Dissolvenze di Laura Gennari particolare
Dissolvenze di Laura Gennari (particolare)

Fano, Arte in Ospedale Corsie d’Arte 15 dicembre 2013

in Arte

Fano, Arte in Ospedale Corsie d’Arte 15 dicembre 2013

 

 Da sx Bucella Laura Gennari il prof. Murasecchi Spinelli e Caruso

 

 

L’ARTE AIUTA A VIVERE. DOMANDE AI GIOVANI ARTISTI

di Riccardo Tonti Bandini

Fano. Confrontarsi con un luogo dello spirito, con un luogo sacro è sempre un lavoro profondo, sia se si pensa alla propria opera come immagine rappresentativa, sia se la si pensa come strumento di denuncia. Il sacro è la dimensione spirituale intrinseca degli ospedali, luoghi in cui si compiono, con le cadenze del quotidiano, i rituali e le liturgie della vita contro la morte, del dolore e della gioia di vivere. Un luogo in cui la solidarietà salva dal pessimismo. In questi spazi, nello specifico nel reparto di dialisi dell’ospedale Santa Croce di Fano, hanno progettato ed installato le loro opere grafiche quattro studenti del Biennio Specialistico della Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Laura Gennari, Riccardo Bucella, Mattia Caruso e Matteo Spinelli. Per scoprire cosa succede nel pensiero e nel processo creativo di uno studente che si confronta con l’alta sfera dell’anima, abbiamo rivolto loro alcune domande.

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D. L’acqua è l’elemento di vita per eccezione, la scienza la determina come fonte di vita. Le religioni santificano i corsi dei fiumi e la definiscono come mezzo per la rinascita, per la purificazione. In un reparto di dialisi l’acqua indica anche la speranza. Nel realizzare la tua opera,come hai vissuto, da giovane artista, la nascita del tuo lavoro.

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Laura Gennari: Ѐ sempre bello veder concretizzarsi il tuo lavoro. Il passaggio dall’incisione, alla stampa fino all’esposizione in cornice. Pensare al tempo. Il tempo di lavorazione e il tempo di osservazione. Sei lì, di fronte a un quadro, consapevole del fatto che dietro a tutto questo c’è un anno e più di lavoro di una persona. La vita di una persona.

 

Laura Gennari

 

Riccardo Bucella: Non è cosa facile pensare ad un reparto dialisi e concepire un’opera che gli appartenga per contesto e significato. I pazienti del centro non capitano là per caso. Hanno necessità di tornarci ogni due giorni e questo rende il reparto una seconda casa. Dentro le nostre abitazioni siamo tranquilli, rasserenati dai luoghi che ci accolgono con gentilezza. Per tale motivo il mio operare si è volto verso la sensazione di calma e rassicurazione che l’acqua reca a tutti noi, non solo ai pazienti dell’ospedale. Ho innanzitutto pensato all’acqua come all’eterno fluire. I fiumi infinitamente cambiano così come i mari. Anche il nostro corpo si rigenera costantemente, perdiamo liquidi e li riassorbiamo. Per tutta la vita non siamo mai gli stessi. È esattamente il moto perenne che ispira le morbide linee che costituiscono la mia opera. Il lavoro nasce da un segno e i successivi gli si generano per corrispondenza, come l’eco d’un singolo suono.

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Mattia Caruso: L’ho vissuto nella costante ricerca di iconografie e immagini che potessero far scattare qualche sillogismo mentale. Ho cercato di associare l’elemento ad una sua attività intrinseca o, per lo meno, a un significato che si è soliti attribuirgli e cioè la purificazione. Da lì sono partito poi alla pianificazione del progetto che comprendeva il racconto del suddetto processo. Più o meno è questo l’esercizio che compio ogni volta che devo approcciarmi a qualche nuovo argomento, in questo caso l’acqua.

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Matteo Spinelli: All’inizio ero un po’ spaventato, non conoscevo molto sulla dialisi. L’acqua, scelta spesso come metro di paragone, per le sue diverse proprietà, la sua chiarezza, il suo splendore, la sua purezza ecc… ma qui assume tutt’altro significato: Matrice, madre della vita. Tematica molto forte ma allo stesso tempo molto delicata la quale basta un niente per banalizzarla e far svanire tutta la sua potenza. Questo era il mio unico pensiero prima e durante la realizzazione della mia opera.

