Dante Domenicucci
Dante Domenicucci, foto di Paolo Bianchi, Urbino, 1982.

Centenario della nascita di Dante Domenicucci a Urbino

in Arte

Centenario della nascita di Dante Domenicucci a Urbino

 

 Dante Domenicucci

 

ARIA NUOVA NEL MONDO ESPOSITIVO URBINATE IL CENTENARIO DI DANTE DOMENICUCCI NEL SEGNO DI PAOLO VOLPONI

di Gastone Mosci

 

Le iniziative per il Centenario della nascita di Dante Domenicucci (Urbino, 26 maggio 1915 – 11 aprile 1989), promosse dall’Accademia Raffaello, portano aria nuova nel mondo espositivo urbinate: si parla di un artista non consacrato che si è formato alla Scuola del Libro, che ha seguito le lezioni di Leonardo Castellani e di Francesco Carnevali, che ha vissuto una vita tumultuosa fra malattie e ricoveri in manicomio. Domenicucci è stato un personaggio tenuto ai margini della cittadinanza più snob ma amato dalla gente della piazza guardato con curiosità, con simpatia e premura da Paolo Volponi. Nel suo nome, nel segno delle pagine di “Memoriale” e con lo stupore di quei personaggi letterari si può leggere questa piccola personale postuma.

 

 

Domenicucci Soldati alleati 

14 studi di disegni di soldati Alleati

 

L’animazione stupita dell’inaugurazione e la disposizione dell’esposizione sono la felice comunicazione di uno spaccato storico: la proposta di reincontrare questo artista quasi dimenticato e quasi sconosciuto per i più ma che è stato sempre vivo nella mente di Paolo Volponi.

Tre punti nodali mi hanno attratto. Innanzitutto l’autore dei disegni dei militari Alleati, soprattutto inglesi, disegni a china, mediamente mm. 300×200, eseguiti fra gennaio e luglio 1945, la fine della guerra; gente d’armi in attesa di rientrare in patria, il nucleo di 14 ritratti e ritrattini di soldati con volti in movimento, in attesa di raccogliere notizie, di interrogare il futuro, fogli con variazioni di prospettiva e maestria dei segni, perfezione della punta rapida del pennino (tanti volti apparentemente anonimi tutti invece con espressioni personali, vitali, di felicità e di inquietudine, posti in un contesto affollato con primi piani di soggetti che leggono, che scrivono, che giocano a carte, e pensano). Ogni foglio raccoglie una storia del campo militare, testimone la bravura e l’intelligenza creativa del disegnatore, del suo sguardo indagatore. Alcune opere sono affascinanti: la prima, fuori tema, sei volti femminili sembrano personaggi de “La strada per Roma” (1991) – potevano appassionare Volponi – , poi i “musicisti italiani” a p. 16, “volti e figure di soldati” a p. 17, “volti e figure” in movimento a p. 15 con una faccia femminile misteriosa.

 

 

Renato Bruscaglia, Ritratto di Dante Domenicucci, 1948, olio su tela, mm. 480x380 

“Che titolo daresti alla vita di Dante Domenicucci?”

 

“Che titolo daresti alla vita di Domenicucci?”, scrive Volponi a Egidio Mengacci nel 1961 nel contesto segnato dalla scrittura di “Memoriale” (1962) e dei personaggi “nuovi” del romanzo, con la faccia “giottesca”, e dal suo cambiamento di rotta etica e culturale, dopo la morte di Adriano Olivetti. Quella digressione raccolta da Giorgio Cerboni Baiardi nella sua introduzione può far meglio capire la situazione dei disegni di Domenicucci, il turbato stato d’animo di Volponi e il suo interesse spirituale a raccogliere il materiale artistico dello sventurato amico artista.

