Savona ricorda Giampiero Bof con un concerto ed un convegno con il teologo Giannino Piana

in Cultura

Savona ricorda Giampiero Bof con un concerto ed un convegno con il teologo Giannino Piana

 

Per don Giampiero Bof la musica era una forma sublime di preghiera, un dialogo quasi perfetto tra l’uomo e Dio, la musica era anche incontro tra gli uomini, argomento di dialogo attraverso una lingua comune, un tema su cui confrontare idee, sentimenti, argomentazioni tecniche ma anche per capire istanze sociali, inquadrare periodi storici e motivazioni filosofiche. Insomma per lui la musica era un elemento imprescindibile nel contesto della sua lunga e operosa vita. Un rifugio nei momenti di sconforto per le sue note vicissitudini, uno stimolo allo studio ma soprattutto un momento di dialogo con gli altri senza distinzione di fede, idea politica o genere”.

Il 26 novembre 2018 alle ore 20,30 nella chiesa di sant’Andrea Apostolo in piazza dei Consoli a Savona un concerto per ricordare in musica don Giampoiero Bof, già docente a Urbino, nel primo anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 30 novembre 2017. Segue il ricordo del prof. Giannino Piana nel recente convegno di Savona e una pagina su Bof nel contesto urbinate (Gastone Mosci).

Giampiero Bof, un teologo versatile

di Giannino Piana

Ho conosciuto Giampiero Bof agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, in occasione della comune partecipazione come docenti ai corsi estivi del Centro Ut unum sint, un’iniziativa pilota nata nel periodo dell’immediato postconcilio volta ad offrire ai laici la possibilità di un accostamento organico alla teologia mediante un sistema di scuola per corrispondenza. Un’esperienza di lavoro, che ci portava a vivere in stretto contatto per alcune settimane, con la possibilità di un confronto quotidiano su questioni teologiche (e non solo) e con lo sviluppo di una forma di amicizia, che è venuta consolidandosi nel tempo.

Alla stagione dell’Ut unum sint è poi seguita quella dell’Istituto superiore di Scienze religiose dell’Università di Urbino. Qui il mio rapporto con Giampiero si è ulteriormente approfondito, soprattutto in occasione del mese di agosto nel quale ci si trovava a condividere un periodo piuttosto lungo di vita comune. La frequentazione si è fatta più intensa, e la possibilità di approfondimento della conoscenza reciproca ha facilitato il dialogo e la convergenza attorno a molte questioni teologiche, con il riscontro di una sintonia di vedute che, pur nella differenza delle discipline di riferimento – Giampiero seguiva peraltro con attenzione anche l’evolversi della teologia morale, al punto che era stato coinvolto nel Comitato di redazione della “Rivista di teologia morale” delle edizioni Dehoniane di Bologna – era dettata dall’aver preso sul serio la sollecitazione al rinnovamento degli studi teologici (e non solo) che veniva dal Concilio.

Una grande ricchezza umana

Tracciare il ritratto di Giampiero non è impresa facile. Al primo impatto con la sua personalità forte e irruente si era istintivamente indotti ad assumere un atteggiamento difensivo. Ci si sentiva soverchiati dalla sua figura, anche fisicamente imponente, e frastornati dalla sua capacità di affabulazione, nonché dall’estrema varietà dei registri culturali sui quali sapeva con naturalezza destreggiarsi. Frequentandolo tuttavia con maggiore assiduità e andando al di là della scorza esterna, si rimaneva sorpresi dalla ricchezza del suo mondo interiore e dalla sua sconfinata generosità.

Giampiero non si tirava mai indietro, non cercava pretesti, ma rispondeva sempre con totale disponibilità a qualsiasi richiesta gli venisse fatta, senza alcun calcolo, spendendosi anche fisicamente fino al logoramento delle proprie energie – forse proprio questa è stata una delle ragioni dei suoi guai di salute – ed era soprattutto pronto, per la versatilità dei suoi interessi teologici e culturali in genere, a sostituire nei corsi e nei seminari chiunque, per qualsiasi motivo, fosse venuto a mancare. Suor Domenica, la responsabile dell’Ut unum sint, lo considerava per questo una sorta di iolly di cui si serviva, assegnandogli talora un carico di lavoro logorante.

