Verso il disegno di legge sui 500 anni dalla morte di Leonardo e di Raffaello, di 700 dalla morte di Dante
500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci
e di Raffaello Sanzio,
700 dalla morte di Dante Alighieri.
Disegno di legge (2019-2021)
Intervento durante la seduta pomeridiana della Camera dei Deputati del 18 aprile 2017
On.le Ernesto Preziosi
Il disegno di legge presentato dal governo per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, manifesta – come è evidente – la volontà di garantire adeguato risalto nazionale e internazionale alla celebrazione della vita, del pensiero e delle opere di un poeta e di due artisti di straordinaria importanza. Lo scopo sarà realizzato attraverso attività di alto valore scientifico che saranno programmate e attuate da tre Comitati nazionali, con positivi riflessi sulla conoscenza scientifica e sulla ricerca.
Va anche precisata l’opportunità della strada scelta, come misura ulteriore e speciale, rispetto a quanto si potrebbe fare in base alla normativa vigente.
Tre Comitati nazionali
La specificità del disegno di legge, inoltre, risiede nell’interazione della programmazione culturale e nel coordinamento delle conseguenti attività di ciascuno dei Comitati di cui prevede l’istituzione; Comitati che quindi non opereranno in modo frammentario e individuale, ma che, al fine di divulgare e valorizzare un patrimonio culturale unico e universale, dovranno collaborare fra loro e con il Comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale. Il tutto per realizzare un percorso mirato all’arricchimento dell’offerta culturale in termini di formazione, ricerca, divulgazione e conoscibilità delle opere degli artisti, di valorizzazione turistica dei luoghi in cui essi hanno vissuto e operato, nonché di sviluppo delle competenze degli studenti nel settore dei beni culturali.
Perché la politica si interessa della cultura?
Vi è un aspetto che mi sta particolarmente a cuore e ritengo opportuno sottolineare in questa sede: perché la politica si interessa della cultura? Perché la sostiene e contribuisce con disegni di legge come questo a finanziarla? Il rapporto cultura-politica vive una fase delicata della sua storia come esito di una duplice e speculare crisi. Da un lato, più di un politico tende ad “appropriarsi” della cultura, o evidenziandone in maniera eccessivamente stringente e strumentale il rapporto con il territorio in chiave di sviluppo turistico, oppure pensando di poterne utilizzare, in una fase invasiva della comunicazione, i benefici effetti, in termini di ritorno di immagine.
Il patrimonio culturale
Il patrimonio culturale di un paese, così come si è stratificato storicamente nel tempo, può divenire un fattore importante, e oggi per certi versi decisivo, di acculturazione popolare, di identità e quindi, in definitiva, di cittadinanza. La cultura può favorire il sentirsi parte di uno Stato, far cogliere lo spessore profondo di diritti e doveri che tale relazione comporta. Ciò è ancora più vero oggi in un tempo in cui la mobilità interna al Paese, e l’apporto e la presenza di potenziali nuovi cittadini frutto anche dei flussi migratori, pongono un tema di inclusione accanto, e vorrei dire prima, di quello della cittadinanza. Le nostre città, i nostri territori debbono offrire, rendere fruibile, la cultura di cui dispongono come elemento di identificazione e di cittadinanza. Ci sono in proposito pagine di grande intensità di La Pira sindaco di Firenze.
Per questo la politica nel suo insieme, ai vari livelli, deve interessarsi di cultura promuovendo la ricerca e la divulgazione e destinare ad essa risorse ingenti, curandosi anche delle modalità di utilizzo delle stesse.
Regia del Mibact insieme a MIUR e Presidenza del Consiglio
Torno al funzionamento coordinato previsto dalla legge per assicurare il raggiungimento delle finalità richiamate. Sono opportunamente previste azioni condivise delle diverse amministrazioni interessate, e l’istituzione, presso il Mibact, di una Cabina di regia formata da tre componenti, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio, del MIUR e del Mibact.
