Pietro Sanchini

Urbino 2015, ARIA NUOVA PER IL CENTENARIO DI PIETRO SANCHINI IL 29 GIUGNO VIENE DALLA SCUOLA DI GRAFICA

in Arte

ARIA NUOVA PER IL CENTENARIO DI PIETRO SANCHINI IL 29 GIUGNO VIENE DALLA SCUOLA DI GRAFICA

 

Urbino. Pietro Sanchini (al centro) con Carlo Migani (a sx) e Gastone Mosci (a dx) al Circolo Acli-Centro Universitario per la mostra di Vladimiro Tulli, l’11 giugno 1985 (foto d’archivio).

 

 

RICORDO DI PIETRO SANCHINI

di Gastone Mosci

 

Il ricordo di Pietro Sanchini rimarrà dolce e sorridente. Da quindici anni circa Sanchini stava male e viveva nel ricovero: alla sua vita operosa aveva aggiunto una quantità di mali e di sofferenze fisiche e spirituali. Era già memoria e mito, un binomio segno della sua esistenza, che possiamo ritrovare nelle sue opere, nel suo modo di intendere la vita, nella sua antica spiritualità. Era vicino ai novant’anni, ed aveva attraversato l’incredibile scenario della grafica italiana, della xilografia nei suoi versanti tradizionali e di ricerca. Intanto il ricordo: Sanchini docente amato dai suoi allievi perché paziente, sempre pronto ad ascoltare e a dare un consiglio con tono paterno. Sanchini direttore della Scuola per un breve periodo negli anni Settanta (’72 – ’76) ma erede della maestria di un nume tutelare come Francesco Carnevali, che lo aveva introdotto al valore della osservazione precisa e poi alla fantasia e al sogno. Passata la presenza di Carnevali e Castellani, la Scuola del Libro e Urbino, già dagli anni Cinquanta, vivono la straordinaria creatività di un trio spettacolare formato da Pietro Sanchini (29 giugno 1915 – 30 ottobre 2002), Carlo Ceci (Chiaravalle 26 novembre 1917) e Renato Bruscaglia (Urbino 19 novembre 1921 – Bologna 25 novembre 1999). La loro vitalità nasceva nella scuola e si sviluppava nella città con il teatro, il cinema, le iniziative d’arte, i corsi internazionali di grafica, ma soprattutto nel rapporto con gli studenti-artisti ed i giovani devoti dell’incisione: un filo rosso dell’incisione e del suo complesso mondo editoriale: Sanchini xilografo era un tecnico di visioni pratiche e di struttura inventiva, Ceci litografo un impaziente creatore d’immagini e di provocazioni di cultura, Bruscaglia calcografo un’acuta intelligenza del sistema visivo e del campo delle luci. Direi un’équipe di un’intensità espressiva ben coordinata per più di trent’anni. Sanchini portava nel cuore di Urbino il suo passo lento e sicuro, “un tronco dalle radici profonde” diceva di sé: con visioni di passione e di tragicità. Inseguiva la bellezza e sapeva restituire l’armonia e la musicalità di una cultura pacificata, di una città idillio, proteso a scarnificare il legno o a disegnare la lastra di zinco. Viveva la necessità del disegno e dell’immagine. Su questi valori lo incalzava anche Remo Brindisi, suo amico, ogni volta che tornava a Urbino, anche lui nel sistema agonico dell’espressività urbinate.

Ho ripreso in mano il bel catalogo di Pino Cucco della grande mostra del 1987, dove sono registrate le sue 249 xilo, con il Sanchini dei quattro tempi illustrati da Paolo Bellini: il realismo sofferente del periodo bellico (vita contadina, immagini religiose), poi nel periodo ’46-’51 comincia la sua interpretazione della vita (“Dopo il bagno”, 1947), negli anni fino al ’55 ecco il dialogo con le avanguardie e le relazioni con il cubismo (“I colombi”, 1955), il quarto tempo –dopo il ’55- è il suo campo originale (“Anna”, 1957), momento forte della scuola di Urbino anche con Alberico Morena. Anni Sessanta e Settanta: Sanchini affascinante e imprevedibile, nel cuore della sperimentazione e nella felicità espressiva con punte creative altissime su legno compensato e linoleum. Una testimonianza di straordinaria umanità e di passione per l’arte e per la città.
10 novembre 2002 / 2015

Gastone Mosci

 

 

 

A PIETRO SANCHINI

 

Ora non sei più fra noi,
ma infondi nuovo respiro con le tue opere
quando l’anima è sopraffatta
dal tedio della routine.
Lo sguardo resta un istante immobile
e la lingua ammutolisce
davanti alle tue incisioni,
ma esse si muovono, parlano sommesse
volgendo d’impulso il nostro cuore
all’alba di un radioso mattino.

