Giancarlo De Carlo 001
Giancarlo De Carlo Agosto 1992

l’impronta di Giancarlo De Carlo in Urbino e nella provincia

in Costume

Collegi UNiversitari Urbino 

URBINO CAPOLUOGO PER GIANCARLO DE CARLO

di Sergio Pretelli

 

L’omaggio a Giancarlo De Carlo – il 6 giugno 2017 – si è tenuto nell’aula magna “Italo Mancini” di Giurisprudenza, da lui modellata negli anni ’50. Un ricordo doveroso perché De Carlo ha lavorato fedelmente in Urbino per cinquant’anni. Chiamato da un personaggio eccezionale, Carlo Bo, su segnalazione di Elio Vittorini. In sintonia subito con Livio Sichirollo, docente di Filosofia ma anche consigliere comunale. Università e Comune, per comune intento, dovevano dotare Urbino, eccelsa città rinascimentale, di strutture per una decorosa accoglienza degli studenti.

 

Sen. Giorgio Londei

Recuperando edifici nobili da sintonizzare con le esigenze della vita corrente. Nello spirito rinascimentale della città. Nel ‘500 il committente unico Federico da Montefeltro chiamò gli architetti emergenti dell’epoca per lanciare una Città a forma di Palazzo Oggi Università e Comune, scelgono De Carlo per lanciare, su quel concetto, la città campus. Giorgio Londei, già Sindaco e Senatore, ha lavorato a lungo con De Carlo. Per questo con Urbino Capoluogo, ha voluto ricordare l’autore dei due Piani Regolatori della città e con essi un grande protagonista del dibattito culturale internazionale sulla architettura del nostro tempo. Non una presentazione retorica, ma una ricostruzione umana di un personaggio che ha modificato continuamente il suo stile di progettare, certo non immune da errori, per aderire alle esigenze dei luoghi e delle occasioni con una sorprendente coerenza e libertà.

 

Tenendo in conto le richieste e le idee dei committenti e più le esigenze degli utenti. Non a caso i suoi progetti, divennero oggetto di discussione nelle maggiori università del mondo, richiamando in Urbino schiere di studenti e di architetti per vedere in loco le realizzazioni. De Carlo sognava un Ateneo di élite. Urbino, città demograficamente limitata, per lui, doveva puntare su 5000 studenti residenti. A numero chiuso, per un sano equilibrio tra cittadini e studenti. Un’idea, ha soggiunto Londei, non condivisa dagli urbinati e di conseguenza dagli amministratori. Per l’economia della città che richiamava frotte di giovani, per la fama del Rettore, dei docenti e delle strutture universitarie di De Carlo con i collegi in primo luogo. ll Rettorato, la facoltà di Magistero, e la facoltà di Economia si aggiunsero ai luoghi classici del Palazzo ducale e della casa di Raffaello, come luoghi turistici da visitare. L’Ateneo urbinate toccò Il tetto dei 24000 studenti iscritti.

 

Il Vicario rettorale Giorgio Calcagnini, nel porgere il saluto dell’Università, ha riferito che, nella sua facoltà di Economia, tutti i docenti sottolineavano il contrasto i piccoli studioli dei docenti e gli ampi spazi attrezzati del palazzo. Erano gli spazi che dovevano favorire la socializzazione degli studenti, il dialogo tra loro, il ripasso delle lezioni, l’esercizio critico alla politica e all’amministrazione. La stessa filosofia utilizzata per i Collegi per distinguerli dai comuni e brutti dormitori correnti delle altre università. Collegi perfettamente inseriti nel paesaggio, dove la campagna entra nella struttura abitativa e viceversa.

 

E’ la riflessione del poeta Umberto Piersanti che richiama l’epopea classica da Raffaello a Leopardi, dove Urbino, recuperando l’antico prestigio rinascimentale, diventa il vessillo del risveglio marchigiano del secondo dopoguerra. Lo stesso Paolo Volponi, dice Piersanti, che non amava De Carlo, riconobbe che opere come la facoltà di Giurisprudenza, l’ex monastero di Santa Maria della Bella (Magistero) la facoltà d’Economia, i Collegi fossero opere di alto livello.

