Gianfranco Sabbatini nasce a Pesaro l’11 settembre 1932. Nella città delle Marche trascorre l’intera sua esistenza, sino alla morte giunta il 12 aprile 2017.
Laureato in Giurisprudenza, nell’Ateneo urbinate, ha esercitato la professione di avvocato. La sua biografia è caratterizzata dall’impegno politico e dal ruolo svolto nel mondo del credito, prima nella locale Cassa di Risparmio e, in seguito, nella Fondazione della stessa Cassa di Risparmio, costituita nell’ambito del progetto che ha dato vita a Banca Marche.
Si forma nelle file della Gioventù di Azione Cattolica di Carlo Carretto, dove stringe un forte legame di amicizia con l’allora Presidente diocesano, Gianfranco Gaudiano, che diventerà in seguito sacerdote e animatore di numerose opere sociali. Si iscrive, giovanissimo, alla Democrazia Cristiana che a Pesaro ha come principali referenti Arnaldo Forlani e Giovanni Venturi.
La militanza politica nelle file della DC, lo vede spendersi nella vita del partito e nell’impegno amministrativo negli anni in cui, dopo la ricostruzione, si pongono le premesse dello sviluppo del territorio. Della Dc sarà Segretario provinciale e regionale.
Eletto a più riprese in Consiglio Comunale, sarà anche capogruppo di minoranza. Si segnalerà sempre per la capacità di dialogo e di collaborazione nell’interesse della Città e dei suoi abitanti.
Nel 1972 è eletto in Parlamento, vi starà per tre legislature (VI, VII, e VIII), sino al 1983, ricoprendo importanti incarichi. Membro della Commissione Giustizia, di cui sarà anche, a più riprese, Vicepresidente; per un periodo è membro anche della Commissione Affari Costituzionali e di altre Commissioni tra cui, dal dicembre 1982, della Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia. Partecipa in particolare alla Commissione Parlamentare per il parere al governo sull’emanazione del nuovo codice di procedura penale, contribuendo alla redazione del testo, di cui sarà relatore in Aula.
Negli anni della Segreteria De Mita (1982-1989) è chiamato all’incarico di responsabile Enti locali della DC, segue in questa veste, in un contesto politico che va rapidamente mutando, la formazione di varie giunte comunali, tra cui quella che vede, nel 1985, Leoluca Orlando sindaco di Palermo.
Nella seconda metà degli anni ’90, dopo la fine dell’esperienza democratico-cristiana, Sabbatini aderisce al Partito Popolare prima e quindi alla Margherita e, infine, al Partito Democratico.
Un amico dell’agorà e del libro
La mia generazione si è appassionata alla politica, al ciclismo e al cinema. A Urbino si passava il tempo a scuola, in piazza e in parrocchia. Un mio amico di dieci anni più grande amava il teatro, la pallacanestro e la politica. A Pesaro si poteva amare il mare oppure godere degli incontri in piazza del Popolo, riservati a chi discuteva di politica con gente di tutte le professioni partitiche. Il mio amico non amava il kursaal ma la lettura, lo studio, la biblioteca giuridica. La sua strada era lastricata di sampietrini di questioni politiche.
A Urbino
Mi trovai a conoscerlo e ad ascoltarlo i primi anni sessanta a Urbino, a Palazzo Liera, in via Santa Margherita nelle sale sopra il Circolo Acli. In quel palazzo l’arcivescovo Cazzaniga voleva fare l’oratorio per i giovani, come si faceva in Brianza, ma il progetto non riuscì del tutto. Nel primo incontro delle matricole del 1959/60 l’amico Processione ne radunò un buon numero perché si era in tempo di elezioni universitarie per eleggere i nuovi rappresentanti dell’organismo rappresentativo universitario urbinate. C’erano anche Fabio, Luciano, Tonino, Francesco, Bruno, Angelo, Franco, Antonio e qualche anziano della goliardia. Più di cinquant’anni fa. Il nostro organizzatore, laureato di fresco in legge, pensò bene di trovare un argomento attraente, di gusto giovanile, aperto alla cultura ed al futuro dell’Europa e chiamò un relatore di qualità, fatto venire da Pesaro, attento alla politica ma già avviato in uno studio di avvocato. Questi trovò subito un argomento convincente, che era maturato in qualche suo viaggio o in una ricerca di un centro studi sui giovani, un tema di fuoco: “I giovani in Europa e l’amore in Svezia”. Il titolo della conferenza era questo ma il racconto volava nel sogno e nella dispersione dei viaggi, delle vacanze estive, dei lidi marini delle giovani svedesi, della costa romagnola più che di quella marchigiana. A parlarne oggi si potrebbe dire che era un modo per distrarsi dai problemi pesanti dello studio per conoscere meglio l’Europa, sbirciare “La dolce vita” di Fellini, fare un patto di conoscenza con la giovinezza. Il relatore era giovane, cordiale, simpatico, una parlantina sorridente: aveva fatto strada. L’esperienza e la saggezza pesarese facevano breccia a Urbino. E così iniziò l’esperienza della parola, del sentirsi in politica, nel riconoscersi nei programmi da realizzare.
