Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti
Maria Grazia Maiorino, La pietra salvata, il lavoro editoriale 2016. Incontro del 13 dicembre 2017. Insieme all’Autrice presentazione di Gastone Mosci e Germana Duca. In copertina, Khachkar (croce di pietra), Armenia 2005, foto di Elisabetta Masi.
Altre opere
Sette raccolte in versi di Maria Grazia Maiorino: E ho trovato la rosa gialla, pref. Guido Garufi, Forum, 1994: Sentieri al confine, Antologia 7 poeti del Premio Montale, Scheiwiller, 1997; Viaggio in Carso, Edizioni del Leone, 2000; Dare la mano a un albero, fotografia e haiku, collaborazione con Giovanni Francescon e una nota critica di Paolo Ruffilli, Rocciaviva 2003; Di marmo e d’aria, Manni, 2005; I giardini del mare, disegni Raimondo Rossi e introduzione Gastone Mosci, peQuod, 2011; La pietra salvata, prefazione di Anna De Simone, il lavoro editoriale, 2016.
LEGGERE LA POESIA DI MARIA GRAZIA MAIORINO
di Gastone Mosci
Leggo gli ultimi due libri, I giardini del mare (1911) e La pietra salvata (2016); è un attraversare la vita dell’autrice. Vuol dire entrare nelle sue esperienze intellettuali, interrogare i luoghi della sua consapevolezza spirituale. Non parlo solo di un itinerario visivo e antropologico ma anche della comprensione dell’ambiente e e del pellegrinaggio che la guida, un pellegrinaggio permanente che s’illumina di conquiste continue, di icone, di invocazioni, Da Ancona a Gerusalemme, sempre più a fuoco è l’icona del Cristo, l’amore di Dio, della libertà, la comunione delle donne, in particolare la comunità delle donne del “Natale in miniera” dell’anno scorso, delle 37 creature a patire nei cunicoli sottoterra e delle altre donne stravolte nelle periferie, donne che soffrono come Maria e così rappresentare dalla tv: volete metterci sotto accusa? Ci chiamiamo tutte Maria.
La poesia della Maiorino vive in un sistema di relazioni, si nutre di figure vere, di espressioni della vita quotidiana, civile, ma sempre con una tensione profonda di liberazione. I giardini del mare esprime un sentimento di conquista e di partecipazione di un luogo, Ancona, di un ambiente la città, di un orizzonte il mare Adriatico. La pietra salvata è un itinerario verso la conquista del viaggio in Terra Santa, la consapevolezza del pellegrinaggio e dei “Vespri del Carmelo”; “il desiderio di bussare / alle porte degli Angelo?” (p. 85). E’ un desiderio di ringraziamento, una preghiera. Quel libro è anche una conquista di Bethleem (p. 80) e di Jerusalem. Essere nella Via crucis alla “XI stazione”, per reinterpretare un itinerario e un luogo “dove qualcuno ha lasciato una rosa/ gambo lungo bocciolo fiammante” (p. 90): il segno del desiderio della conversione.
Maria Grazia Maiorino ha un modo nuovo di affrontare i temi spirituali e il misterioso cammino di condivisione della fede: la sua poesia mantiene vivo tutto il suo mondo antico, la laicità del suo essere per l’altro, le esperienze nel segno della storia e della comunità umana. Apre con stupore la stagione della adesione nuova alla sua interiorità ed alla condivisione degli eventi: riscopre ed ama sempre più la condizione umana, il rapporto con le creature della quotidianità, con gli ambienti della polis, con le speranze collettive. La nuova situazione assorbe “l’orizzonte del Cardeto”, “i giardini del mare”, vale a dire il campo del cinabro della sua energia e della sua creatività: Il poeta pone la sua scrittura nel luogo che predilige, nel racconto segreto della sua vita, nel mistero della sua coscienza, che è consapevolezza e dono, che i cristiani pongono come intelligenza della fede e ascolto dello Spirito di Dio. Come è visibile, comprensibile? La scrittura che testimonia la vita e la persona nel gesto della preghiera. Ecco il suo Getsemani e la comune via crucis (p. 78). La sua poesia è un fronte di consapevolezza delle immagini di Gesù. Vivere nel senso della storia, con una attenzione inedita, con un amore nuovo.