 

Con queste opere De Carlo ha conseguito premi di caratura internazionale come quello attribuitogli dalla Getty Foundation, ricordato da Maria Mazzolani che ancora lavora a Milano, nello studio che fu di De Carlo. Un architetto che ha lasciato opere di rilievo a Venezia, Genova, Catania, San Marino e all’estero. Da persona responsabile prevedeva la durata nel tempo delle sue opere, condizionandole alla manutenzione continua. In parte disattesa nei Collegi di Urbino, per la crisi economica, per il cambio dei tempi, della tecnologia, delle mentalità, della cultura: degli amministratori, degli studenti, dei docenti, della gente. De Carlo intuì anche questo.

 

Nella ristrutturazione di Ca’ Romanino, un antico predio mezzadrile, area Gadana alle soglie di Urbino, acquistato dai Sichirollo, ristrutturò nel 1967 la casa colonica, trasformandola da centro di produzione agricola a luogo d’incontro e di discussione sull’urbanistica urbinate e sul lato teorico pratico e civile della Res aedificatoria. Gianluca Annibali, del management della Fondazione che ne gestisce il complesso, ha confermato che Ca’ Romanino è ormai un luogo d’incontro e di discussione con il mondo. Sull’analisi e sul ruolo dell’architettura nel passato, nel presente e nel futuro, seguendo il filo conduttore di una architettura che deve essere sempre meno la rappresentazione di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di chi la usa. Un concetto che De Carlo ripeteva nelle sue lezioni. Testimoniato dall’attuale vice sindaco di Fano Stefano Marchegiani, Assessore alla Cultura del Comune, rimasto colpito da una frase di De Carlo: “Compito primario dell’architetto è quello di creare un ordine che regga il disordine”.

 

Centrata e bella l’incisione di Carla Luminati donata da Ferruccio Giovannetti e Giorgio Londei di Urbino Capoluogo ai Relatori del Convegno. L’accostamento nell’incisione, delle figure del duca Federico con Francesco Di Giorgio Martini e di Carlo Bo con Giancarlo De Carlo è il ricordo intelligente della continuità storica dell’Urbino Ideale nella cultura, nell’architettura e nella grafica d’arte.

Sergio Pretelli

 

Memoria e passione per l’architettura della partecipazione

Uno studente di Giancarlo De Carlo racconta

Il Collegio del Colle mi fa decidere per architettura

di Stefano Marchegiani

 

Collegio del Colle 

Buonasera,

 

ringrazio il Senatore Giorgio Londei per l’invito a questo interessante convegno su Giancarlo De Carlo. La mia sarà una piccola testimonianza legata ai ricordi di studente.

 

 

I Collegi universitari di Urbino

 

Il primo incontro con De Carlo avvenne molto prima che decidessi di iscrivermi ad Architettura. Il pretesto fu il nuovo Collegio del Colle ad Urbino. Se ne parlava. Ne parlava in casa mio padre, avvocato con la passione per le cose ben fatte e per la città ducale, ne parlavano coloro che avevano già visitato il complesso descrivendone la modernità e l’organicità. Pur nella più completa inconsapevolezza, intuii che qualcosa di importante era accaduto e non solo per Urbino.

 

 

Architettura a Venezia 1976

 

Mi iscrissi all’Istituto Universitario di Venezia nel 1976. Il primo anno fu utile a prendere le misure di un ateneo complesso e assai ricco di voci, esperienze e maestri. Nella scuola fondata da Giuseppe Samonà insegnavano ancora alcuni grandi interpreti dell’architettura moderna come Carlo Scarpa, ormai dedito ai soli laureandi, e i più giovani Aldo Rossi, Carlo Aymonino, Vittorio Gregotti, Gino Valle, Gianugo Polesello, Luciano Semerani, Raffaele Panella, Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co. per citare solo i più noti, e Giancarlo De Carlo presente sin dal 1955 con la cattedra di Urbanistica.

 

Non era facile orientarsi e comprendere in poco tempo l’impostazione che ciascuno di loro aveva impresso alla propria ricerca ma era fondamentale farlo in tempo utile per misurarsi con consapevolezza nelle prove di composizione. Si provvedeva allora con la lettura di tutto il materiale disponibile da loro scritto e si studiavano i progetti su monografie e riviste. Come scrive Stefano Boeri, esisteva una “città scritta” dagli architetti, presente nei loro libri in cui essi stessi cercavano di ricavare dallo studio dei fenomeni urbani un fondamento logico e se possibile scientifico delle loro poetiche architettoniche, esisteva poi una città progettata e, nei casi più fortunati, architetture realizzate. Il periodo era quello in cui si tiravano le somme della straordinaria esperienza del Movimento moderno, evidenziandone anche i limiti e le occasioni mancate.