In particolare, ciascun comitato dovrà elaborare un programma culturale relativo all’opera e ai luoghi legati alla figura da celebrare, che comprende attività di restauro di cose mobili o immobili sottoposte a tutela, nonché attività di ricerca, editoriali, formative, espositive e di organizzazione e gestione di manifestazioni in ambito culturale, storico, letterario, scientifico e artistico. Il disegno di legge apre tra l’altro una prospettiva di internazionalizzazione e di innovazione tecnologica, anche attraverso l’utilizzo di strumenti digitali, quali piattaforme dinamiche Open Data, aggiornate e sviluppate attraverso le esplorazioni, allo scopo di costituire i valori culturali celebrati come un patrimonio formativo (specie in ambito universitario) e di ricerca internazionale e di rilanciare l’occasione celebrativa quale forma condivisa di sviluppo educativo, soprattutto a livello europeo, e quale opportunità di esercizio di cittadinanza globale.
Finanziamento per ogni Comitato
Più nello specifico, ciascun Comitato nazionale deve elaborare il piano delle iniziative culturali per la divulgazione e diffusione della conoscenza della vita e dell’opera dell’artista, anche con riferimento al mondo della formazione scolastica, universitaria, AFAM e della ricerca, il piano economico, programmi volti a promuovere attività finalizzate al coinvolgimento di soggetti pubblici e privati capaci di apportare utili collaborazioni o risorse economiche, nonché programmi tesi a favorire processi di sviluppo turistico-culturale e di promozione commerciale in ambito culturale connessi alle celebrazioni. I piani e i programmi di attività sono sottoposti all’approvazione del Mibact.
Può essere di qualche interesse richiamare la cifra complessiva investita: ciascun comitato è attribuito un contributo di € 1.150.000, per il periodo dal 2018 al 2021, per complessivi € 3.450.000. I criteri di assegnazione e di ripartizione annuale dei contributi saranno stabiliti con decreti ministeriali, sulla base delle esigenze connesse al cronoprogramma delle attività di ciascun Comitato. Purtroppo, la copertura degli oneri è prevista a valere sulle risorse stanziate dalla legge di stabilità 2016 per il funzionamento degli istituti museali, a cui già si è attinto anche per le esigenze relative agli eventi sismici.
RAFFAELLO E URBINO
Non dovrebbe essere necessario mettere in rilievo la motivazione che ha fatto includere Raffaello Sanzio (1483 – 1520) tra i tre Grandi, considerati dal disegno di legge. La sua statura è universalmente riconosciuta e, accanto alle doti personali, affinate con rapidità nella sua breve vita, ci racconta di un ambiente naturale, si pensi a come si presenta, ancora oggi, nonostante le trasformazioni intervenute, il paesaggio rurale del Montefeltro, così come ci racconta di un ambiente culturale, in cui Raffaello è nato e cresciuto.
Se oggi è di tutta evidenza il rapporto tra Raffaello e Urbino, così non è sempre stato: per molto tempo infatti lo si è trascurato se non negato. A partire dal Vasari che, insieme ad altri, ha contribuito a relativizzare sia l’influsso paterno di Giovanni Santi, sia quello dell’ambiente e della cultura urbinate, mettendo invece in primo piano, nella formazione di Raffaello, il rapporto con il Perugino prima e, in seguito, l’influsso dell’ambiente fiorentino.
La critica oggi, suffragata da nuovi studi e importanti scoperte, nonché dalla ricomposizione delle raccolte, ha ristabilito il legame profondo tra Raffaello e la sua città natale.
Università nel 1506 e Accademia Raffaelo nel 1869
In quella piccola città, collocata sulla dorsale appenninica del Centro Italia, proprio in quegli anni (1507) Guidubaldo I di Montefeltro, (con l’avallo della Bolla di Papa Giulio II), istituisce un Ateneo: una stagione ricca si apre per la città urbinate.
Attorno alla Città e all’Università dell’epoca maturano numerosi ingegni: i matematici Luca Pacioli e Guidubaldo del Monte, gli architetti Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini, rappresentanti di quell’Umanesimo scientifico, che costituì una delle più feconde stagioni destinate ad influenzare la moderna civiltà europea.