A Piobbico
Quasi vent’anni dopo, un altro incontro con l’amico pesarese. Ci trovavamo nella stessa competizione elettorale, nello stesso partito e per lo stesso contenitore parlamentare della IX legislatura. Un pomeriggio eravamo in campagna elettorale a Piobbico, delizioso borgo alle falde del Nerone ma non ancora segnato dalla rinnovata associazione dei “brutti” di Lelé Iacobelli. L’appuntamento elettorale era nel teatrino della parrocchia, che serviva anche da sala cinematografica. Eravamo noi due pronti per il comizio dei candidati. Il pubblico era da prima fila con la presenza del parroco e della superiora delle suore dell’asilo, il parroco don Franco Montanari, nipote del parroco di Fermignano, don Adelelmo Federici, noto fustigatore a suo tempo dei costumi dei fascisti, e la cordialissima suor Domenica. Il comizio a due voci cercava di interessare l’uditorio: il mio amico iniziava con i tempi favolosi del Ducato e sulla sicurezza dei progetti politici, io mi rifugiavo nel teatro e sul teatro per carpire qualche consenso: il pubblico che partecipa a un evento politico è come quello che assiste a una pièce teatrale, due luoghi e due forme di comunicazione, ma chi ascolta decide con il voto oppure applaude a fine spettacolo. Erano i tempi di Forlani e di De Mita con Craxi che decideva. Tutto era prestabilito: la società marciava per conto proprio, la politica si affannava a correrle dietro. Si era senza un’anima progettuale, non all’altezza della situazione europea, non bastava eccepire e godere dell’accoglienza e della bellezza dell’Appennino. Anche noi rimanemmo a piedi. I tempi erano decisamente cambiati. L’elettorato punì il nostro partito e chi non si liberava dal passato. Il mio amico, dopo tre legislature chiudeva la politica del treno romano e tornava a dedicarsi ai problemi bancari e istituzionali della sua città ed ai problemi reali della gente. Per me iniziava l’epoca de “Il Nuovo Leopardi”, una rivista culturale praticamente inventata da Carlo Bo per salvare le conferenze e le lectio magistralis dei docenti urbinati.
Alla Morciola
Dopo altri vent’anni, organizzavamo numerosi incontri collettivi con operatori culturali di Pesaro, Urbino e delle vallate del Metauro e del Foglia per l’attivazione di una serie di appuntamenti alla Morciola, dedicati alla formazione politica, all’idea di nuova città, al rapporto fra cultura e società. Il cartello di questi incontri portava il nome di “Laboratorio Valerio Volpini”, l’amico scrittore e politico, uomo della Resistenza e direttore de “L’osservatore romano”, che ha segnato la cultura letteraria e artistica italiana e che ha promosso una partecipazione politico-culturale che trova la sua identità nella Costituzione repubblicana: in quel contesto ha rappresentato il punto di riferimento per un cammino culturale impegnato. Il dialogo sosteneva alcune domande: quale politica? Quali progetti sviluppare al fine di legare il mondo culturale urbinate e lo sviluppo industriale pesarese? Si parlava della città campus di una università di ricerca e di formazione e dell’ambiente industriale pesarese con punte di primato nell’economia dei mobilieri e della meccanica. L’idea che veniva sostenuta era di promuovere una nuova socializzazione della cultura e del lavoro, della partecipazione e della progettualità con un forte impegno umanitario. Negli incontri della Morciola prevaleva l’idea della cittadinanza sociale, come possibilità di una democrazia aperta alla modernità ed alle sfide della socialità europea e mediterranea.
