luzi bisogna dire che ha avuto la coscienza insieme ad altri poeti della nostra generazione, come ad esempio Vittorio Sereni, di accorgersi di quello che era successo, di sentire che non si poteva continuare come prima, che bisognava prendere coscienza di quello che era avvenuto: da qui le poesie di “Quaderno gotico”, da qui si inizia il secondo periodo della poesia di Luzi.

 

 

Il mondo nuovo dopo la guerra

 

Poi c’è stata un’ultima trasformazione, ma sempre su questa linea, con uno svolgimento naturale, sempre critico, nonostante Luzi apparentemente possa sembrare astratto o separato dal contesto della società. Abbiamo allora avuto il periodo forse più famoso, meglio letto e più partecipato della sua opera, che comincia con “Dal fondo delle campagne” e continua poi con “Nel magma” e arriva a “Su fondamenti invisibili”, a una delle chiavi di Luzi, al rapporto costante fra la coscienza, fra Dio e il mondo esterno.

 

 

Luzi approda al teatro

 

Per cui alla fine di questa evoluzione è stato naturale che Luzi approdasse a delle forme apparentemente diverse dalla poesia, vale a dire al teatro. Cosa che però preesisteva in Luzi, e non soltanto nelle poesie nuove di “Nel magma”, poemetti che sono letture del proprio cuore e letture del mondo esterno. Ricordo che nel ’47 mi trovavo fra i giudici di un premio a Lugano e Luzi mandò un’opera di teatro che era soltanto un dialogo. Luzi (lo possiamo dire senza esagerazioni, senza vanteria, lo può dire uno che è suo vecchio amico e parla a nome di quelli della sua generazione che sono ancora in vita ed anche dei suoi maestri che l’hanno sempre considerato una figura eminente) ebbene Luzi all’inizio ha rappresentato il poeta nella sua forma più pura e poi ha rappresentato un poeta che si guarda intorno e dà voce non solo alle proprie speculazioni ma a quelle che sono le ansie, le aspettative e i palpiti del mondo nuovo, del mondo che ha subito grandi trasformazioni.

 

 

Luzi fra Ungaretti e Montale

 

E si potrebbe aggiungere che attorno a quello che era il suo capitale iniziale, un capitale formato proprio in quegli anni, in gran parte dovuto alla frequentazione dei francesi, ma anche alla frequentazione dei nostri classici e dei classici antichi, il Luzi ha saputo raccogliere quello che rimaneva fuori dalla ricerca di Ungaretti, che era una ricerca a senso unico, e dalla ricerca invece più vasta di Montale. Ha saputo trovare degli spazi nuovi, ha saputo occuparli, ma nella maniera più degna e sempre con quel riserbo che costituisce una delle grandi doti umane del nostro amico.
Non avrei altro da aggiungere se non unirmi ancora a quello che è già stato detto, vale a dire portare a Luzi un ringraziamento non soltanto mio ma dei lettori, che erano a loro volta dei lettori puri, così come un tempo esistevano dei poeti puri, gente che non chiedeva alla letteratura niente al di fuori del piacere della letteratura, della partecipazione ad un modello di vita, in questo senso credo che l’insegnamento di Luzi non sia contestabile da nessuno.

E vorrei concludere questa mia testimonianza con una poesia nuova che pochi di voi avranno letto perché è appena apparsa in un settimanale di Roma. La poesia si intitola “Frasi”.

Frasi

Non sempre tace, gorgoglia
a tratti il messaggio,
a tratti in emersione lo sorprende

tempestosa

la sua

interminabile

traversata delle epoche –

ne porta

il vento ai mortali
qualche brano,

arriva loro,

strappata, qualche frase
quasi umana
lisa dalla distanza

poi torna

alle sue profonde cavità
l’abissale borborigma, so suoi
oscuri subaquei spostamenti verso l’omega e l’alfa.

 

E ora alle prime luci della mente
spaventata dal risveglio, chi è, ora, che non parla
e neppure farfuglia
o chi è che non ascolta?

C’è silenzio

o c’è sordità – sebbene
cosa cambia? – qui nel gorgo
sparso di rottami
fino alla linea scura della costa
molto da noi lontana,
in questa voragine di tempo
dove tutti i tempi precipitano
i loro lacerti sanguinosi
in unica poltiglia, scambiando i corni per unghie
e la fine per l’origine, irridendo
il cuore con quella mostruosa permuta?

 

Sparita dove, morta in un ignoto ricovero
e celeste intrasentita a Efeso
da pochi, da meno ancora a Patmos –

 

ed eccolo nella più interna lenticola
di quel pensiero, si fissa
ivi, si annida
lui profugo incessante della morte,
solo senza profeti né apostoli,
solo nella sua immagine,
rientrata la parola, rientrato il silenzio della parola
nella chiara e terribile
semplicità del suo esserci.

E mi guarda

palpitando dalla sua indicibile simiglianza

(1983, 1-continua, in “Scritti su Mario Luzi”, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2004, sottotitoli red.)

Carlo Bo