 

 

L’architettura della partecipazione di De Carlo

 

 

 

Carlo Bo Agosto 1992

 

In questo periodo di orientamento incontrai il pensiero di De Carlo grazie ad una pubblicazione economica del Saggiatore del 1973 dal titolo “L’architettura degli anni ’70” contenente il testo di tre conferenze tenute a Melbourne da Jim Richard, Peter Blake e Giancarlo De Carlo ai quali era stato chiesto di raccontare da quale questione o tema sarebbe stata caratterizzata l’architettura degli anni ’70. La relazione di De Carlo si intitolava “L’architettura della partecipazione”.

 

Una affermazione di De Carlo, così lontana da quanto letto negli altri autori, mi colpì particolarmente: “…l’architettura del futuro sarà caratterizzata da una partecipazione sempre maggiore dell’utente alla sua definizione organizzativa e formale.”, e ancora: “…gli architetti contemporanei dovrebbero fare di tutto perché l’architettura dei prossimi anni fosse sempre meno la rappresentazione di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di chi la usa”. Seguiva la critica all’ingenuità del Movimento Moderno colpevole di aver guardato ai bisogni dell’uomo come soggetto esclusivamente individuale e in un’ottica esclusivamente funzionale non comprendendo che “i rapporti tra gruppi sociali e il loro ambiente fisico non si svolgono secondo processi lineari biunivoci e che ogni tentativo di congelare questi rapporti dentro sistemi semplici finisce col tornare a vantaggio dei pochi che controllano le istituzioni e a svantaggio dei molti che non le controllano affatto”. Quindi una nuova pratica progettuale basata sulla partecipazione, che obbliga necessariamente a progettare sistemi aperti, flessibili, mutevoli, crescenti e attuabili per fasi. Un’architettura capace di produrre eventi complessi, un ordine progettato per stabilire le condizioni in cui il disordine possa liberamente manifestarsi. Il progetto e la realizzazione dei primi stralci del Villaggio Matteotti a Terni rese meglio comprensibile il metodo teoricamente enunciato portando a sintesi le istanze dell’Amministrazione Comunale, dell’azienda “Terni” e delle organizzazioni operaie.

 

 

Il fascino del corso di Urbanistica 2

 

Compresi che le idee di De Carlo erano in palese antitesi con la politica culturale e disciplinare dominante allo IUAV, tutta incentrata sul rapporto causale e deduttivo tra analisi urbana e scelte progettuali. Fu proprio questo iato tra il metodo che avevo avuto modo di sperimentare nei primi anni di corso e il nuovo metodo di De Carlo che mi convinse a iscrivermi al suo corso di Urbanistica 2. Nella prima lezione De Carlo ci invitò a dimenticare quanto appreso nei corsi precedenti, per poter interrogare le aree progetto secondo un nuovo punto di vista.

 

Il corso iniziò con un ciclo di lezioni sui trattati di architettura che misero in evidenza il suo profondo interesse per gli architetti rinascimentali e le ricadute delle loro riflessioni sul progetto contemporaneo. Ricordo inoltre una memorabile esposizione del suo progetto per Piazza della Pace a Parma, un grande vuoto urbano causato dal bombardamento del 1944 proprio a fianco del palazzo della Pilotta.

 

Fu un anno in cui studiammo opere di architetti stimati ma scarsamente citati dai precedenti corsi, architetti facenti riferimento al Team Ten o comunque accomunati dalla ricerca di un nuovo funzionalismo in grado di superare una concezione meccanicistica della società e considerare con più attenzione le esigenze sociali degli individui (Bakema,Van Eick, Alison e Peter Smithson, Hertzberger, De Carlo, Alexander)

 

Il tema progettuale proposto dal corso mise tuttavia in luce le difficoltà di applicazione in ambito universitario del superamento dello zoning e di quella architettura della partecipazione necessaria a dare senso compiuto alla proposta. Fu tuttavia un’esperienza interessante soprattutto in termini di decifrazione spaziale e antropologica del contesto.

 

Il Convegno Internazionale a Cagli 1989 e sulla Data a Urbino 1999

 

L’insegnamento di De Carlo continuò in modo indiretto e continua ancora attraverso i suoi progetti e i suoi scritti puntuali e appassionati.