A Pesaro
Questa visione di politica sociale e di democrazia comunitaria era maturata nel contesto pesarese negli anni novanta dello scorso secolo e nei primi del Duemila: emergeva dalla vita cittadina che in quell’epoca l’amministrazione del sindaco Oriano Giovanelli aveva sostenuto con scelte di priorità antropologica. Si trattava della socialità della città grazie alla operosità negli anni settanta-ottanta del sistema sociale e comunitario promosso dal don Gianfranco Gaudiano. Questo testimone della Chiesa pesarese, medico e osservatore dell’ambiente giovanile dei tossici e degli ultimi ma presente anche nel contesto culturale e politico cittadino ha dato vita ad una quantità di associazioni, cooperative e comunità terapeutiche che negli anni hanno saputo individuare i problemi dell’assistenza giovanile dei disabili e creare una rete di servizi e di partecipazione con operatori sociali e culturali, intellettuali e professionisti, gente delle classi popolari e del mondo borghese. Questa partecipazione così ampia e generosa, questo darsi la mano senza prevenzioni ideologiche, che alimentava una visione nuova del volontariato, ha creato una nuova cultura sociale a Pesaro, una inedita cittadinanza del volontariato.
Il mio amico pesarese è stato un collaboratore ad alto livello della prima ora ed un consapevole sostenitore di don Gaudiano. Si trovava allora alla presidenza della Cassa di Risparmio di Pesaro, poi vice-presidente di Banca delle Marche, dal duemila alla presidenza della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, creando in Italia la nuova immagine delle fondazioni bancarie nelle città aperte e disponibili per la cittadinanza sociale come missione.
Questo volto inedito del volontariato pesarese, che fa breccia in tanti altri settori sociali e imprenditoriali, si deve alla sua intelligenza di relazione ed al ruolo della fondazione bancaria che ancora presiede. Allo spirito di missionarietà ecclesiale e di cittadinanza attiva di don Gaudiano, egli aderisce con il coinvolgimento della classe dirigente della città e diventa il testimone di una nuova realtà democratica. Del resto la Fondazione era nata per gestire una eredità finanziaria consistente della Cassa di Risparmio di Pesaro, un bene che nello sviluppo del cambiamento del mondo bancario, permetteva di partecipare alle politiche finanziarie ed ai risvolti quotidiani del territorio pesarese e urbinate.
Questa sua aperta esperienza culturale e sociale ha fatto breccia nei vari contesti, è stata veramente creativa, nel senso che ha stimolato tanta partecipazione e tante operosità sociali. Mi sento anche io uno dei ragazzi delle comunità di don Gaudiano, che il secondo Gianfranco ha animato di fiducia e di speranza.
Gastone Mosci
GIANFRANCO SABBATINI : UN SIGNORE
di Raimondo Rossi
Durante una chiacchierata amichevole con Gianfranco, pensavo di prenderlo, come si dice “in castagna”, parlandogli del gezzista nero Art Tatum. Dovetti scendere umilmente dalla mia saccenza, perchè lui ne sapeva piu di me, senza farmi pesare il suo profondo interesse. Era fatto così. Ricordo che in una libreria di Urbino mi offrì di scegliere quaslsiasi libro che desiderassi, a sue spese. Si lamentò molto perchè avevo scelto un opuscoletto di poche lire e non avessi approfittato di accapparrarmi una costosa edizione d’arte. Con lui era sempre un piacere parlare d’arte ed apprezzava sempre una mia piccolrzza che amava tenere in mostra sul tavolo della Fondazione e mostrare agli amici, come fosse una grande opera d’arte!
Il Rettore Vilberto Stocchi ricorda Gianfranco Sabbatini:
La sua scomparsa è una grave perdita per l’Università di Urbino
Con la scomparsa di Gianfranco Sabbatini l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e l’intero territorio provinciale perdono un fondamentale punto di riferimento.
La sua vita è stata contrassegnata dalla passione per la tutela della cultura, delle figure e dei luoghi che hanno saputo rappresentare il territorio nei loro valori più veri e profondi.
Per l’Ateneo in particolare, il suo nome si lega indissolubilmente a quello di Carlo Bo, col quale condivise momenti importanti di questo impegno. Penso in particolare al sostegno al Premio Nazionale Frontino Montefeltro, appuntamento simbolo dell’attenzione alla valorizzazione di tanti mirabili borghi del Montefeltro, della sua storia e della sue gente.
