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ASACUSA, l’antimateria che accende la fantasia

in Cultura/Il Fanese curioso di Giovanni Volpini

 

ASACUSA, l’antimateria che accende la fantasia

di Giovanni Volpini

 

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ASACUSA sembra un po’ uno scioglilingua o il nome del personaggio di una fiaba: è in realtà l’acronimo di Atomic Spectroscopy And Collisions Using Slow Antiprotons (Spettroscopia e collisioni atomiche per mezzi di antiprotoni lenti), l’esperimento che ha riportato il CERN agli onori delle cronache nei giorni scorsi.

ASACUSA è riuscito nella creazione di un fascio di atomi di antidrogeno, ottanta per l’esattezza, una quantità drammaticamente minuscola, che espressa in grammi risulterebbe qualcosa come zero virgola -aggiungete ventuno zeri- uno… Ma che cos’è in realtà questa antimateria che accende la fantasia e rappresenta spesso un artificio narrativo di tanta – mediocre – letteratura?
Dirac nel 1928, ipotizza che a ogni particella elementare sia associata una “replica” con la medesima massa e carica elettrica di segno opposto, detta antiparticella.

Quattro anni dopo Anderson osserva nei raggi cosmici l’antiparticella dell’elettrone  normalmente chiamata positrone – battendo sul filo di lana Blackett e l’italiano Giuseppe “Beppo” Occhialini che conducevano la medesima ricerca. La scoperta dell’antiprotone segue nel 1955 a Berkeley (California) ed è legata al nome di uno scienziato italiano, Emilio Segrè, insignito del premio Nobel nel 1959 per questo risultato.

Alla fine degli anni ’70 viene realizzato al CERN di Ginevra il primo dispositivo in grado di accumulare antiprotoni. A questo punto è quasi “naturale” voler mettere assieme i due pezzi, positrone e antiprotone, creando così un atomo di antiidrogeno. Naturale, ma non facile, e il risultato viene raggiunto nella prima volta nel 1995. Ma sono atomi ancora molto veloci, in gergo si dice “caldi”, difficili da trattenere il tempo sufficiente per poterli studiare con attenzione.

Conservare gli antiatomi è estremamente arduo: coerentemente con la nozione comune, si annichilano quando entrano in contatto con la materia ordinaria, trasformandosi in un lampo di energia. Dapprima questo problema è stato risolto attraverso una cosiddetta “bottiglia magnetica” capace di intrappolare gli antiatomi per qualche decina di minuti; tuttavia il medesimo campo magnetico disturba le misure che si vogliono fare.

ASACUSA utilizza una nuova tecnica sperimentale per creare un fascio di antiatomi, che possono allontanarsi dalla bottiglia magnetica raggiungendo una zona dove possono essere studiati senza interferenze.

Ma che cosa ci si attende dallo studio degli atomi di antiidrogeno? Allo studio di queste particelle esotiche si ricollega uno degli enigmi più profondi del nostro universo, costituito, per quanto ne sappiamo, da sola materia ordinaria. Perché, visto che al momento del Big Bang dovrebbe essersi formata tanta materia quanto antimateria? Gli scienziati sperano di identificare quella sottile differenza fra materia e antimateria che possa giustificare, per così dire, la scomparsa di quest’ultima.

L’antimateria è in realtà meno esotica di quanto si potrebbe pensare: in medicina la PET (Positron Electron Tomography) sfrutta appunto sostanze radioattive che emettono positroni. Queste sostanze, iniettate nel paziente, si accumulano nei tessuti sede di processi patologici; in seguito il positrone emesso si annichila (è antimateria!) quasi istantaneamente con un elettrone, dando origine a quel “lampo” di energia che permette di ricostruire la posizione dei tessuti malati, effettuando una sorta di radiografia interna.

Lo studio dell’antimateria non è quindi un gioco fine a se stesso: ci fornirà forse la chiave per comprendere l’origine dell’universo, e già oggi offre un nuovo metodo diagnostico in medicina.

Giovanni Volpini

13 febbraio 2014