LA POESIA RELIGIOSA DI UN FRATE DI SASSOFERRATO
Padre Stefano Troiani, pellegrino nella mente di Dio
di Gastone Mosci
Secondo libro bianco di poesia di Padre Stefano Troiani del Convento La Pace di Sassoferrato per i suoi 87 anni, «E fu sera e fu mattina» (introduzione di Maria Lenti, La Luna 2013), presentato a Palazzo Oliva di Sassoferrato il 26 gennaio 2013 da Fabio Ciceroni, Maria Lenti e Gastone Mosci, cordinatore Galliano Crinella. Nella stessa Giornata dedicata alla Poesia anche la presentazione del libro postumo di Sabrina Iachetti, « Cade una foglia » (A cura di Alessandro Sartori, Note di Maria Lenti e Ivana Iachetti, Istituto Internazionale di Studi Piceni, unaluna 2011). Sono intervenuti il sindaco Ugo Pesciarelli e l’assessore alla cultura Massimo Bardelli. Collaborazione all’arpa celtica di Andreina Zatti, letture di Ornella Limoncelli. Ha presenziato p. Stefano Troiani. Nel numeroso pubblico artisti e scrittori: Fabio M. Serpilli, Raimondo Rossi, il fotografo Giorgio Cutini, Sandro Pazzi, P. Blanco, Bruno Mangiaterra, Margherita Galli, Silvia Caldarigi, Graziano Ligi, Alfredo Ferretti, Antonio Cerquarelli, Antonio M. Luzi. Ha inviato un messaggio il poeta Eugenio De Signoribus.
Con questa nuova esperienza poetica, « E fu sera e fu mattina » (introduzione di Maria Lenti, La Luna 2012), p. Stefano Trojani rende partecipi i lettori di una serie di riflessioni e di domande rivolte a se stesso, al suo essere, testimoni della sua ricchezza spirituale: un percorso che ha un fascino incredibile, perché attraversa la « struttura dello spirito » e tutte le virtù dell’essere umano. Questa situazione poetica viene arricchita dall’apporto visivo del pittore Sandro Pazzi, che presenta otto tavole che accompagnano il testo. L’artista si pone in un angolo dal quale dominare il paesaggio e offrire una condizione pacificata dell’ambiente, con lo stesso spirito di partecipazione del poeta.
La poesia di Trojani non è più la «preghiera-canto» di « Invocazioni e lodi » (laluna 2010), ma il desiderio del « pellegrino nel tempo » alla ricerca di una liberazione spirituale ed esistenziale assoluta. Il testo poetico « Pellegrino nel tempo » dichiara l’inquietudine di « quel mio essere in cammino ». In questo contesto si trova la ragione del titolo del libro, « E fu sera e fu mattina », con il fuoco creativo di Dio, la narrazione della creazione: non il dramma degli eventi, ma – per p. Stefano – l’incontro delle cose, dei luoghi e delle creature più comuni e più umili, il mondo naturale all’insegna di Francesco d’Assisi. « L’idée créatrice n’est pas une pure forme intellectuelle […] au contraire le germe spirituel qui feconde notre art n’est pas pour nous qu’un rien divin à peine entrevu, obscur à nos propres yeux… », dice Maritain nel saggio « Frontières de la poésie » in « Le Roseau d’Or » (14, Chroniques 3, Plon, 18 mars1927, p.5).
La prima sezione del libro, « Taccuino », è un susseguirsi di emozioni con i testi « Le viole », « La grande quercia », « La farfalla », « La cetonia » e con altre dieci composizioni fino a « Un ragno nella stanza », la storia del fratello ragno, il suo vivere e il suo sperare. Il poeta percorre un tempo di pacificazione, dove si parla con i tempi della natura, di fratellanza universale per poi procedere alla sezione delle « Riflessioni », il luogo delle ragioni della sua poesia, sensibile alle sollecitazioni letterarie del Novecento. La poesia si trova nelle cose semplici, nella natura, nei gesti umani essenziali, è un continuo « rien divin » maritainiano, un frammento di Dio: questo sembra dire p. Stefano, ma la si può vivere anche nei temi impegnativi dello spirito e dell’intelligenza umana: il sogno, la bellezza, l’amore di Dio, il desiderio d’infinito, il tempo del vivere, le ragioni del cuore, l’azzardo del mistero e della morte, lo stare in ascolto, la felicità, il vento dello spirito. Questi richiami, che sono spesso titoli di poesie, sono ricchi di memorie poetiche di Dante, di Alda Merini, di poeti rivolti a inquietudini profonde, alla comprensione della precaria situazione della convivenza umana, tenuta spesso ai margini, annullata dal silenzio mediatico, nascosta come zona grigia. L’autore coglie così la nebbia dell’indifferenza, lo smarrimento del fuggire del tempo specie nei versi di « Fra cielo e terra », che è in prima istanza una boccata d’aria dal colle del convento, un dolce sguardo nell’orizzonte del paesaggio, un porsi nel mistero del cielo luminoso, nella mente di Dio. Le visioni che turbano, pur se sotterranee, sono presenti nella riflessione di padre Trojani, partecipano alla difficile situazione d’oggi dei poeti e della poesia.
All’umanità che pone domande di senso, p. Stefano dedica la terza parte dell’opera, « Fiotti di memoria »: la quotidianità delle cose semplici, del tempo che sopraggiunge, dell’amorevole sguardo curioso della vita, dell’incanto de « L’estate dei rondoni » che si contrappone a « Il vento e il tempo » oppure a « Il vento ». Ci si trova in una ventata che avvolge le cose, in un cenno di commozione: la poesia si propone nel contesto, nasce dal fare della natura, si accende nell’amore per i luoghi. Si tratta di un nuovo equilibrio dello spirito? Padre Stefano si interroga con passione, non si lascia condizionare, è libero, il sentimento non provoca incertezze.
E sempre il ritmo del canto recupera la luminosità delle invocazioni, di sedici « Invocazioni », che sono dichiarazioni di fede, canti d’amore, voci di speranza. La semplicità della preghiera domina l’ambiente che lo circonda. Padre Stefano elenca le tappe della sua orazione: l’Ave Maria, che dà sollievo alla vita, e richiama la visione del volto di madre, mentre il Signore invocato nella bellezza della notte accende un lento ritmo di danza, che è il passo di gioia e d’ascolto di Stefano. Tutti i testi sono sospiri, movimenti del cuore, gesti di benedizione, attesa di una chiamata, canto ininterrotto di salmi, segni del Tau. La parola è suono e visione, comunicazione di santità, segno del fare dell’uomo e gesto d’ascolto come si coglie in due poesie finali. Nella prima, « Meditazione », è l’uomo santo che agisce, riconosce il suo prossimo, cerca un orizzonte, nella seconda che ha per titolo « Dio », « Dieu premier servy », sta il cammino di padre Stefano.
« Ho scritto / sulla sabbia / una parola: / Dio. / Il vento / con un forte risucchio / ha sollevato / ogni segno / di quel nome / e l’ha fissato / in ogni traccia / anche delle più segrete / e sconfinate / lontananze ».
E’ il sigillo con l’animo di Agostino d’Ippona, ma soprattutto di Dio che lascia il segno. (Gastone Mosci)