Gastone Mosci
L’intervista di GD Germana Duca a MGM Maria Grazia Maiorino, nella presentazione presso il salone del Circolo Acli-Centro Universitario, permette di capire pienamente il nuovo libro della Maiorino e la sua nuova poesia di forte tensione spirituale: della poesia che dialoga con la preghiera e che si affida ai temi ed ai luoghi visitati. In particolare la città: Belluno, Melfi, Ancona, riferimenti di formazione, Urbino, Betlemme, Gerusalemme come città dell’anima, direbbe Carlo Bo, specialmente Gerusalemme nelle traversie e nelle violenze attuali e manipolazioni, in tutti i sensi. Poi, le donne fra spiritualità e politica, qui il tenore della sua poesia civile. Il pellegrinaggio: in una forma nuova. mentale e di comunicazione. Intervista e dialogo di alta fraternità fra poeti e persone all’ascolto di Papa Francesco. (Ga.Mo.)
GD Maria Grazia Maiorino: “La pietra salvata”. Sulla copertina una croce, al centro di una antica stele abbandonata. E’una foto in bianco e nero del 2005, scattata da Elisabetta Masi in Armenia.
Idea di viaggio. Viaggio alle origini del Cristianesimo, nello spazio, nel tempo, nell’interiorità.
In queste cento pagine esatte tu, Maria Grazia, ci vieni incontro con passo garbato e deciso per dirci la tua fede risorta, la possibilità di riconoscere Dio nell’universo, il fratello in uno sconosciuto. Nei tuoi versi vale il presente, con la quotidianità della vita e del lavoro, e vale il passato, che dà vigore al pensiero, alla preghiera, alla ricerca spirituale.
Come si legano questi due tempi? E con quali aperture rispetto al futuro?
MGM In questi giorni, preparandomi al nostro incontro di Urbino, ho ripreso in mano un libro prezioso, letto e riletto tanto tempo fa, “Lo spirituale nell’arte”, di Wassily Kandinsky .Scritto più di un secolo fa, mai come adesso ha parlato al mio cuore. Lui, pittore, cita un musicista, Schumann, per introdurre il suo discorso sull’arte: “Illuminare la profondità del cuore umano è il compito dell’artista”. Parole che già dicono tutto. La vera arte è luce. E’ conoscenza che avviene attraverso il linguaggio dei simboli, delle analogie, dei colori, dei suoni. E mi piace far rimare poesia con profezia, profeta con poeta.” Il profeta è colui che guida l’umanità a “pensare in altra luce” (M. Zambrano). “La vera opera d’arte nasce dall’artista in modo misterioso, enigmatico, mistico… Staccandosi da lui assume una sua personalità… collabora alla creazione della vita spirituale”(ancora Kandinsky). Entra nella corrente dello spirito, diventa via di Bellezza che ci trasporta in alto rispetto alla fragilità nostra e del mondo. Questa è l’eredità culturale che conta, tutto ciò che abbiamo incontrato percorrendo tale via. Io mi sento plasmata, modellata, costruita dalle letture, dai quadri, dalla musica, dalla poesia, in modo naturale; è accaduto fin da quando ero piccola e ancora inconsapevole, sentivo il fascino di cose molto più grandi di me, racchiuse ad esempio nelle pagine di un libro, come “L’isola del tesoro” di Stevenson con i suoi sconfinati orizzonti marini. Sentivo il piacere di imparare cose nuove e perciò lo studio non mi pesava, faceva parte di quel piacere. Il presente è il movimento continuo della coscienza, delle esperienze, che tassello dopo tassello andranno a costruire il disegno, visibile solo alla fine, nel compimento, nell’attesa del compimento. Il futuro è prefigurato dall’attesa, a patto che ci siano progetto e speranza nella possibilità di dare un senso alla propria vita.
GD Apriamo il libro ed ecco la dedica: “Ai miei genitori”. Viaggiatori anche loro, con le dovute distanze e differenze, su e giù per l’Italia: Belluno, Melfi, Ancona, con andate e ritorni, confluiti nell’esperienza tua e nella tua scrittura. Maria Grazia viaggiatrice, prima con l’amato, poi sola o con altre persone, da Oriente a Occidente, e viceversa. Viaggio e pellegrinaggio: India e Stati Uniti, buona parte d’Europa – Lourdes compresa; Marocco, Terrasanta… E Italia, naturalmente; tanto per citare: Veneto, Friuli, Urbino e le Marche, L’Aquila…
Anche il nostro viaggio fra le pagine della tua raccolta sta per iniziare.