1° novembre 2002

 

Zeno Fortini

 

  Pietro Sanchini, "Angelo sulle nubi", xilografia su legno di filo, mm. 485x320, 1957.

 

Mostra di Pietro Sanchini a Ostra Vetere

 

Urbino. Un segnale per Pietro Sanchini. E’ il figlio Sandro a dare avvio alla nuova attenzione verso uno dei maestri della Scuola del Libro ed un grande xilografo sempre più riconosciuto. Sanchini è scomparso di recente, il 30 ottobre 2002 a 87 anni. Ma è stato a lungo malato. Un suo grande evento lo registriamo nel 1987 con la bella mostra al Castellare del Palazzo Ducale. Sanchini sorprendente, affascinante, inedito, un assaggio monografico di chi desiderava intensamente di poter vivere il Museo dell’Incisione Urbinate, che è ora decollato con 11 incisori (Leonardo Castellani, Arnaldo Battistoni, Giorgio Bompadre, Renato Bruscaglia, Carlo Ceci, Umberto Franci, Nunzio Gulino, Dante Panni, Walter Piacesi, Enrico Ricci, Pietro Sanchini) e che sarà una splendida creatura della cultura grafica italiana.

Alessandro Sanchini, docente di sistemi di stampa e tecnologia grafica all’Isia, autore di opere in dialetto ed anche della traduzione dell’Inferno di Dante, fervente aquilonista, artista esplosivo dei “falsi d’autore”, gessi e pastelli, in mostra a Urbino e presto a Fano, intende dedicarsi all’eredità artistica e spirituale del padre ed inizia con la piccola esposizione di Ostra Vetere del 25 gennaio. Ne ha già scritto Raimondo Rossi. Ma riprendo le fila di quest’animazione del Museo Comunale d’Arte Moderna di Senigallia per opera del suo direttore C.E. Bugatti e di questa dimostrazione invernale nella sala del consiglio comunale di Ostra Vetere.

Il Museo di Senigallia da quasi vent’anni si arricchisce con le donazioni soprattutto di grandi artisti marchigiani ed è un interessante spazio di riferimento d’arte visiva contemporanea lungo la costa dell’Adriatico. Bugatti, grazie alla collaborazione di altri artisti come Discepoli e Schiavoni che hanno studiato all’Accademia di Belle Arti urbinate, presenta le sei xilografie di Pietro Sanchini nell’elegante cartella, “Percorsi”, realizzata nel 1999 dalla Stamperia d’Arte GF di Urbino, a cura di Bruno Ceci e con un testo di Carlo Bo. E così l’occasione potrebbe sollecitare una rassegna, ma in ogni caso un preciso e rinnovato riferimento alla xilografia, della quale Sanchini è uno dei grandi – dice Paolo Bellini – fra la sua innovazione figurale e le avanguardie degli anni Cinquanta, fra l’espressionismo drammatico e le forme del non figurativo tipo optical o gestuale, ma sempre di una persuasiva intensità poetica. Sanchini, dunque, nella scuola urbinate con il riferimento ad Adolfo De Carolis, Aleardo Terzi, Mario Delitala, Bruno da Osimo, Antonello Moroni, Ettore di Giorgio, Luigi Servolini, i grandi xilografi del Novecento. Sanchini in dialogo con i suoi amici Umberto Franci e Alberico Morena, ancor oggi operosi e unici nella xilografia. Sanchini, infine, “chiave” di lettura della cultura artistica urbinate e del ruolo della Scuola del Libro.

 

Marzo 2003, Il nuovo amico.