 

Ancora due incontri con la sua persona e la sua opera negli anni a seguire : nel 1989 a Cagli in occasione del Convegno Internazionale sull’architettura di Francesco Di Giorgio Martini per il 7° centenario della riedificazione della città a cui De Carlo partecipò assieme a Peter Smithson e in cui ebbi l’onore di presentare i lavori di restauro del Torrione Martiniano progettati con il collega Gianni Volpe, e nel 1999 quando ebbi l’occasione di studiare in dettaglio il suo progetto di riutilizzo della Data di Urbino per farne un articolo poi pubblicato dalla rivista Arredo & Città nel gennaio dello stesso anno.

 

Urbino, Aula Magna di Giurisprudenza, 6 giugno 2017

 

Stefano Marchegiani

 

Collegio del Tridente

 

 

 

Un ricordo tutto urbinate dell’architetto De Carlo

di Gastone Mosci

 

Nel Centenario della nascita di Carlo Bo (2011), presso il Circolo Acli-Centro Universitario di Palazzo Petrangolini, abbiamo preso l’iniziativa di ricordare il magnifico rettore in un modo diverso, familiare e personalizzato, nella quotidianità, “Carlo Bo che ho conosciuto”. Un incontro, prima pensato per un pomeriggio, poi due pomeriggi, continuando inoltre sullo scrittore Paolo Volponi e sul filosofo Italo Mancini, e infine allargato ad un altro grande urbinate acquisito, l’architetto Giancarlo De Carlo, complice il sen. Giorgio Londei, allora presidente dell’Isia, nostro amico e vicino d’ambiente artistico. Ne sono nati degli incontri con testimonianze dirette e di prima mano di amici, di docenti, di scrittori. Per noi delle Acli l’insieme dell’iniziativa voleva dire guardare con occhi nuovi il panorama intellettuale urbinate e cogliere novità di primo acchito. Ci aiutavano giornali e libri, l’idea di un Caffè letterario, la presa mediatica delle registrazioni di Michele Gianotti, il gruppo teatrale di Amleto Santoriello con Giulia Volponi, il trio musicale di Maria Sassi-Alessandro Veneri-Raniero Bartolucci, la chitarrista Lucia Lazzari, le lettrici Maria Grazia Sassi e Anna Pretelli. Da febbraio ad aprile 2011, una bella animazione. Vi dominava questa visione di Urbino, di “Parole sulla città dell’anima” che suggeriva Carlo Bo con il suo volumetto urbinate, a cura di Gilberto Santini (Urbino 1997).

 

Ecco due intensi aforismi di Carlo Bo: “Per capire Urbino non basta una vita,”, “In fondo Urbino è un’invenzione poetica”. Passiamo alla riflessione che apre il volumetto, che è la nostra comune identità. “Anche adesso, dopo tanti anni – perché sono arrivato nell’ottobre del ’38 – non ho ben chiaro in mente quello che ha significato nei secoli questa città, questa isola, questo mondo separato. Eppure qui batte il cuore dell’Italia, c’è qualcosa che miracolosamente è stato realizzato nei secoli passati e che adesso è riassumibile, è simboleggiato nel Palazzo Ducale. Intorno a questa idea, che è un’idea d’arte, un’idea di bellezza, di poesia, attorno a questo nucleo poi si è sviluppato anonimamente – con l’intervento di tante persone, di tante generazioni che si sono susseguite – qualche cosa che continua ad appartenere sempre al regno dell’arte, della poesia, dell’intelligenza, in una parola sola: dell’anima”.

 

Renato Bruscaglia

Anche Giancarlo De Carlo può essere posto in questo giardino per guardare e per pensare. Del resto, quando Bo accompagnò De Carlo a Urbino, dopo l’incontro milanese con Elio Vittorini, nella primavera del 1951, venendo da Pesaro gli indicò nel paesaggio del km. 4 dopo Trasanni, il paesaggio di Urbino verso Oriente: “qui batte il cuore dell’Italia”, qui è avvenuto un miracolo. Bo lo ha ripetuto al Consiglio Comunale quando gli ha dato la Cittadinanza onoraria, De Carlo ha ricordato le stesse parole e lo stesso sentimento quando ha parlato alla sua Cittadinanza onoraria. Il contesto è Urbino, misteriosa città dell’anima. Ne siamo convinti e partecipi.