 

D. Hai voluto rappresentare l’elemento vitale o hai preferito astrarlo, rivolgerlo al sociale?

 

Matteo Spinelli Fotografia

 

Laura Gennari: Credo entrambi. L’acqua in ogni modo, in tutti i sensi. L’acqua è vita.

 

Riccardo Bucella Forografia II

 

Riccardo Bucella: Ho preferito astrarre l’acqua, l’ho interpretata come un abbraccio con l’altro imprescindibile elemento qual è l’aria. L’unione dei due genera l’ambiente adatto alla vita, che cresce e si modifica. Come in un abbraccio sincero i corpi non sono più due ma uno distinto, così l’acqua si pone come legante universale di tutte le cose indistintamente.

 

Fortunae Baptismata di Mattia Caruso

 

Mattia Caruso: Ho voluto porre l’accento sulla proprietà vitale e vitalizzante dell’acqua, caratteristica concreta, esperibile dell’acqua. Questo proprio per il luogo in cui andava posta. Volevo rassicurare il fruitore ponendogli di fronte qualcosa di riconoscibile, che non dovesse necessariamente portarlo al di là della pura immagine andando alla ricerca di significati nascosti. Poi se riesce a scovarne alcuni (che non sono altro che i meccanismi mentali di associazione acqua/processo purificante) ben venga! Quindi sono totalmente lontano dall’astrazione in questa opera.

 

Matteo Spinelli allinaugurazione

 

Matteo Spinelli: Così come il mio collega Bucella Riccardo, anche lui aniconico, ho astratto il tutto, cercando di rammentare un po’ quelle che sono le forme dell’increspatura dell’acqua una volta infranta su uno scoglio, una riva. Se da un lato vi è un potere evocativo, armonico e poetico dettato da una fitta rete di segni, qui, vi è veemenza, irruenza, aggressività: una tempesta.

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D. Che tecnica hai usato, con quale mezzo ti sei espresso?

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Laura Gennari: La tecnica è quella della xilografia, sviluppata in una serie di sei tavole MDF 60 x 90 centimetri l’una. Il segno è veloce, fresco, a volte forse troppo impetuoso, ma anche vero e sincero.

 

Laura Gennari

 

Riccardo Bucella: La tecnica è quella xilografica, che trovo ideale per la sua essenziale verità e trasparenza. Il legno inciso può dare soltanto i pieni e i vuoti del pensiero in nuce, li sintetizza in un’immagine bidimensionale e completamente grafica. Per il mio lavoro ho usato sgorbie molto sottili, adoperate nel linguaggio basilare: la linea e il punto. L’inchiostrazione della matrice è una parte fondamentale dell’opera perché da essa si determinano i colori, quindi le sensazioni che vogliono suggerire le linee e i punti. Blu è la tinta scelta per ricordare la naturale percezione dell’acqua e per conferire alla grafica un tono sereno e fluido. Il blocco di legno era inizialmente un quadrato con il lato di un metro e ottanta centimetri. A conclusione dell’intaglio è stato segato in 6 blocchi divisi per permetterne il posizionamento sul piano di stampa del torchio.

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Mattia Caruso: La tecnica è quella comune agli altri miei tre colleghi, ovvero la xilografia. Ho utilizzato nient’altro che un pennarello per il disegno e le sgorbie per l’intaglio del pesante pannello di legno che è divenuto matrice della leggera carta. Ho voluto rendere le forme con segni continui modulati (le mani in alto, la spalla a sinistra e la Dea della Fortuna a destra) in contrapposizione a segni “tratteggiati”, una sorta di inganno per chi guarda il lavoro, poiché non è il nero ad essere stato tracciato, bensì il bianco. Ho ragionato in particolar modo sulle contrapposizioni tra questi due metodi espressivi, cercando di rispettare l’equilibrio tra pieni e vuoti. C’è una sorta di struttura geometrica di base sulla quale va ad innestarsi l’intero lavoro che vuole evitare eccessi.