 

 

Il libro d’artista: “Intermezzi” di Cervantes

 

Domenicucci nel 1939 partecipa alla Terza Quadriennale di Roma, vive una situazione psicologica difficile di malanni familiari continui, ma è operoso e si dedica all’unico suo libro, di studente del secondo anno di perfezionamento della Scuola del Libro, il suo libro per eccellenza, “Intermezzi” di Cervantes: lavora a otto incisioni e al frontespizio, le calcografie sono create, incise e stampate da lui, dopo il disegno e le morsure dello zinco, dopo le lastre incise deve realizzare l’acquatinta, incisioni e acquetinte a tre, quattro o cinque colori, lavoro lento di anni, tiratura cento esemplari, in 8°, carta pregiata Fabriano. Tutte le maestranze dell’istituto d’arte gli danno una mano: il docente di calcografia Leonardo Castellani, di composizione Francesco Carnevali, i maestri d’arte tipografica Domenico Foglietta, Arturo Poggioli e Giuseppe Del Vitto. Il colophon del libro dichiara la stampa il 31 maggio 1943, ma vi è una storia sotterranea di tempi lunghi. Il libro è a mio parere il cuore della mostra di Casa Raffaello: il volume è consistente, le pagine sembrano respirare, la carta da incisione è soffice, la confezione è accurata e familiare, le otto incisioni sono favolose e misteriose nel loro profilo barocco, caldo e di dialogo fra i personaggi. Domenicucci sapeva creare esseri umani in movimento permanente, facce che non sono maschere ma volti della scuola, sia per i militari di Volponi come per gli attori di Cervantes. Nella sua Collezione Volponi ha messo anche due studi di “Intermezzi”, disegni a china con inchiostri colorati.

 

 

Paesaggi e la città in forma di umanità

 

E’ il terzo settore della mostra che stupisce con il tema del paesaggio e con i suoi paesaggi personalizzati, della città in forma di umanità, di cromatismo acceso. Sono più di venti tavole varie, dieci incisioni, una litografia, una serigrafia, sette oli e cinque acquerelli, sempre della Collezione Volponi ma anche di altri come Corrado Ceccarini, Giovanna Filippini, Claudio Michelori, Bruno Zanardi, Tiziano Mancini e Accademia Raffaello. Il curatore della mostra, Innocenzo Aliventi, ha voluto dare risalto ad una attenzione nuova per Dante Domenicucci, sottolineare l’espressione di una rete inedita a favore dell’artista, privilegiare alcune letture che appartengono alla cultura urbinate ma che vengono poco valorizzate. Esempi calzanti sono i simboli che si confermano e che si rinnovano della città: lo struggente disegno a china della “Fornace Volponi” che è il luogo del lavoro e dell’unità dei lavoratori, una struttura creativa che ha commosso non soltanto Paolo; lo scorcio dei Torricini visti da Nord con il dominio della natura che dialoga con l’intelligenza creativa dell’uomo, del costruttore, di chi cerca bellezza e felicità; l’incisione di “San Crescentino sullo sfondo della Fortezza Albornoz”, mm. 380×220, il santo protettore di fronte alla città, che prega, che benedice e che parla a tutti gli esseri animati ed al Palazzo Ducale, a Dio che protegga ed agli uomini che siano saggi; una struttura simile al disegno, “Colline urbinati”, che ha la felicità del paesaggio dell’occhio e dell’anima. “Che titolo daresti alla vita di Domenicucci?”, dice Volponi a Mengacci, un ritornello d’invocazione e d’amore, di sospiri e di segnali.

 

 

Fare come Paolo Volponi

 

Ed ecco il segnale, un simbolo come i Torricini, un atto d’amore, il gesto di un sorriso, una scommessa a favore della città: accogliere il filo rosso di questa mostra di Dante Domenicucci, della sollecitazione delle donne di Paolo Volponi di trasformare il gesto della solidarietà e del collezionismo in donazione di cittadinanza, oggi per l’occasione del riconoscimento di un artista, domani, con l’intenzione di rinnovare le due Donazioni Volponi alla Galleria Nazionale delle Marche, il dono delle pitture, un gesto nuovo di altre persone generose e sagge, una scommessa pascaliana, per chi è e per qualcosa che resta, una forma di cultura, di cittadinanza, di politica.

Gastone Mosci

San Crescentino sullo sfondo della Fortezza Albornoz, acquaforte-acquatinta, mm.380x220