Raimondo Rossi Ritratto di Mario Luzi penna Assisi 8 marzo 2002
Raimondo Rossi, Ritratto di Mario Luzi, penna, Assisi 8 marzo 2002

8. Centenario di Mario Luzi 1914 – 2014

in Centenario di Mario Luzi 1914 - 2014

Fanocittà | Centenario di Mario Luzi 1914 – 2014

Mario Luzi 

L’ombra di Mauriac nei dialoghi fra Mario Luzi e Carlo Bo

di Gastone Mosci

All’inizio degli anni Sessanta la Fiera Letteraria viene rilanciata con la direzione piena di Diego Fabbri e la redazione affidata a Gino Montesanto, fino a quando non passa alla Rizzoli. Il settimanale era letto anche dagli universitari e da giovani curiosi della letteratura. Eravamo sollecitati a lezione da Carlo Bo, che ogni quindici giorni vi faceva uscire un suo lungo articolo. Bo aveva cinquant’anni, era coraggioso, libero, affrontava le questioni di letteratura e d’umanità, della letteratura che invadeva altri campi, la politica, ad esempio, il cinema, il teatro, la vita cristiana. I suoi corsi monografici erano allora su Pascal, Péguy, Bernanos, Mauriac. Un continuo richiamo ad una letteratura francese pensosa, impegnata, inquieta spiritualmente. Uscivano allora Siamo ancora cristiani? (1964) e L’eredità di Leopardi (1964). Quell’insieme di sollecitazioni stimolava la curiosità di noi studenti anche nei riguardi dell’editoria francese. E così si prendeva un quotidiano a portata di mano come Le Monde anche per le cronache del Concilio o si andava alla ricerca del Mauriac del Figaro Littéraire, che chiudeva il supplemento settimanale, leggibilissimo, affascinante, convincente. Mauriac era dalla parte di de Gaulle, Bo per Fanfani e Moro. La nota di Mauriac era di tensione etica, mirava a colpire le trasgressioni dell’uomo, era spesso polemico, specie in politica. Mauriac era un narratore, invece Bo esercitava il suo ruolo critico, dava impulso ad una mediazione acuta, voleva sempre interrogare e far capire la sua proposta. La Fiera Letteraria era il settimanale dell’intellighenzia letteraria non affaticata nello sperimentalismo e nell’esasperazione ideologica, era letto anche in Francia. Bo sprigionava il desiderio della conoscenza e il respiro della curiosità, niente ideologia né protervia. Mauriac era una sfida permanente del pensiero cristiano, un credente in lotta e sospettoso, Bo si dichiarava un aspirante cristiano, ma compromesso con lo “scandalo della speranza”, titolo di un suo famoso libro del 1957. Il dialogo fra i due sembrava a distanza. Qualcosa si riusciva a percepire e a capire. Del resto Carlo Bo conosceva bene lo scrittore di Bordeaux, lo aveva letto fin dalla giovinezza, aveva scritto già tantissimo sui suoi libri, su lui e la rete dei suoi contemporanei, sul narratore di drammi femminili, sul credente alla ricerca di Cristo, sul senso della solitudine moderna.

In quegli anni Mario Luzi veniva a Urbino per i corsi estivi, conversazioni sulla poesia e tavole rotonde sulla letteratura francese. L’animazione culturale era vivace e la partecipazione dei docenti sempre cordiale e disponibile: c’era un dialogo continuo docenti-studenti, una corrente calda d’umanità. Questo spirito urbinate non rimaneva estraneo a Luzi, né distante dal suo mondo spirituale che aveva già iniziato a fare i conti con Mauriac. Tante cose si conoscono dopo, quando certi interessi passano e si è presi da altre questioni. Luzi portava nel dibattito urbinate la tensione della conoscenza di Mauriac, secondo una lettura che ne dava anche Bo: Luzi era per Mauriac e per la letteratura insieme, era per la creazione e per lo spirito religioso insieme, che animavano la sua vita. Ritrovo questo richiamo di Bo nelle pagine dedicate a Luzi, che sono in Letteratura come vita. Antologia critica (1994). Luzi si poneva in una concezione integrale di letteratura e vita insieme, Bo invece distingueva sui compiti della letteratura e sulle risposte della vita con una certa politicità. Luzi leggeva il Mauriac del problema del male che collegava alla coscienza, poi i temi della sincerità e della passionalità, cos’era sofferenza e cosa felicità, come porsi di fronte ai tormentati ed agli irrequieti in Aspetti della generazione napoleonica (1956). Ma avanzava in lui sempre più il “fattore coscienza”, il famoso opium chrétien, anche titolo della sua tesi di laurea del 1934, la coscienza è l’oppio del cristiano, il suo “tormento” (“contemplazione” per Bo). Tanti scrittori si sono posti nel sistema dell’inquietudine, nel dissidio tra vita e coscienza religiosa: Bo e Luzi dialogano su questo fronte, vicini, immersi nel cattolicesimo e nel pessimismo. Mauriac li cattura entrambi ma i conti rimangono aperti. Mauriac è narratore, Luzi è poeta, Bo critico letterario.

Mauriac trasforma l’individualismo in domanda sociale, Luzi è la sincerità che si affida alla coscienza che va oltre il testo, Bo sostiene la dignità del lettore e di chi vuole conciliare i segni dello spirito. Mi sembra che tutto questo sia l’espressione d’una libertà, la libertà comune del creatore e del lettore.

Gastone Mosci