Ma la sua grande umanità si rendeva soprattutto trasparente nei rapporti che egli sapeva intrattenere nel tempo libero con colleghi e alunni. Qui, al di là delle competenze professionali, emergeva la sua capacità di rispondere alle esigenze delle singole persone, di sintonizzarsi con i problemi esistenziali di ciascuno, condividendo con una partecipazione profonda soprattutto le situazioni più umanamente faticose e cariche di sofferenza. Di questo sono personalmente testimone, avendo sperimentato, in un periodo per me particolarmente difficile, la delicatezza con cui mi chiedeva conto dell’evolversi della situazione, esprimendomi solidarietà e vicinanza fraterna. Dietro all’apparente sobrietà, talvolta persino rudezza dei tratti, si nascondeva in realtà un animo particolarmente sensibile, capace di grande comprensione e di vera condivisione delle vicende personali di ciascuno.

Un credente e un uomo di chiesa

Uno dei connotati della personalità di Giampiero, che gli ha procurato anche non poche difficoltà nei rapporti con l’autorità ecclesiastica, era l’estrema franchezza con cui esprimeva le proprie convinzioni o formulava i propri giudizi. Il suo linguaggio era sempre improntato al “sì, sì” “no, no” evangelico, senza reticenze e soprattutto senza alcuna ambiguità. Giampiero non era certo un diplomatico, non sopportava l’ecclesiastichese, le formule paludate e mistificatorie; reagiva con forza e con irruenza, agitandosi anche fisicamente e arrossando in volto, di fronte a prese di posizione ufficiali dove, dietro alla nebulosità delle parole e delle formule usate, vi era in realtà la volontà di conservare ad ogni costo il potere. L’onestà intellettuale e morale era senza dubbio l’aspetto più qualificante del suo modo di essere e di agire, che si traduceva nel rifiuto di ogni compromesso e di qualsiasi forma di piaggeria.

Schiettezza e limpidità di coscienza e di giudizio non sono tuttavia gli unici fattori nei quali si manifestava la sua statura di uomo e di cristiano. A contraddistinguere il suo stile di vita era una forma di sobrietà – l’autentica povertà evangelica – che si rendeva presente in molti modi e sotto forme diverse ma nella sostanza convergenti: dall’arredamento della casa, in larga parte costituito da una grande quantità di libri sparsi un po’ ovunque – gli strumenti del suo lavoro quotidiano – alla semplicità con cui si presentava agli altri per quello che era – anche con le sue debolezze – senza infingimenti e con una immediatezza disarmante.

La sua anima naturaliter religiosa trovava sbocco in una fede che risaliva costantemente alle radici; una fede che, pur sottoposta di continuo al vaglio della ragione – la teologia era per lui un habitus permanente e una vera ragione di vita – , non si lasciava catturare entro il circuito di argomentazioni astratte, per quanto importanti, ma trovava la propria linfa vitale nell’esperienza di persone che aveva incontrato e che erano state per lui una pagina vivente di vangelo. La partecipazione con cui raccontava, spesso con forte emozione, l’incontro con uomini e donne che avevano segnato la sua vita di uomo e di prete – dai familiari a laici e presbiteri che avevano esercitato un ruolo determinante sulle sue scelte – era il segno della fiducia che accordava alla testimonianza di credenti e di non credenti, che considerava portatori di luce e di speranza.

La chiesa come “popolo di Dio”, come comunità aperta al mondo, era per lui lo spazio vitale della fede. Giampiero ha amato la chiesa, non la chiesa istituzione paludata e lontana dalle vicende della vita della gente, ma la chiesa concreta fatta di donne e di uomini con un volto e un nome precisi, la sua chiesa di Savona, per la quale aveva speso con radicale dedizione le proprie energie nei primi anni di presbiterato, impegnandosi nei campi più diversi – da quello della pastorale parrocchiale e territoriale a quello dell’insegnamento – offrendo un contributo determinante all’attuazione delle riforme conciliari e, più in generale, alla coltivazione dello spirito di dialogo inaugurato dal Concilio.

Per questo ha sofferto con particolare intensità lo stato di emarginazione in cui era venuto improvvisamente a trovarsi. Ne parlava con gli occhi lucidi, non sapendo darsene una ragione, anche perché non esistevano – non mancava di sottolinearlo – motivi precisi che potessero giustificare la presa di distanza di un vescovo Mons. Parodi, un Pastore che peraltro egli aveva particolarmente apprezzato e amato – non esitava a riconoscergli anche dopo l’allontanamento doti indubbie di vescovo conciliare – e che gli aveva affidato in passato incarichi di primo piano nella vita della diocesi. Nonostante la gravità di questa esperienza, la sua fedeltà (certo sofferta) non è mai venuta meno e gli è stata fortunatamente alfine riconosciuta, a distanza di un tempo – purtroppo – eccessivamente lungo.