 

1 copia Mattia lavora

Matteo Spinelli: Come ho già spiegato sopra, volevo ricreare alcune forme dell’acqua, come se fosse un’onda che si infrange contro qualcosa, cosi ho gettato dell’acqua miscelata ad olio sulla matrice lignea. Da quelle forme, mi sono sfrenato. Frese a tazze, spazzole di acciaio, trapano e motosega sono stati, sono i miei lapis gomma. Con loro riesco a dare quell’impeto

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D. Ti sei confrontato con la cittadina ed i fanesi?

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Laura Gennari: In verità no. Ho preferito fare ricerche in rete e constatare che oggi, a livello mondiale sono oltre 2 milioni le persone in dialisi e circa 400.000 a livello europeo. In Italia sono presenti circa 6000 dializzati, molti dei quali trapiantati. Ho letto le tante esperienze di dializzati esternate con estrema dignità. Attraverso queste esperienze dirette ho potuto maturare una buona sensibilità sul problema, comprendendo come la comparsa di questa malattia faccia emergere sentimenti e pensieri che modificano la concezione della vita del malato e soprattutto il rapporto con se stesso e con il mondo esterno.

 

Bucella in fase di allestimento

 

Bucella in fase di allestimento

Riccardo Bucella: Vivendo da molti anni a Fano ho potuto ben comprendere alcune dinamiche della città. Il fanese è abituato al mare, pochi ne rinunciano. Passeggiare sui litorali e osservare il mare d’inverno o d’estate la sera è qualcosa che riempie l’animo di tranquillità. Mio intento era di trasportare questa tranquillità in un luogo dove vige l’allerta e la tensione, la speranza.

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Mattia Caruso: Indirettamente sì. Ho voluto porre la Dea della Fortuna proprio per questo motivo: è un’icona riconoscibile di Fano quindi, qualsiasi fanese andrà nel reparto ad osservare l’opera, si metterà in dialogo con me anche se in silenzio, o anche esclamando “Toh! Ma quella non è la statua Fortuna?”

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Matteo Spinelli: No, non ho avuto modo.

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D. Pensi di aver contribuito e contribuire a sollevare lo spirito ed incuriosire l’animo delle persone che frequentano il reparto di dialisi, sia i diretti interessati che familiari?

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Laura Gennari: Me lo auguro. Lo scopo del progetto era quello di creare un clima di serenità, di affezione, di speranza. Esso vuole ispirare la sensazione del ricordo originario dell’acqua, ma soprattutto creare uno stimolo di speranza per un domani migliore. In conclusione, penso che ricevere qualcosa in cambio, l’essere compresi dallo spettatore, dal paziente, sia la maggior soddisfazione per un’artista o per chiunque operi in questo vasto mondo che è l’ARTE.

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Riccardo Bucella: Credo di si, non penso che il mio lavoro possa mai turbare qualcuno. È esposto nei corridoi del reparto assieme a quelli dei miei colleghi ed ha il compito di allietare le visite. Sia i pazienti sia i familiari ci passeggiano abitualmente; chi desidera può soffermarsi un momento ad osservare più attentamente certi particolari. Un luogo del genere ha bisogno di un decoro maggiore rispetto ad altre situazioni perché si crea una situazione familiare anche col personale, coi medici del reparto e con l’ambiente. I locali hanno bisogno di respirare e di accogliere tutte le persone che li frequentano.

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Mattia Caruso: Questo è il mio augurio. E chi può dirlo? Si dovrebbe andare a scandagliare l’intimità di ogni singola persona che passi per quella corsia. Il mio lavoro, ad ogni modo, vuol essere un simbolo di buon auspicio a tutti coloro che varcheranno le porte del reparto e spero che giunga proprio attraverso la dea raffigurata. Buona Fortuna!

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Matteo Spinelli: Sollevare lo spirito lo spero, ne sarei felicissimo. Incuriosire l’animo delle persone forse si. Credo chiunque, semmai dovesse trovarsi di fronte alla mia opera, resterà solo per un attimo allibito. Il fruitore non si troverà di fronte alla classica immagine stereotipata dell’acqua, ma ad una combinazione di forme, linee, colori le quali susci­teranno diverse emozioni per ognuno di noi, ed ognuno di noi, all’interno di quest’ultime, può rinvenire altre forme, altre suggestioni, altre impressioni. Questo era il mio intento.

 

Matteo Spinelli - Inaugurazione 18 dicembre 2013