Mario Luzi 1993

5. Centenario di Mario Luzi 1914 – 2014

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Mario Luzi 1993

 

II. IL LAVORO DI TRADUTTORE DI MARIO LUZI

di Carlo Bo

Recentemente avevamo parlato della traduzione di Andromaque del Luzi, ora l’invito è allargato a una visione più larga di quello che è stato il suo lavoro di traduttore. Luzi nelle rapide pagine introduttive spiega le ragioni di questo particolare capitolo della sua attività: è un esempio di modestia e di semplicità. Luzi non appartiene di certo alla famiglia dei traduttori di professione nel senso che incontri e dimore sono stati di volta in volta occasionali ma proprio nell’ambito dell’occasione ha avuto modo di comunicarci il senso di questo suo discorso ‘marginale’ e nello stesso tempo capitale perché strettamente collegato alle ragioni della sua invenzione poetica. E fa anche la storia o almeno traccia le linee essenziali di questa vicenda ‘minore’: per generazione il Luzi appartiene a un tempo che era ancora suscettibile di scoperte, di veri e propri viaggi in continernti che per la loro lontananza potevano apparirci mitici. Il tempo in cui soprattutto Poggioli e Traverso tenevano cattedra di traduzione poetica sulle riviste del tempo.

 

 

I traduttori fiorentini

 

Il primo a affrontare questo tipo di lavoro è stato ilo Poggioli con i poeti russi (di stretta appartenenza agli specialisti, in primis di Lo Gatto), subito dopo seguito da Traverso che invece scelse i tedeschi. Dopo seguirono un po’ tutti gli altri della stessa generazione mentre i nostri fratelli maggiori avevano già dato prova della loro partecipazione critica in questo senso: penso ai Montale, ai Solmi, naturalmente all’Ungaretti. Verso il Quaranta la traduzione era in qualche modo un genere e non sarebbe giusto dimenticare le grandi affermazioni di Quasimodo in questo campo. Non mi sembra che sia stata tentata ancora una guida di queste voci riflesse che alla fine hanno condizionato l’evoluzione stessa della nostra poesia. Ben presto si passò dall’esercizio libero al professionismo, alle svelte antologie di gusto seguirono i grossi tomi delle opere complete.

 

 

Luzi traduttore di pura ‘occasione’

 

Ma questo è un secondo capitolo. Luzi rientra a pieno diritto nel primo, nel senso che le sue scelte dipendevano dalla pura ‘occasione’, dall’incontro di gusto e di interessi. Naturalmente con il passare degli anni ha fatto qualche strappo alla regola epperò il lettore potrà, per esempio, spiegarsi meglio la presenza in questo volume del poeta Sainte-Beuve, forse da un punto di vista del cronista il più sorprendente e il più curioso, in questi casi voleva di re che il Luzi approdava, per lavoro a continenti così diversi e lontani. Ma anche nel caso di questi obblighi soddisfatti, è ben riconoscibile l’impegno e la capacità di inserimento della sua intelligenza poetica e mi spiego: proprio in situazioni così insospettate il lettore raccoglie meglio quello che è il fondo di disponibilità del Luzi. Infine chi conosca la storia della sua poesia saprà trovare da solo le ragioni delle consonanze e delle scelte.

 

 

Pronto a scelte nuove

 

Da aggiungere che non si tratta mai di scelte obbligate o di soste canoniche: per esempio quando vediamo Luzi tradurre Frénaud o Cadou dobbiamo aggiungere qualcosa alla tavola delle nostre nozioni. Noi spesso siamo portati a non superare certi recinti ufficiali: benissimo Mallarmé o Valéry ma come mai Supervielle e Guillén? E’ chiaro che il dubbio o l’incertezza ci vengiono dalla insufficiente ragione della nostra visione, nel senso che essendo portati a schematizzare preferiamo stringerci al palo, non lasciare aperti altri varchi. Insomma quando pensiamo di aver tracciato in maniera definitiva un percorso, ci accorgiamo che ci sono molte deviazioni e dentro queste correzioni di itinerario devono esserci stati altri motivi, altre voci, tutte cose che alla fine mettono in crisi la nostra buona coscienza.

 

 

Nel cuore della dimensione interiore

 

Direi che proprio qui vada cercato il significato più nuovo e alto del libro, per il resto era pacifico che il Luzi è stato un traduttore principe, tale da poter convivere tra Traverso e Landolfi, anche se con altre prerogative e senza programmi prestabiliti. L’occasione ancora una volta non è stata segno di debolezza o di fragilità interiore e va intesa piuttosto come una delle tante coincidenze miracolose, che consentono alla poesia di trovare altri nutrimenti e altre suggestioni. E la stessa misura – tutta interiore – di questi incontri sta a confermarci che tradurre i francese è stato per Luzi un capitolo inevitabile e capitale della sua educazione. Un po’ come dire che è stato un traduttore soltanto per intima necessità.

Carlo Bo