Gastone Mosci

 

ALCEO QUIETI, ANTOLOGICA DI INCISIONI E BASSORILIEVI.
LA BOTTEGA DI INCISIONE DI PIETRO SANCHINI IN VIA LAVAGGINE

di Gastone Mosci

 

La Scuola del Libro di Urbino è avvolta in un’aureola di tradizione e di gloria e la sua importanza la si conosce per quanti artigiani e artisti ha fatto uscire dalla sue aule nell’ultimo mezzo secolo. Il suo prestigio prospera soprattutto per ciò che ha saputo dare nel tempo come scuola di professionalità e di formazione umana. E quindi viene alla ribalta quando un suo ex-alunno propone all’attenzione del pubblico la propria produzione artistica. Il riconoscimento avviene su alcuni dati come la pazienza dell’invenzione artigianale, la maestria tecnica, la serietà e la pulizia del lavoro, quel tanto di umanità che un’opera ha la capacità di esprimere in quanto frutto della particolare tensione del suo creatore. Ma forse ciò che più colpisce è una innervatura segreta, un sotterraneo percorso, una cultura dell’anima. Il movimento inconscio che è cresciuto a Urbino porta dentro e in qualche modo fa riesprimere nei propri modi artistici e spesso fa riconoscere questo mito della città e questa cultura dell’anima.

 

 

Alceo Quieti

 

Queste suggestioni sono stimolate dalla antologica di incisioni e bassorilievi che Alceo Quieti ha in corso nel Giardino d’Inverno del Palazzo Ducale a cura dell’Amministrazione Comunale e della Scuola del Libro, una mostra di una sessantina di pezzi che danno la suggestiva misura dell’artista.

Ma prima di illustrare questa personalità singolare doi incisore vorrei dire che un mito ed una scuola nascono per delle ragioni di operosità che sono incarnate da persone fisiche, da gente che ha saputo tessere il progetto di una vita d’arte ed una visione aperta della convivenza, puntando tutto sul lavoro, sulla cultura, sui modi civili e spirituali di esprimere la vita. E quindi non si può non dire che queste persone ci sono state, nella Scuola del Libro, e che hanno così creato una scuola, una maniera di riconoscimento.

Francesco Carnevali e Leonardo Castellani, gli artefici e ancora i decani di quest’arte e di questa tradizione ma via via tutti gli altri che hanno continuato la loro opera compreso Umberto Franci per la xilografia, che è stato il maestro di Quieti. Perché Alceo Quieti si è formato a Urbino come xilografo per approdare abbastanza presto al bulino. Quieti si è dedicato per trentacinque anni a questa antica tecnica dello scavo della lastra d’acciaio, con amore e con pazienza, con tenacia e con il desiderio del suo oggetto d’arte: il progetto e la realizzazione del francobollo. Non ha mai preteso di entrare nell’agone pubblico delle esposizioni ed ha condotto il suo lavoro artistico anche quello che fuoriusciva dalla stretta professionalità, in simbiosi con la formazione ricevuta e con il mondo mitico che si è saputo creare.

Ma anche su questo versante dell’intensità del lavoro artistico, dei suggerimenti, della passione per la creazione delle immagini e dell’umiltà del proprio temperamento, bisogna allargare l’osservazione a tutto un gruppo urbinate che si è dedicato al lavoro del francobollo.

 

 

La Bottega di incisione di via Lavaggine

 

Anni fa era presente a Urbino la “Bottega di incisione” di via Lavaggine, una sorpresa unica e rara che svelava continuamente le espressioni della creatività e dell’artigianato d’arte. Era una presenza, ed anche un progetto, che Pietro Sanchini, direttore a riposo della Scuola del Libro ed artista sempre sul piede dell’invenzione, tutelava con costanza e fervore. Ogni volta che Sanchini, nel suo studio d’artista, trasformato con velocissimo tocco in saletta d’esposizione nell’antica via Lavaggine, presentava una iniziativa culturale, sapeva mettere a punto una novità, una straordinarietà comune e nota, perché era ormai registrata solo nell’album delle cose dimenticate. L’occasione venne anche con Trento Cionini, Eros Donini e Alceo Quieti, che presentarono nell’estate del 1979 “Il francobollo: tecnica e creatività”. Cionini, Donini e Quieti, urbinati che lavorano al Poligrafico dello Stato o nell’Officina della Banca d’Italia, sono maestri dell’incisione e hanno realizzato molti dei francobolli che usiamo ogni giorno per la nostra corrispondenza e i biglietti di banca che quotidianamente spendiamo.