Che ne diresti di guidarci lungo il cammino da te compiuto, magari muovendo dal tema dell’amore?
MGM Il poemetto “Blog” che apre il libro comprende l’ insieme di testi scritti come un diario parallelo (rigorosamente cartaceo) al blog “comelargentina” del mio amico Riccardo, durante il suo viaggio avventuroso nell’America del Sud durato circa sei mesi, tra il 2008 e il 2009. Così mi è capitato di mettere insieme esperienze diverse, come un breve viaggio in Marocco, il ritorno a L’Aquila esattamente un anno prima del terremoto, Belluno, Varenna, e altri vagabondaggi di sensazioni, pensieri, riflessioni, anche in relazione all’attualità. Due viaggi, molto diversi, raccontati in sequenze alternate sul filo dell’amicizia.
Tu hai scelto il tema dell’amore e io aggiungo che lo sfondo iniziale è quello di una casa nuova, da dove si vede un pezzetto di mare e il Conero. La prima casa abitata da sola…
L’ospite atteso è l’amore che non c’è
se ancora riesci a dargli un volto
quel volto è perdutamente lontano
un fiore che langue sul davanzale
un quieto animale che ti guarda
ali di luna e di uccelli sul tetto di fronte
e se entra qualcuno è la luce
lo svariare delle ombre sui muri
l’animarsi degli oggetti ogni tanto
– ti sembra un inizio.
La mattina del ritorno erano dee
le montagne con capelli di neve
e la luce di Belluno mi rapiva
verso altezze offerte sigillate
statuina orante nel suo prato
vicino a una madonna di fontana.
E a un tratto lei sentì che sposava
quel sud che un sipario nero
di lontananza aveva diviso
nei suoi passi marciava caparbia
la tenacia di piedi contadini
che mai hanno smesso di camminare
dalle rive di un fiume di zattieri
alle masserie distanti dai paesi
la fame aveva lo stesso sapore
amaro di solitudine e abbandono
i pensieri si cucivano insieme
per fare una terra sola –
il suo Getsemani si apriva.
Notte aquilana delle angele
ancora aperta a un saluto di neve
intatto aprile meno crudele
spezzato e ricomposto mille volte
luci che si accendono all’interno
confidando nella solidità del buio
amici e ritratti intorno ai tavoli
fiammano le parole e grandi tele
statue-colonna nell’atelier di Massimina
pronto a salpare per cieli americani.
D’azzurro il giorno dopo brillava
il centro storico affollato
come ogni sabato mattina –
su quella soglia Aquila ti lascio
alle montagne coperte di neve
a un lungo faticoso rifiorire
alla forza ospitale dei ricordi
che sono le nostre rosse fucine.
GD L’immersione nei ricordi risveglia la partecipazione; quel senso di fraternità con le cose, la natura, le persone, che mi sembra sia il tratto distintivo della seconda sezione, “Campo del cinabro”.
Di che cosa si tratta? E, in particolare, i ricordi si possono considerare un punto da cui ripartire?
MGM ho mai visto i ricordi come qualcosa di fisso, di immobile, sono una proustiana convinta e ho sempre sperimentato che essi mutano con noi, hanno colori cangianti e una consistenza simile a quella dei sogni. Ogni volta il tempo perduto è un tempo ritrovato e seme di future prospettive, non uno spazio di consolazione in cui rifugiarci e rinchiuderci. I nostri ricordi individuali sono tanti rivoli che vanno a finire nella grande memoria collettiva, perciò amo gli archivi che conservano lettere diari autobiografie: l’altra faccia della Storia con la S maiuscola. Per quanto riguarda il destino di nomadi su e giù per l’Italia, dei miei genitori e mio, vorrei provare a dirtelo con una poesia che non ho inserito, perché ha avuto bisogno di una lunghissima elaborazione, ma ne sento molto la mancanza ne “La pietra salvata”. E’ dedicata a mio padre e mi sembra che i versi riecheggino anche le cose che ci siamo dette fin qui. Parte da un fotografia, dell’immediato dopoguerra, io piccolissima accanto a un padre alto e severo. E’ intitolata QUESTA NOSTRA ITALIA: Bambina in pellicciotto maculato davo la mano / all’albero grande cappotto scuro nascosta / la chioma oltre la falda del cappello // Padre trapiantato in una piazza conchiglia / la fontana rotonda tra cedri del Libano e abeti / la tua terra è una campagna lontana / dove gli abeti si cambiano in ulivi e fichi / profumati e asini in fila riportano gli uomini / a casa con le ceste oscillanti al tramontare // Incisa nella somiglianza e ombra divisa / la tua terra è insuperata distanza / che la memoria vorrebbe riunire / mettendo insieme questa nostra Italia / che forse solo il mare saprà raccontare / con le mille voci dello spaesamento / e le montagne stregate pregate / come paradisi mai scalati.
