Parigi il 1968
Parigi il 1968

Angelo Sferrazza, il ’68 urbinate di Umberto Piersanti

in Lettere e Teatro

Angelo Sferrazza, il ’68 urbinate di Umberto Piersanti

Parigi il 1968

 

Sullo scrittore urbinate Umberto Piersanti, autore del recente romanzo “Cupo tempo gentile” (Marcos y Marcos 2012) e sul lungo viaggio della protesta giovanile dal ’68 al 2012 interviene lo scrittore fanese Angelo Sferrazza, già direttore dell’archivio della Rai. Un nuovo Maggio parigino? 

 

DAL ’68 al 2012 IL LUNGO VIAGGIO DELLA PROTESTA GIOVANILE

di Angelo Sferrazza 

 

Occupy Wall Street. Indignados, (ispirato dal libro-manifesto di Stephan Hessel Indignatevi!), no global, black blok, antagonisti, manifestazioni violente qua e là per l’Europa, disoccupazione giovanile. Siamo di fronte ad un nuovo sessantotto? Sicuramente no. Il sessantotto maturò in un clima politico e culturale diverso e i giovani di oggi non sono gli eredi dei ragazzi di Berkeley, del maggio francese e dell’utopia di una generazione sognante che voleva cambiare il mondo e che si ritrovò di nuovo emarginata e riassorbita dal “sistema”. Fu un movimento che sfiorò anche il mondo comunista con la “Primavera di Praga” e che ha avuto buoni e cattivi maestri, ma un retroterra culturale robusto. Tutte le Università furono coinvolte, anche le più piccole e periferiche; stesse parole d’ordine, stessi slogan, una koiné del ventesimo secolo, assai diversa da quella d’oggi, specialmente nella comunicazione. Allora si viveva di ciclostile, volantini, megafoni, telefoni a gettone e si ascoltava la musica con il giradischi, oggi twitter, social network, sms, hanno sostituito l’incontro fisico e la rete le assemblee, noiose e affette da bulimia oratoria. Meno tribuni, più clic!

 

L’urbinate Umberto Piersanti
Umberto Piersanti, docente universitario, ma soprattutto notissimo poeta, ci racconta gli ultimi sussulti dell’occupazione dell’Università di Urbino, con un romanzo, meglio dire un diario, dal titolo, già un verso: “Cupo tempo gentile” (Marcos y Marcos 2012). Con scrittura leggera, ci fa rivivere quegli anni lontani attraverso l’esperienza di un giovane laureato in lettere, Andrea, partecipe di quel sogno utopico, ma incapace di uscire dal suo guscio culturale. Andrea dopo vari tentativi di far incontrare il “movimento” con la poesia, pur di sinistra, chiuderà la sua esperienza di mentore incompreso e “riformista” il giorno in cui, a pochi metri dal Palazzo Ducale, esplode la violenza fisica. “Cupo tempo gentile”, un ossimoro, una metafora, una denuncia dell’impossibilità di far convivere la cultura con l’irrazionalità e il fanatismo.

La nouvelle vague del 1957
Ma il sessantotto non nasce dalla sera alla mattina. Ne è modello quello francese, sola ed indiscussa icona di quel tempo. Nel 1957 esce a Parigi La nouvelle vague di Françoise Giroud ( 1959- Bompiani La nuova ondata) un’inchiesta condotta in Francia fra i giovani dai diciotto ai trent’anni dall’ autorevolissimo settimanale L’Express di cui la Giroud era direttrice. L’inchiesta denunciò la grande insofferenza dei giovani francesi, di tutte le categorie e parti politiche. E’ la Francia che soffre ancora di Indocina e Algeria, ma anche quella dell’esistenzialismo, degli intellettuali “impegnati”, di Jean-Paul Sartre ed Albert Camus con “L’uomo in rivolta”. Il “maggio francese” sarà l’unico movimento che svilupperà un percorso politico: la protesta degli studenti si salderà infatti con quella degli operai.

 

La questione algerina
La Francia piomberà nel caos, gli ultimi giorni di maggio sono drammatici, si respira aria di Comune. I “chienlit”( mascherata, ma in senso dispregiativo piscialetto) come li definì, con linguaggio da caserma, il Generale De Gaulle, avevano messo in crisi il sistema. Il Generale prenderà in mano la situazione con mano ferma, anche con l’aiuto “coperta” dei militari e del Generale Massu, quello dell’Algeria. Così si spegne il maggio francese, violento, dissacratore, ma certamente immaginifico, fantasioso e per certi versi gioioso. Il “maggio”tedesco, quello sì cupo, ebbe uno sviluppo tutto interno, all’ombra di Marcuse.

Il maggio ’68 parigino
Il modello francese in Germania non funzionò perche si scontrò con la struttura monolitica del potere, lo sbarramento mediatico e l’opposizione degli operai. Berkeley che tanta eco ebbe in Italia più che in altri Paesi ha avuto una storia a sé: gli obbiettivi erano interni, ma benefici per la società americana, soprattutto per le lotte antirazziali. Un discorso a parte e non certo esaltante si dovrebbe fare per il suo contorno, quello variopinto di hippy, figli dei fiori… e purtroppo droghe. Ciò che univa tutti i movimenti era la contestazione anche violenta alla guerra del Vietnam. Ma con una differenza di non poco conto: per gli americani la finalità era migliorare l’America, per tutti gli altri invece distruggerla. Nel 1993, a 25 anni dal sessantotto, il Corriere della Sera interrogò un gruppo di intellettuali su quel periodo. Carlo Bo, al tempo di “Cupo tempo gentile”, magnifico rettore dell’Università di Urbino e certo non appartenente alla vasta schiera “moderata” della quasi totalità dei Rettori italiani, nell’intervista fra l’altro disse : “Il Movimento… partito anche con delle giuste rivendicazioni, si è poi perduto in un mare di chiacchiere, dove tutto era messo in discussione senza arrivare ad una pur minima conclusione”. Forse qualcuna di quelle chiacchiere ha contribuito a cambiare qualcosa. Purtroppo anche a seminare i semi tossici della violenza che esploderà negli anni settanta. Ma questa è un’altra storia.