 

Quando abbiamo dato inizio agli incontri “Carlo Bo che ho conosciuto” per finire il 5 aprile 2011 con “Giancarlo De Carlo che ho conosciuto”, abbiamo vissuto un contesto straordinario di memoria e di sollecitazioni culturali: il Cardinale Gianfranco Ravasi ha commemorato Carlo Bo “nel nugolo di testimoni sacerdotali raccolti in un unico coro dal volume Don Mazzolari ed altri preti (La Locusta 1979), con la stessa tensione di Papa Francesco oggi; il 28 gennaio Salvatore Settis ha presentato nella Sala del Trono del Palazzo Ducale, il suo libro, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Einaudi 2010), dove il paesaggio è il grande malato d’Italia e l’ambiente il migliore investimento per il futuro; il 9 febbraio a Palazzo Giustiniani del Senato della Repubblica il Centenario di Carlo Bo è commemorato nella Sala Zuccari dal senatore Sergio Zavoli; per l’iniziativa del Senato la Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Urbino pubblica la plaquette: Carlo Bo, Paul Valéry, il poeta esplora l’intelligenza, Collana Giro del Cassero Documenti 3, con un ritratto del rettore di Pamela Radino, cento esemplari in carta hahnemuhle; l’enogastronomo Rolando Ramoscelli pubblica, insieme al giornalista Gianfilippo Centanni, un libro sul diffuso banditismo nell’epoca del passaggio all’Unità d’Italia, Le Marche fuorilegge. Storie di briganti, cucina e osterie (“Da Rolando” 2010), presentato il 30 marzo dal rettore Stefano Pivato nella Sala degli incisori del Collegio Raffaello.

 

Questa kermesse culturale di brevi comunicazioni testimoniali, di letture, di insorgenze civili ha sollecitato una notevole adesione perché, pur seguendo un canovaccio teatrale, ha trasmesso al pubblico un’idea di partecipazione e di condivisione di tante situazioni di scrittura e di vita. E’ stato creato un affresco di vicende che, messe le une accanto alle altre, hanno costruito una esperienza di città, un rapporto libero e spontaneo, , fuori da omologazioni o imposizioni mediatiche. Un modo genuino di far capire che poteva essere gradito ai personaggi: il parlare con il cuore e con i segni della poesia.

 

 

 Giorgio Bompadre e Carlo Ceci

Non si trattava di cercare una formula, ma di agire con intelligenza nell’amicizia per un maestro. I quattro autori fanno parte della cultura urbinate, esprimono un umanesimo legato a quello rinascimentale. Che porta il segno di armonia e bellezza, di architettura e musica, di dialogo e convivialità. Carlo Bo ha amato l’università e la città, Volponi il paesaggio e l’Appennino contadino, don Italo i giovani, la gente e il laboratorio dell’intelligenza, De Carlo la città come urbanesimo e socialità. Sono quindi testimoni delle risorse etiche di Urbino, che abbiamo bisogno di conoscere meglio attraverso un dialogo d’umanità.

 

L’ultimo Caffè letterario è stato dedicato all’architetto De Carlo, l’interprete della “inesauribile magnificenza” di Urbino, il discusso interlocutore quotidiano del volto della città di Bramante e di Raffaello, ma anche l’artefice dell’idillio che esalta il Palazzo Ducale, il paesaggio e l’umanesimo sensibile alla modernità. Ha condotto allora l’incontro Tiziana Fuligna in dialogo con Giorgio Londei, Carlo Giovannini, Giuseppe Vagnerini, Bruno Sirotti, Sergio Ferri, Sergio Pretelli e Silvia Cuppini. Scrive l’architetto De Carlo: “L’esperienza di Urbino è per me una mappa alla quale continuamente mi riferisco per capire il mio itinerario passato e futuro”. E’ un discorso completo caro ai tanti partecipanti. Da allora abbiamo posto l’architetto De Carlo nella quadreria della nostra riflessione quotidiana.

 

Gastone Mosci

 

 

Londei e De Carlo / Il dialogo fra il sindaco e l’architetto / Urbino è cambiata

Il volume che ho qui, questo, è un volume che ha fatto il giro del mondo: è il piano regolatore degli anni sessanta, pubblicato anche in inglese, che è stato studiato nelle maggiori università, negli Stati Uniti ma non solo. Questo libro lo tengo molto caro perché, sfogliandolo, ha una dedica: la dedica si riferisce alla prima volta che io ho conosciuto ed incontrato Giancarlo De Carlo. La dedica dice: ” A Giorgio Londei, sindaco ottimista, Giancarlo De Carlo”, la data è 24 dicembre 1980. Io ero stato eletto sindaco nel luglio del 1980, dopo cinque mesi Giancarlo De Carlo si presenta nel mio ufficio; io lo conoscevo di fama, ma non lo conoscevo di persona, e nel colloquio che abbiamo avuto, perché lui dice “sindaco ottimista di Urbino”: perché lui mi fece l’elenco di tutti i problemi di Urbino che vi erano, e vi prego di credermi che erano tantissimi.