Ritornando alla seconda sezione, il titolo è quello della prima poesia, dedicata a una maestra cinese di taicì che ho avuto la fortuna di conoscere, il suo nome significa fiore di susino. Ho praticato per una decina di anni questa antica arte marziale, trasformata in una pratica che potremmo chiamare “meditazione in movimento”: si esercita in gruppo con una bella trasmissione di energia attraverso la fluidità e l’armonia di forme e figure che coinvolgono tutte le parti del corpo. Il chi è l’energia vitale e il tantien è il punto appena sotto l’ombelico dove essa si raccoglie, detto anticamente campo del cinabro.
CAMPO DEL CINABRO
al Gran Maestro Li Rong Mei
Ora che ad aspettarti rimane solo la casa
comprendi finalmente che cos’è una casa
come a nostra insaputa invecchi e respiri
appendendo specchi a ogni istante.
Riportare a casa il chi
dice il Gran Maestro Li Rong Mei
e intende quel centro nostro tantien
– l’antico campo del cinabro –
dove ogni volta bisogna tornare
per avere un punto da cui ripartire.
Ora che ad aspettarti rimane solo la casa
ascolta finalmente quante cose ha da dirti
quanta vita conservi e te ne faccia custode
e come tutta in te voglia abitare.
QUANDO VIENE MAGGIO
si cingono di ginestre le colline
splendenti raduni del giallo,
odorate ginestre.
Come greggi animano i prati
e scendono verso il mare
finché si addormentano a sera –
aromi sparsi gonfi chiarori.
Steli attraversati
dalle burrasche e dall’arsura –
nei mantelli spogliati
semplice memoria vegetale
di ricamati soli.
PRINCIPE EGIZIO
Tutto intento a scavare la sua buca
accanto al padrone in riva al mare
non si accorge di entrare nel tuo sguardo
scava scava
e poi si accoccola beato
in una cuccia morbida e sicura.
Ma proprio allora, quando ti vede,
arriva festoso, si lascia accarezzare
e sbandiera felice la coda.
Ti dà tempo di parlare
al suo muso di cane
e rapido fugge via.
Oltre la buca, oltre il padrone,
il cane siede immobile.
L’orizzonte ha un profilo
di principe egizio.
LE ROSE DI ANOAR
Anoar è partito finalmente Anoar
ha preso il volo per il suo Bangladesh
il padre morto i riti mancati
la famiglia in attesa odori affollati
imballata in un sogno la piccola bicicletta.
Prima di partire Anoar ha sparso
rose sulla città ogni rosa un sorriso
estratta dal mazzo con mano gentile
fiammelle nelle sere invernali
scarlatte bianche crema carminio.
La mia s’è aperta magnificamente
e da giorni sta seccando nel vaso
a una a una cadono le foglie ma non i petali
che ancora si tengono stretti
non oso toccare il loro senzatempo.
Si apre al mare la piazza del papa
Europa e India come miraggi a specchio
ogni desiderio è un emigrante
ogni luogo è figlio di un altro profumo
le rose aspettano il ritorno di Anoar
l’India si stende fuori dall’inverno.
GD Da “Le rose di Anoar” a “Mughetti”, restando in tema di fiori, il passo non è breve.
Ci potresti spiegare perché?
MGM Questo testo fa parte della terza sezione, “Da silenzio a silenzio”, dove, come si può intuire fin dal titolo, è più evidente il cammino verso l’oltre, l’invisibile, la preghiera e la percezione del sacro, quasi sempre “incarnato” nelle piccole e umili cose, nella natura e nelle persone, come avete già sottolineato sia tu sia Gastone, ma cercando anche di varcare il confine, “il recinto”, per tentare altre vie. Nella poesia che hai scelto racconto una mia esperienza interiore, che parte da un lontano desiderio, realizzato molto più tardi e in modo impensabile. Nell’attesa i ricordi mutano in preghiera e contemplazione.