Nel segno di don Gaudiano
Quando se ne va uno così, il numero uno, il migliore di tutti noi, c’è di che piangere e c’è di che rimpiangere; ma soprattutto c’è di che meditare.
Meditare che nella vita c’è un modo per essere colti. Tenendo alta l’antenna dell’attenzione, leggendo la realtà tutta intera; sapendo che il cuore può confortare e scaldare il cervello, ma non sostituirlo. Meglio se in compagnia dei libri, che ti allungano la vita, ti moltiplicano gli interlocutori, ti scatenano la curiosità incontenibile e sorprendente per lo stesso libraio che si sente inadeguato e in dovere di avvertirti di ogni novità in uscita.
A uno così era un piacere, un dovere e un privilegio far leggere un testo prima di renderlo pubblico.
Meditare che nella vita c’è un modo per fare politica. Senza urlare e senza odiare, pur stando da una precisa parte politica. Cercando di cogliere il meglio dalle situazioni anche quando imboccano una direzione che non vorresti. Senza ostentare ruoli, frequentazioni, primogeniture. Mai negativo. E senza strappi, nella consapevolezza che è più difficile e più utile progredire e cambiare nel solco della tradizione che improvvisarsi nuovi e originali. Perché uno così sa che la realtà è più severa e più saggia di tante idee.
Meditare che nella vita c’è un modo per praticare l’amicizia, il più nobile e il più fedele dei sentimenti. Quando hai un dolore da nominare, un dubbio da sciogliere, una decisione da prendere, una confidenza da fare, una gioia da comunicare, da chi vai se non da uno così, che ha l’umanità e l’intelligenza di capire e di capirti; che si mette dal tuo punto di vista, senza angustiarti coi suoi problemi. Di qui il nostro sentirsi di continuo per dirsi tutto e niente: dalla battuta, alla curiosità del giorno, al semplice saluto. Fino ai monosillabi finali.
Meditare che nella vita c’è un modo per soffrire con dignità. Soffrire nell’anima e nel corpo, come tutti. E anche un po’ di più, com’è capitato a uno così. Quando non ti dai pace per colpe non tue; quando hai ragione, ma taci per non mettere in difficoltà altri; quando nascondi la consapevolezza della tua irreversibile malattia alle persone più care perché non abbiano a soffrire oltre misura.
Fedeltà nell’amicizia e dignità nella sofferenza: due lezioni apprese alla scuola del suo compagno di viaggio don Gianfranco Gaudiano e messe in pratica nell’ideazione della Fondazione a lui intitolata e nel costante, decisivo e insostituibile sostegno alle sue opere. Che ora entrambi - grazie al Sindaco e alla sua Giunta - si ricongiungano nella casa dei nostri cittadini illustri, è non solo cosa giusta e bella ma anche motivo di conforto e di impegno per tutti noi, che siamo tristi; perché, come quel 10 ottobre di ventiquattro anni fa, anche oggi la stessa stella polare sembra eclissarsi.
Gianfranco, ci manchi in un modo che più non si può. Ma noi ti abbiamo voluto così bene da credere che un po’ ti manchiamo anche noi.
Ivano Dionigi, Presidente della Fondazione don Gaudiano
Intervento a ricordo di Gianfranco Sabbatini
di fine seduta della Camera dei Deputati del 19 aprile 2017
Gianfranco Sabbatini nasce a Pesaro l’11 settembre 1932. Nella città delle Marche trascorre l’intera sua esistenza, sino alla morte giunta il 12 aprile 2017.
Laureato in Giurisprudenza, nell’Ateneo urbinate, ha esercitato la professione di avvocato. La sua biografia è caratterizzata dall’impegno politico e dal ruolo svolto nel mondo del credito, prima nella locale Cassa di Risparmio e, in seguito, nella Fondazione della stessa Cassa di Risparmio, costituita nell’ambito del progetto che ha dato vita a Banca Marche.
Si forma nelle file della Gioventù di Azione Cattolica di Carlo Carretto, dove stringe un forte legame di amicizia con l’allora Presidente diocesano, Gianfranco Gaudiano, che diventerà in seguito sacerdote e animatore di numerose opere sociali. Si iscrive, giovanissimo, alla Democrazia Cristiana che a Pesaro ha come principali referenti Arnaldo Forlani e Giovanni Venturi.