Una teologia inserita nella cultura del tempo

Il ricordo di don Giampiero non può, infine, prescindere dal riferimento alla sua ricerca teologica, che si è sviluppata su più fronti, ma che si è soprattutto concentrata su quelli della teologia fondamentale e dell’ecumenismo (con riferimento in particolare al mondo protestante). Del contributo da lui fornito in ambedue queste aree tematiche, altri riferiranno con maggiore competenza in queste giornate. Mi limito a fare perciò qualche considerazione (forse peregrina) legata soprattutto alle conversazioni avute con lui.

Al centro dell’attenzione vi erano, sul primo versante – quello della teologia fondamentale – i diversi modelli fondativi (da Rahner a Lonergan a Pannenberg, ecc.), che venivano da lui fatti oggetto di attenta considerazione non in ragione di una semplice ripetizione, ma con la preoccupazione di garantirsi la possibilità di nuove prospettive di ricerca. Giampiero si muoveva infatti con agilità, tanto in ambito filosofico, avendo coltivato, al di là degli studi teologici, un costante confronto con le correnti di pensiero moderne e contemporanee – nel periodo dell’insegnamento ad Urbino si era pure laureato in filosofia – quanto in ambito biblico (Il corpo nella teologia di Paolo è l’oggetto della tesi di laurea sostenuta presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano).

Autore di un prezioso testo di teologia fondamentale, che non ha purtroppo avuto il successo che meritava, Giampiero è venuto progressivamente affinando, attraverso l’ampliamento del proprio orizzonte filosofico e teologico, il suo approccio alle tematiche, che sono alla base di una disciplina – la teologia fondamentale – , la quale costituisce il presupposto imprescindibile dell’impianto di tutta la teologia, in quanto fornisce le condizioni di possibilità del discorso teologico tout court. La radice fenomenologico-esistenziale ed ermeneutica del suo pensiero si è successivamente misurata con gli stimoli provenienti dalla filosofia analitica, fornendo intuizioni, indicazioni e suggestioni, che meritano di essere riprese e approfondite.

L’impegno per lo studio e per l’insegnamento della teologia ecumenica aveva anche una motivazione di carattere esistenziale. L’unità delle chiese cristiane, pur nel rispetto delle differenze delle diverse confessioni, è stato uno degli obiettivi fondamentali del Concilio: così l’aveva pensato papa Giovanni, che aveva aperto, fin dall’inizio, le porte ad osservatori appartenenti tanto al mondo protestante che ortodosso. Gli sviluppi della ricerca biblica e teologica, che ha avuto luogo nella prima metà del Novecento – si pensi soltanto a teologi come Barth, Bultmann e Bonhoeffer – non potevano certo essere ignorati dal mondo cattolico. Bof è stato in Italia uno dei più autorevoli protagonisti di questa stagione di confronto, sia con la traduzione dal tedesco (che conosceva perfettamente) di alcuni testi fondamentali, sia con la pubblicazione di importanti saggi su alcune tematiche di frontiera.

Apertura alla bellezza, passione per la musica, evocazione del mistero assoluto

Un lavoro sterminato e su più fronti, dunque, quello di Giampiero, che non ha peraltro mai rinunciato, accanto all’impegno di insegnamento e di ricerca, al compito della predicazione, legata all’esercizio del ministero presbiteriale – una predicazione, posso dirlo perché ho avuto la fortuna di ascoltarlo, lucida, puntuale ed incisiva – e che si è soprattutto speso, senza mettere in conto alcun risparmio di fatica, in una preziosa opera di divulgazione del pensiero teologico, sia attraverso le numerosissime conferenze in varie parti d’Italia, sia mediante la collaborazione ai giornali, in particolare a quello diocesano.

Sono molti ancora gli aspetti della sua personalità, che meriterebbero di essere ricordati. Il connubio di rigorosa razionalità e di tensione emotiva, che entravano costantemente in un rapporto dialettico, trovava in lui la propria sintesi nell’apertura alla bellezza. La passione per la musica, soprattutto per quella classica, che ha sempre coltivato con grande raffinatezza – amava spesso disquisire, con competenza e non senza qualche pignoleria, sull’interpretazione delle varie opere musicali fornita dai diversi direttori d’orchestra – è il sigillo dell’amore per una verità, che non poteva certo rinchiudersi nel corto circuito di un’arida razionalità totalizzante, ma che ricuperava il suo vero senso solo nell’evocazione del mistero assoluto.

Giannino Piana