MUGHETTI
Verdelucido di foglie appuntite
lungo un sentiero della Norvegia
fioritura lasciata alla sua stagione.
Dopo anni i mughetti ti richiamano
dal mazzetto ricevuto in dono
alla faggeta sopra Tolmezzo
con un tintinnio di mille campanelle
che sovrasta i cori del primo maggio
nel temporale
e già t’incammini per il tuo Carmelo.
Calici chini sotto foglie appaiate
come fraticelli immobili
pellegrini sul tappeto di amenti
piccole fate capaci di sciogliere
strati e strati di durezza.
Per guardarli devi inginocchiarti
diventare loro compagna nel sottobosco –
bianca fragranza pungente
e il silenzio intorno a ogni stelo.
GD Simili ai mughetti nel colore e nella forma sono i bianchi elmetti delle donne minatrici del Sulcis.
Come ricorderete, nel dicembre del 2014, esse diedero vita in Sardegna alla prima occupazione al femminile di una miniera. A chi le intervistava, chiedendo i loro nomi, rispondevano che si chiamavano tutte Maria.
Che origine ha avuto – e che percorso ha fatto – “Natale in miniera”, prima di entrare ne “La pietra salvata”?
MGM Lo spunto di questo testo è un articolo di giornale. Non solo cronaca, un editoriale scritto molto bene, con empatia e penna femminile, che già suggeriva la sacralità dell’immagine delle donne dietro i cancelli di una sorta di “clausura”. Infatti c’era anche una foto molto bella ad accompagnare la notizia: le donne indossavano gli elmetti che spiccavano, sopra i passamontagna neri, con il loro candore e assomigliavano un po’ a suore di cui si intravedevano solo gli occhi spaventati. Così, con la fatica e la pazienza che richiede il lavoro artigianale della poesia, ho costruito il testo per raggiungere la mia visione. Un timido biglietto di Natale per gli amici più cari, generosamente raccolto nel blog di Fanocittà. Un dono e un incoraggiamento…
NATALE IN MINIERA
Bianchi elmetti tramutati in veli,
come una cappella la galleria del Sulcis
occupata da trentasette donne,
per quelle poche, insolite parole
trovate nell’articolo di giornale:
“Abbiamo un solo nome,
chiamateci tutte Maria”.
Nel buio dietro i cancelli
tra sciarpe giubbotti e passamontagna
balenano occhi braccati
(e forse ancora un sogno
tenuto caldo sotto i maglioni,
l’ anello da rigirare intorno al dito,
grani di rosario da carezzare …)
Intanto le vostre facce prigioniere
sono passate sul tg nazionale,
ma voi, abitanti delle periferie,
chiedete un’altra visibilità,
la sfera d’oro nel sacco di San Nicola:
raggiungere un centro, uscire nella luce,
mettere il vostro nome vicino a Maria.
GD Restiamo sull’attualità di maggior rilievo mondiale in questi giorni: Gerusalemme in primo piano su tutti i media, dopo l’annuncio di Trump che la vorrebbe capitale di Israele.
Gerusalemme in primo piano anche nella penultima sezione del tuo libro, intitolata appunto “Viaggio in Terrasanta”.
Che ne pensi di quello che sta accadendo, nel riaccendersi del conflitto fra Israeliani e Palestinesi, rispetto alla Gerusalemme che hai visitato e porti nel cuore?
MGM Porterò sempre con me la prima immagine di Gerusalemme dal Monte degli ulivi, dopo una giornata di pellegrinaggio da Nazareth fino al mar Morto e alle rovine di Qumran, eravamo accaldati e sfiniti, forse nelle condizioni migliori per lasciarci andare a quella tappa conclusiva come se fosse un sogno.