 

 

La Scuola di Urbino per la grafica

 

Quando si parla di “Scuola di Urbino” per la grafica bisogna ormai avere presenti anche questi tre maestri del bulino. Perché il loro lavoro definitivo si compie sulla lastra, con la punta d’acciaio e la lente, nel modo degli antichi artigiani incisori. La mostra organizzata dal Sanchini non solo presentava tre urbinati d’eccezione ma testimoniava, pur nella non ampia documentazione, il lavoro che si svolge attorno alla creazione del francobollo, l’operosità dell’incisore, un lavoro d’artista che sfugge ai più, anche ai collezionisti di francobolli. Non solo Sanchini, nel catalogo, ne approfittava per riproporre la necessità di un prodotto d’artista, di un prodotto artistico-artigianale, e non il risultato, troppo dilagante, della fotoriproduzione, la sua era una denuncia che assumeva un grande rilievo, se si pensa che fino a qualche anno fa, presso la Scuola del Libro, funzionava un corso di microincisione, tutelato dal Ministero delle Poste, che avrebbe potuto dare al lavoro italiano attorno al francobollo un ancora maggiore riconoscimento d’arte.

 

 

I tre maestri del bulino

 

Successivamente a Sanchini ormai anziano, fu tolto il locale, finì il suo studio, e quell’esperienza passò nel registro del già fatto. E oggi la mostra di Alceo Quieti ripercorre spiritualmente quella testimonianza di fervore artistico che nasceva in uno studiolo, che sapeva farsi carico dei valori della tradizione, dell’operosità dell’artigianato ben fatto e di una cultura. Ecco dunque il doppio registro tipico di tanti artisti urbinati, il lavoro in silenzio, la ricerca, la grande attenzione all’oggetto d’arte e alla poesia, ed una grande libertà interiore. Ne parla anche Valerio Volpini nel catalogo della mostra di Quieti.

Così a sessant’anni Alceo Quieti si presenta per la prima antologica a Urbino, e nel percorrere l’esposizione, sia nelle maschere in bassorilievo, sua nei pochi olii, sia nelle calcografie, l’artista esprime segni e sapienza del mondo d’oggi con immagini ispirate ai segni rupestri oppure alle antiche pitture oppure all’antico vasellame. Poi, il gioco dei colori, sempre impastati fra loro, che creano una visione surreale, specie nelle acqueforti acquetinte, che l’artista presenta in una suite alquanto elaborata tecnicamente. Le sue calcografie fuoriescono dall’incisione normale perché le sue acqueforti-acquetinte si avvalgono diuna sola lastra e con una sola battuta esce dal suo torchio Paolini la prova colorata. Ogni esemplare viene ad essere l’uno diverso dall’altro con uno spessore sempre notevole di colore. La lastra viene al momento della preparazione martoriata non solo per ricercare la profondità dei segni che debbono accogliere il colore e poter restituire degli effetti rocciosi, ma anche perché le figure debbono stare su un piano di movimento e la carta, quindi, prendere una pressione a sbalzo.
I segnali artistici di un tempo – anche quell’ dell’età dell’oro che Quieti culla nel suo cuore – sono dunque segnali d’oggi sulla convivenza, sull’amore, sul sogno, insomma sulla vita.

25 settembre 1982 / 2015

Gastone Mosci

 

  Pietro Sanchini, "Riflesso A", xilografia a quattro colori,mm.  390x380, 12/25, 1966.

 

 

Riferimenti bibliofrafici
G. Mosci, “In ricordo di Pietro Sanchini. Maestro della Scuola del Libro”, Il nuovo amico, 10 novembre 2002.
Zeno Fortini, “A Pietro Sanchini”, 1° novembre 2002, Il nuovo amico, 10 novembre 2002.
G. Mosci, “Mostra di Pietro Sanchini a Ostra Vetere”, Il nuovo amico, 15 febbraio 2003.
G. Mosci, “Alceo Quieti, Antologia di incisioni e bassorilievi”, L’Osservatore Romano, 23 settembre 1982, p. 3.