La militanza politica nelle file della DC, lo vede spendersi nella vita del partito e nell’impegno amministrativo negli anni in cui, dopo la ricostruzione, si pongono le premesse dello sviluppo del territorio. Della Dc sarà Segretario provinciale e regionale.
Eletto a più riprese in Consiglio Comunale, sarà anche capogruppo di minoranza. Si segnalerà sempre per la capacità di dialogo e di collaborazione nell’interesse della Città e dei suoi abitanti.
Nel 1972 è eletto in Parlamento, vi starà per tre legislature (VI, VII, e VIII), sino al 1983, ricoprendo importanti incarichi. Membro della Commissione Giustizia, di cui sarà anche, a più riprese, Vicepresidente; per un periodo è membro anche della Commissione Affari Costituzionali e di altre Commissioni tra cui, dal dicembre 1982, della Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia. Partecipa in particolare alla Commissione Parlamentare per il parere al governo sull’emanazione del nuovo codice di procedura penale, contribuendo alla redazione del testo, di cui sarà relatore in Aula.
Negli anni della Segreteria De Mita (1982-1989) è chiamato all’incarico di responsabile Enti locali della DC, segue in questa veste, in un contesto politico che va rapidamente mutando, la formazione di varie giunte comunali, tra cui quella che vede, nel 1985, Leoluca Orlando sindaco di Palermo.
Nella seconda metà degli anni ’90, dopo la fine dell’esperienza democratico-cristiana, Sabbatini aderisce al Partito Popolare prima e quindi alla Margherita e, infine, al Partito Democratico.
La politica non è più quella dei suoi anni giovanili e offre più di una delusione; resta l’attenzione per i problemi del territorio, per la città, per le sue dinamiche sociali ed economiche. La sua lettura dei fatti, il suo punto di vista, costituiscono sempre un valido confronto e per questo è interlocutore di tanti, a cominciare dalle istituzioni locali. Come molti politici della sua generazione ha una formazione che lo rende capace di mediare, di comporre, di tenere insieme, non limitandosi alle problematiche contingenti, ma guardando avanti tracciando, se possibile, scenari futuri.
Il suo ruolo nella Cassa di Risparmio di Pesaro e in Banca Marche è legato ad una visione di sviluppo del territorio, in cui l’attenzione alle persone, la dimensione culturale e antropologica della città e della provincia, entrano in gioco accanto all’ordinaria dimensione economica.
Della Cassa di Risparmio sarà Presidente dal 1987, sino al 1994. È il periodo in cui si progetta e si realizza, con il coinvolgimento delle Casse di Risparmio di Macerata e di Jesi, la fondazione di Banca Marche, di cui sarà vicepresidente dal 1994 al 2000.
Passerà quindi alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, dove sarà presidente dal 2000 sino al del 2015. Alla guida della Fondazione privilegia gli obiettivi di natura educativa e culturale: la sanità pubblica, il welfare, ed in particolare i progetti sulla disabilità, sul disagio psichico, sulle dipendenze, sulle nuove povertà, spesso realizzate dalle Opere fondate da don Gianfranco Gaudiano: una scelta che contribuisce a fare di Pesaro una città solidale.
Alla guida del nuovo ente ottiene molti risultati positivi anche se non potrà evitare – e di questo ne soffrirà in maniera particolare – il drammatico epilogo di Banca Marche. Ha vissuto con sofferenza l’ultimo anno di vita, mentre la malattia avanzava, non potendosi dar pace per il fatto che non si trovasse una soluzione, più dignitosa e più giusta, per la Banca, ben sapendo le conseguenze gravi che quel fallimento comportava per tante persone e per le stesse potenzialità di sviluppo del territorio.
Gianfranco Sabbatini sarà ricordato per le sue doti umane e cristiane, per il contributo dato, nei vari ruoli ricoperti, alla crescita della città, per un modo di interpretare i suoi ruoli, volgendoli sempre in favore di una partecipazione più fattiva e inclusiva. Il suo impegno per gli ultimi, per i nuovi poveri presi in carico dalle Opere di don Gaudiano ha segnato in maniera particolare l’ultima stagione della sua intensa vita.
La sua testimonianza, espressa sempre con un modo di fare semplice, quasi defilato, rimane come esempio per le nuove generazioni: un impegno possibile per il bene comune, per il benessere della Città degli uomini.
Ernesto Preziosi