Gerusalemme mi apparve in tutta la sua bellezza, rimasi incantata come se avessi visto, è difficile trovare le parole, qualcosa che corrispondeva a una nostalgia antica, a un archetipo, e mi sentii appagata e felice come nei momenti più belli dei miei viaggi, e ancora di più. Perché di più? Forse sentivo confusamente che l’avrei ritrovata e amata e cantata, e toccata ancora e ancora. E così in fondo accade, soprattutto quando si pregano i salmi. Così è per i luoghi della Terrasanta che ti fanno quasi toccare quello che trovi nelle pagine della Bibbia, sempre che tu abbia un certo sguardo. Gerusalemme è un simbolo di pace e di amore, una casa e un ponte fra Oriente e Occidente, quello che succede nella realtà mi sembra un sacrilegio. Ho visto con i miei occhi i segni della violenza, i bunker scavati nelle rocce del deserto, le tende dei poveri, il muro fra Betlemme e Gerusalemme. E con la poesia ho immaginato un futuro diverso, un canto non più discordante ma comune, un emblema di riscatto per tutti i popoli. Non è un caso se il nome di Gerusalemme ritorna nei versi finali del mio libro, svelando, almeno in parte, il mistero salvifico della pietra misteriosa raffigurata in copertina.
JERUSALEM
Sono salita a te da un punto nella notte
piccolo motel a gestione familiare
nome che sapeva d’oriente e di stelle
la mia prima Salem
nel cielo intero del South Dakota.
Jerusalem negli occhi e nei passi
sono salita a te portando una promessa
miraggio di pietra chiara barca raccolta
dentro il fasciame delle antiche mura
ingioiellata di argenti e ori
ti specchi nelle valli dei tuoi cimiteri
che si sgranano come lembi di un manto.
Jerusalem negli occhi e nei passi
fuggitiva come una gazzella
compatta come rosa del Sahara
madre delle madri – approdo degli approdi
esilio degli esili – croce delle croci
ancorata sul Monte e ogni volta disfatta
come una tenda dei patriarchi.
Sono salita a te dal deserto delle laure
rocciose dune con occhi di bunker
lavori in corso polverose tende beduine
presenze assorbite dall’ocra giallo –
addentrarsi in wadi e sentieri
per andare liberi con gli eremiti
nudi come esseni nelle vasche di Qumran.
Sono volata a te dai dirupi
scendendo fino all’ultimo muro –
serpente di cemento in mezzo alle
case bianche urla di murales primi
piani di giovani soldati con le armi.
In processione nella città vecchia
confusa tra la folla e i richiami del suk
ascoltando il muezzin sulla via crucis
ho ripetuto il tuo nome – Jerusalem
Jerusalem Jerusalem – il tuo nome
ho ripetuto come un mantra
affidato al mescolarsi delle voci.
GD Il nostro viaggio dentro “La pietra salvata”, iniziato considerando l’amore terreno, ci riserva verso la fine la sorpresa dell’amore in absentia. Che diviene più viva presenza, tutt’uno con l’Amore divino, nel misterioso accostamento di significati umani e sovrumani.
Siamo in Galilea, nella chiesa di Cana, dove le coppie sposate salgono all’altare per il rinnovo delle promesse matrimoniali.
Vorrei fossi tu, Maria Grazia, a continuare il racconto, prima di leggere la poesia dove, in bella sintesi fra vita e fede, esprimi la verità di entrambi i sentimenti.
MGM La chiesa di Cana è il Santuario della Mediazione di Maria, come tutti sanno associato all’idea delle nozze, della festa e del primo miracolo di Gesù, fatto per obbedire al richiamo di sua Madre. Le coppie di sposi ricevono davvero una pergamena, e io ho sentito il forte desiderio di partecipare a quel rito anche se ero sola. Così è nata la poesia: una celebrazione laica attraverso la memoria insieme alla possibilità di proseguire il cammino nell’invisibile, in un dialogo che continua con l’amato aprendosi all’amore di Dio.
NELLA CHIESA DI CANA
Ti sposo nella chiesa di Cana
come le coppie salite all’altare
da una lunga vita insieme –
dovete credermi sulla parola
ho perduto l’anello da benedire
ma quello che porto è ancora amore
moltiplicarsi del vino e del pane
giorno di festa – promessa vergata
sulla pergamena del cuore
dove disegnano i nostri due nomi
giorno dopo giorno le linee
di riti meravigliosi.
I prossimi incontri
Mercoledì 17 gennaio 2018 ore 16,30 Iaia Lorenzoni, Da voce a voce, Nuova Montaccini, Pesaro, 2017. Interventi di Gastone Mosci, Germana Duca e Alberto Calavalle.