 

 

Il Cimitero Pomodoro

 

Il primo problema era l’eredità del Cimitero Pomodoro; molti oggi non lo ricordano forse, ma ci fu una discussione in città, la città si divise in due, spaccata come una mela, se realizzare o no il cimitero. Poco dopo uscì un volume, Il cimitero sepolto, questo volume è una rarità, che nessuno ha, ma nelle biblioteche del mondo c’è, Il cimitero sepolto è una nota polemica dell’editore Feltrinelli, suggerita da Paolo Volponi, per coloro i quali, dice il volume, si opposero alla realizzazione del cimitero. Che cosa c’entra Giancarlo De Carlo con il cimitero? Giancarlo De Carlo c’entra, perché Giancarlo De Carlo sul cimitero disse: “il progetto è bellissimo, il posto è sbagliato”. Queste furono le parole che disse a me.

 

 

Le colline delle Cesane: l’albergo di 500 stanze alla Ripa del Sasso

 

Poi l’altra eredità, e che forse oggi ce ne siamo tutti scordati, e lo dico a merito di Giancarlo De Carlo (badate bene che quando io dico a merito di Giancarlo De Carlo, voi non pensate che io ne parli solo bene oggi di Giancarlo De Carlo, perché lui non avrebbe voluto lui innanzitutto; lui era uno che amava il contraddittorio, e spesse volte tra me e lui ci fu un contraddittorio. Io a volte dissi anche di no a dei suoi progetti, che a me sembravano molto arditi. Poi farò un esempio.

 

Nell’eredità che avevamo, forse oggi non lo si ricorda più, ma qui di fronte, sulle colline delle Cesane, erano stati progettati circa trecento appartamenti; era stato progettato un albergo di cinquecento stanze alla Ripa del Sasso. La Ripa del Sasso, se voi guardate qui di fronte, è quella piccola montagna che è all’inizio delle Cesane, sopra il Sasso. Voi capite che un albergo di 500 stanze qui di fronte, sul verde, e trecento appartamenti, avrebbero secondo me, e secondo anche Giancarlo De Carlo, rovinato completamente la città per secoli; però noi facemmo un’operazione intelligente allora, spostammo il problema dei trecento appartamenti alla Piantata.

 

 

Perché è nata la piantata?

 

Ma come è sorta la Piantata? La Piantata è sorta in alternativa alle Cesane, come l’area della Tortorina e l’albergo Mamiani è sorto in alternativa all’albergo delle 500 stanze qui di fronte al centro storico. Quindi, come voi vedete, fu fatta un’operazione intelligente, cioè dando soddisfazione alla gente che non aveva casa, da una parte, dall’altra favorendo il turismo, però cambiando posto. Era un po’ come aveva detto Giancarlo De Carlo sul cimitero, il progetto è bello, bisognerebbe cambiargli posto, ma la cosa non è stata possibile.

 

 

Urbino è cambiata

 

Ma l’altra cosa che noi oggi dobbiamo sapere, è che però quando c’era Giancarlo De Carlo non era l’Urbino di oggi. L’Urbino di oggi, secondo me, è completamente cambiata, perché non vi sono più personaggi che allora vi erano. Giancarlo De Carlo, Livio Sichirollo, Paolo Volponi, Piersanti, uno dei pochi che ancora c’è, Fontana, Baldeschi, Don Bedeschi. Don Bedeschi fu un personaggio fondamentale non solo dell’università, ma anche della città, a cui demmo anche la cittadinanza onoraria. Don Italo Mancini, a cui è intitolata quest’aula, Vittorio Emiliani che per fortuna è ancora con noi, Aymonino, Benevolo, questa era quell’Urbino. Ma quell’Urbino non ha nulla a che vedere con l’Urbino di oggi.

 

L’Urbino di oggi è povera, non esiste un dibattito alto, non esiste un dibattito sulle scelte, è un’altra cosa, anche perché i tempi sono cambiati.

 

 

“Giorgio non fare toccare da nessuno Urbino… “

 

E allora se io voglio dire questo, lo voglio anche dire perché non si comprende Giancarlo De Carlo se non si capisce anche un’altra cosa: Giancarlo De Carlo era geloso di Urbino, come un uomo è geloso della propria donna, era gelosissimo; a me ripeteva spesso: “Giorgio non fare toccare da nessuno Urbino che non sia io perché io sono geloso, sono follemente innamorato della città di Urbino”.

