Giovanni Volpini, Il riposo del gigante
Abbiamo tutti – almeno una volta nella vita – giocato con un puzzle: si comincia a suddividere le tessere per colore, si passa poi ai primi incastri che fanno emergere alcuni particolari, magari il volto di un personaggio o un dettaglio del monumento. In seguito, con attenzione e pazienza, si ricompongono scorci via via più vasti fino a quando l’immagine si completa e ogni tessera trova il suo posto. E’ una buona metafora della ricerca scientifica: possiamo pensare all’acceleratore LHC (Large Hadron Collider) del CERN di Ginevra come un dispensatore di tessere; da sola ciascuna di queste non significa niente, ma prese nel complesso permettono di ricostruire un quadro sempre più preciso della natura. E più sono le tessere che LHC produce, più chiara sarà la nostra comprensione del mondo subnucleare.
Nonostante i risultati spettacolari, l’acceleratore LHC non sta funzionando ancora al meglio delle sue capacità: forse ricorderete il passo falso del 2008, quando solo pochi giorni dopo la sua entrata in funzione avvenne un’esplosione all’interno dei magneti superconduttori, provocata da una sorta di “spina” elettrica malfunzionante. Qualcosa di simile succede quando, staccando la spina di un elettrodomestico acceso, si crea una scintilla. E’ una pratica vivamente sconsigliata perché danneggia la spina stessa e può creare problemi anche più seri; in LHC l’enorme energia immagazzinata nei magneti superconduttori ha fatto sì che la “scintilla” vaporizzasse istantaneamente numerose tonnellate di elio liquido, creando una bolla di gas che espandendosi con violenza all’interno del tunnel ha messo fuori servizio centinaia di metri di acceleratore, sconvolgendo e ribaltando magneti pesanti decine di tonnellate.
Per rimediare ai danni e risolvere almeno parzialmente il problema delle “spine” elettriche è stato necessario fermare l’acceleratore per tutto il 2009. Allora, il desiderio di riprendere gli esperimenti quanto prima aveva suggerito di ridurre i tempi della riparazione adottando soluzioni provvisorie; dopo la grande scoperta del bosone di Higgs nell’estate 2012 si è giudicato che il momento fosse oramai maturo per risolvere il problema in modo definitivo e dal febbraio di quest’anno LHC è fermo per la manutenzione che si concluderà all’inizio del 2015.
Alla sua riaccensione, LHC riprenderà a inviarci tessere del puzzle a velocità ancora maggiore e si prevede di ottenere 8 o 10 volte il numero di tessere prodotte fino ad ora entro il 2020. E non è ancora finita: chi lavora – come il sottoscritto – sul potenziamento dell’acceleratore, è in questo momento impegnato in un progetto noto come “Alta Luminosità” che studia nuove lenti magnetiche e altre apparecchiature che permetteranno di centuplicare, letteralmente, il raccolto negli anni successivi al 2022.
Cosa ci si aspetta di trovare? La scoperta del bosone di Higgs ha rappresentato un punto di svolta: ha concluso una ricerca durata quarant’anni e con la sua osservazione abbiamo veramente superato delle colonne d’Ercole. Ora siamo in un mare incognito e non sappiamo precisamente cosa aspettarci: esistono moltissime previsioni, e proprio per questo la ricerca si fa difficile dovendo, per forza di cose, essere meno mirata. C’è anche chi ritiene – c’è sempre un pessimista – che non troveremo niente, e che per l’osservazione delle prossime particelle servirebbero acceleratori dalle dimensioni inimmaginabili, magari grandi come la Galassia, ma la maggior parte degli scienziati è convinta che nuovi scenari si paleseranno, aiutandoci a comprendere meglio non solo il mondo subnucleare, ma di riflesso anche alcuni misteri del Cosmo. Non resta che attendere il risveglio del gigante.
Giovanni Volpini
3 giugno 2013