Ancora oggi quell’Ateneo è segno di una vocazione internazionale, che la Città conserva sin da quando gli spiriti più illustri dell’epoca convenivano alla Corte di Federico e di Guidubaldo I di Montefeltro. Accanto all’Ateneo è sorta, nel 1869, l’Accademia Raffaello con il compito di conservare e promuovere il genio di Raffaello e curare il decoro di Urbino sua città natale.
Raffaello nella Bottega del padre
Gli anni in cui svolge e si afferma l’Ateneo sono anni in cui Raffaello compie il suo percorso pittorico: dopo gli insegnamenti appresi nella Bottega del padre Giovanni Santi all’interno di quella temperie artistica che a Urbino ha attraversato la prima decade del XVI secolo, incrocia i prodromi del Rinascimento a Firenze. L’avvio è tutto urbinate. Infatti il padre, Giovanni Santi, anch’egli pittore, insieme ai primi insegnamenti, lo incoraggiò a studiare le opere che Piero della Francesca aveva realizzato ad Urbino.
Raffaello cominciò così ad approfondire i primi rudimenti del disegno e della prospettiva. Di fronte alla bravura dimostrata, il padre si adoperò per inserirlo in una bottega dove lavorava un altro grande maestro: il Perugino. Qui Raffaello assimila la grazia tipica delle sue opere e, insieme, apprende dal Pinturicchio il gusto decorativo.
La sua opera rivela una bellezza ideale, classica; una bellezza che diverrà canone, canonica appunto, destinata a passare nel gusto dei secoli seguenti, a divenire elemento di civiltà e ad influire nel nostro ideale di bellezza. È un bello che non si distingue dal bello di natura e dal bello artistico. Al centro dell’arte di Raffaello sta infatti la concezione dell’arte come imitazione della natura, non limitandosi a descriverla.
La tomba di Raffaello al Panteon
Pietro Bembo gli dedicherà un epitaffio, che ancora oggi compare sulla tomba, al Pantheon di Roma: “Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire”. Omaggio alla creatività somma del grande Urbinate. Artista che in brevi anni ha raggiunto vette altissime: “Raffaello è sempre riuscito a fare quello che gli altri vagheggiavano di fare”, sentenzierà W. Goethe.
Come Carlo Bo ricorda Raffaello
Un grande rettore, che ha guidato l’Università di Urbino per più lustri, Carlo Bo, in un’opera del 2001 (Raffaello, bellezza e verità in Città dell’anima. Scritti sulle Marche e sui marchigiani) ha avuto modo di notare come l’arte moderna abbia spostato il senso del valore della bellezza modificandone profondamente il senso.
Ha scritto Carlo Bo che: “Raffaello ci aveva lasciato un’immagine completa dell’uomo, del suo carnale e del suo spirituale, L’arte nuova prima ha separato e poi scomposto e sezionato all’infinito le due suggestioni. Quel suo equilibrio felice, quasi innaturale, era stato ottenuto da una saldatura assoluta, fino a ricostituire una sorta di Paradiso ritrovato, fino a rinnovare l’uomo. Che cosa dice Raffaello con l’illustrazione di questa sublime armonia? Che il fragile, il corruttibile della vita, riassunto nel fuoco e nella luce della bellezza è riscattato dalla nozione di verità. Il corporale, il carnale viene presentato come un momento e un punto di passaggio epperò tutto deve essere pronto per la trasfigurazione”.
Vi è una attualità struggente nell’opera del pittore; la sua bellezza invita a guardare in alto alla ricerca del senso, del significato stesso della vita: “Raffaello racconta un mondo che ha ancora un senso, uno scopo, degli obiettivi ed è un mondo aperto in cui bisogna fare confluire le forze della natura e quelle soprannaturali” (id. p. 170). D’altra parte concludeva Bo: “Il mondo senza Dio, la bellezza che non riesce a guardare in alto è il mondo della corruzione inevitabile” (id.).
Ernesto Preziosi