 

Ecco perché quando lui ad un certo punto fu allontanato dalla città; perché De Carlo fu allontanato dalla città? Perché aveva l’idea che Urbino avesse bisogno di restaurare il cuore, che le arterie, cioè le frazioni venivano dopo; ci fu un contrasto per cui a De Carlo subentrò Carlo Aymonino. Con Carlo Aymonino, il discorso non fu semplice: io lo licenziai, e non lo dico per spavalderia o per avere un merito, mi è enormemente dispiaciuto quell’atto che purtroppo ho dovuto fare, però quando io ho visto le scatole di Mazzaferro, se mi consentite, ho detto: “Architetto guardi, io sono giovanissimo, lei è un grande architetto, però quelle scatole lì forse sapevo farle anche io, voglio dire”, e lì il rapporto andò in collisione e non ci trovammo più bene, tanto è vero che dopo pochi mesi si allontanò. Poi intervenne Leonardo Benevolo, e anche con lui i rapporti non furono facili, ma fece un grande piano: la Piantata, la Tortorina, il vincolo delle Cesane, facemmo un grande lavoro.

 

 

Il ritorno di De Carlo

 

A questo punto intervenne Giancarlo De Carlo, cioè io andai da Giancarlo De Carlo e gli dissi: “Giancarlo, tu devi ritornare ad Urbino a fare l’architetto, a fare il nuovo piano regolatore. L’Urbino di oggi è di Giancarlo De Carlo; perché l’Urbino di oggi, il PRG vigente è questo, questo fu l’incarico nel 1990-1991, e ancora oggi questo è il PRG vigente di Giancarlo De Carlo. Con delle grandi novità, che lui ha introdotto, che purtroppo oggi sono dimenticate. Demmo la cittadinanza onoraria a Giancarlo De Carlo, nello stesso tempo, quando gli demmo la cittadinanza onoraria, ci fu una discussione, ma non per dargliela, perché lui nel frattempo aveva progettato la facoltà di legge, benissimo, avevamo poi trovato delle discussioni sulla facoltà di economia e commercio, che è bellissima, però la facoltà di economia e commercio aveva due pennacchi che a me personalmente, ad esempio, non stavano bene: “Sta a sentire De Carlo, il progetto è bellissimo, però secondo me quei due pennacchi, ad imitazione dei torricini, non vanno bene, perché ci sono i torricini che sono inimitabili”, e lui trangugiò amaro, ma alla fine capì che quell’opera andava ridimensionata.

 

 

L’idea di De Carlo sul teatro

 

Poi lui, io questo lo dico perché lui è un innovatore, e vado velocemente a concludere, lui è un innovatore. Io vi voglio far vedere una delle cose che lui mi ha lasciato prima di morire, e non so se l’architetto Mezzolani che è qua, architetto dello studio De Carlo, non so se quest’opera sia mai stata pubblicata o se ne sia a conoscenza, ma a un certo punto De Carlo fece un’opera azzardata: voi avete in mente il teatro? Lui una mattina viene da me e mi disse: “Io voglio sfondare il teatro, non andare sotto il portico, voglio sfondare l’esedra. Allora voi comprendete che l’esedra del teatro è fatta lì per i nobili, cioè per i nobili del 900, perché il teatro è dell’800, quando i nobili arrivavano con i cavalli, l’esedra serviva per portare la gente: i cavalli giravano e poi tornavano indietro. Per questo si chiama esedra. De Carlo, e questo è il disegno che io conservo gelosamente nella mia biblioteca, mi presentò il progetto di sfondare l’esedra. Cioè, quando si viene dal Mercatale a piedi, non andare nel portico a sinistra, ma andare diritto, cioè sfondare sotto i torricini. Io gli dissi: “Senti Giancarlo, prima che venga il TSO dell’ospedale, perché secondo me prima internano te poi me, pensiamoci bene su questo progetto, perché mi sembra un progetto molto ma molto azzardato. Lui però era convinto di questo progetto, tanto è vero che mi lasciò anche i dettagli di questo progetto; questo io lo dico perché le persone quando scompaiono si vogliono ricordare, è sbagliato parlarne sempre bene o sempre male, bisogna collocarle bene.

 

 

De Carlo in dialogo con la gente

 

Lui aveva un grande rapporto con la gente e sono contento che la sala qui questa sera sia strapiena di gente, per questo ricordo che facciamo di De Carlo, perché se lui fosse qui con noi stasera, sarebbe contento di vedere tanta gente che siete venuti a vedere, e tutti gli esperti che abbiamo chiamato; di vedere anche ragazze come la Leda e come le altre, e ragazzi come noi abbiamo. Vedete, a Urbino Capoluogo noi abbiamo tantissimi giovani; se voi mi chiedete il perché tanti giovani si iscrivono e vengono ad Urbino Capoluogo, io non vi so rispondere il perché; vi so solo dire che noi affrontiamo sempre temi che vanno nell’interesse della gente; il prossimo lo faremo sulle aziende del territorio. Concludendo, tra le persone che sono presenti, vedo che ci sono tante associazioni, vedo che c’è anche una delegazione del PD, guidata da Santi e da altri, mi sembra che ci sia il capogruppo Sestili, li ringrazio della loro presenza, come ringrazio tutte le associazioni.

 

 

Qual è l’eredità di De Carlo?

 

Questo indica anche l’attenzione che c’è nella città, anche da parte di tutti, sulla iniziativa che noi facciamo oggi. Infine mi dovete consentire un ultimo ringraziamento, un insegnamento e un ringraziamento. L’insegnamento è questo: se voi chiedeste a me oggi, qual è l’eredità che ci ha lasciato De Carlo, io vi dico che ci ha lasciato la raffinatezza e la nobiltà. Quando dico raffinatezza e nobiltà, vi devo dire che De Carlo amava incontrare la gente, io ricordo ancora una mitica assemblea di popolo che facemmo alla fortezza Albornoz, c’era la festa dell’unità allora, mi pare che ancora ci fosse il PCI, in cima al Monte facemmo un dibattito con la gente fino alle due di notte dove lui rispose a tutte le domande, perché lui voleva il contatto con la gente, eppure era un raffinato ed era un nobile. Era raffinato perché lui ad esempio diceva: “Urbino non ha dieci strade, ne ha solo una: deve fare le cose raffinate e uniche al mondo; e lui diceva l’ISIA è unica, l’Accademia di Belle Arti è unica, l’Istituto di Belle Arti è unico, l’Università, alcune facoltà, sono uniche; le industrie che ci sono non bisogna farle grandi, bisogna farle micro, la microeconomia; poi diceva anche delle cose sconvolgenti: lui ad esempio diceva che gli studenti ad Urbino dell’Università, dovevano essere cinquemila, in contrasto con me, io non credevo che dovessero essere cinquemila, perché lui diceva se noi facciamo una università di élite, attiriamo studenti da tutto il mondo e piano piano possiamo arrivare anche a trentamila studenti. Però io gli dissi Giancarlo mi sembra che la Costituzione non impedisca a nessuno di studiare quindi lo studio deve essere generalizzato, però questo qui lo dico per dire quanto lui fosse profondamente convinto di certe scelte che si dovessero fare.

 

 

Urbino Capoluogo è una realtà operosa e creativa

 

L’ultima cosa che voglio dirvi è che l’incontro di oggi è stato reso possibile perché, e per questo lo ringrazio anche a nome di Ferruccio Giovannetti, vicepresidente vicario dell’associazione, e Anastasia Romano che non è qui perché ha un piccolo problemino con un medico, ma che dovrebbe arrivare, e tutti quanti i dirigenti, ringrazio Urbino Capoluogo, l’incontro di oggi è stato reso possibile perché c’è stata una famiglia che ha finanziato questo incontro, commissionando un’opera d’arte da dedicare a Giancarlo De Carlo a Carla Luminati e che poi alla fine vi esporrà. Io credo che non potevamo concludere meglio quando alla fine concluderemo con questa opera d’arte, perché veramente è un omaggio bellissimo a Giancarlo De Carlo il quale, in questa opera di Carla Luminati, viene ricordato Renzo Piano, perché Renzo Piano che anche oggi andrebbe ricordato, ha fatto una lettera bellissima che lì viene pubblicata qualche riga su Giancarlo De Carlo dicendo che “io ho imparato da Giancarlo De Carlo, e se ha imparato da Giancarlo De Carlo, Renzo Piano che benissimo che ancora oggi possiamo imparare noi.Voglio ringraziare infine la famiglia che ha finanziato questo incontro e quest’opera d’arte, che mi è tanto cara, perché fondatrice iniziale con me del primo nucleo di Urbino Capoluogo, voglio ringraziare Vittoria Cioppi e la sua grandissima figlia, Michela Pignataro, questa ragazza che è qui, per aver finanziato l’incontro. Grazie.

Giorgio Londei