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Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti

in Cultura

Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti

 

 

GErmana Duca Orlo Invisibile

Germana Duca, Orlo invisibile, San Cesario di Lecce, Manni 2017, pp. 64. Incontro Venerdì 10 novembre 2017, Presentazioni di Gastone Mosci e Maria Grazia Maiorino, dal pubblico Alberto Calavalle e Gualtiero De Santi.

 

 

Leggere la poesia / Leggere i poeti: Presentazione

di Gastone Mosci

Con Germana Duca, Maria Grazia Maiorino, Iaia Lorenzoni e Rosanna Gambarara si vuole aprire un campo di lavoro e di riflessione sui loro ultimi libri di poesia ed aprire nello stesso tempo un dibattito: nel senso di porsi alcune domande, semplici e coinvolgenti, su DOVE VA LA POESIA? COSA CHIEDO ALLA MIA POESIA? Non penso ad una ricerca teorica e di pensiero poetico ma ad un far conto della poesia nella nostra vita, nel suo itinerario personale e civile, in un fronte ampio di partecipazione e di responsabilità, di poesia civile come luogo della cittadinanza. La poesia è ha detto Montale quando ebbe il Nobel, la poesia ci accompagna ha sottolineato Carlo Bo in Letteratura come vita, la famosa conferenza del 1938 a San Miniato.

Questa istanza si collega agli incontri annuali estivi al Monastero camaldolese della Santa Croce di Fonte Avellana, organizzati dal Meic Marche di Mimmo Valenza, sostenuto dall’Arcivescovo Edoardo Menichelli e dal priore Alessandro Barban: nel 2009 (L’uomo e il creato, 3-5 luglio), 2010 (Eucarestia e città, 2-4 luglio), 2011 (“Lo riconobbero allo spezzar de pane” Lc. 24, 35, 22-24 giugno), 2012 (“A partire dal Concilio: la fede in dialogo con l’uomo contemporaneo”, 6-8 luglio), 2013 (“Annunciare il Vangelo, vivere la Comunione”, 5-7 luglio), Cf. “Il decennio del gruppo Meic di Ancona. Una storia che continua”, a cura di Girolamo Valenza, Ancona, Quaderno Meic Marche Agape 2014.

 

Vorrei segnalare la mia partecipazione nel sostenere l’impianto degli incontri di spiritualità dedicati alla poesia ed all’arte: in ogni edizione due serate impegnative, una piccola storia culturale e spirituale in sintonia con i fermenti storici dell’urbinate e pesarese del Circolo Culturale San Bernardino di don Italo Mancini, del Gruppo di Presenza Culturale Marche, della rivista Il Leopardi di Valerio Volpini e delle Edizioni L’Astrogallo di Carlo Antognini, tutto negli anni settanta; poi, dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (Università di Urbino) di Carlo Bo e don Italo Mancini, della rivista di filosofia e teologia Hermeneutica di don Italo Mancini, dei quaderni culturali Il Nuovo Leopardi e dell’incandescente Circolo Acli-Centro Universitario di Urbino, negli anni ottanta del Novecento.

 

Ecco i contributi di poeti, scrittori e artisti a Fonte Avellana: 2010 Raimondo Rossi di Urbania su “Gli angeli messaggeri”, sculture in ceramica e in bronzo, e Germana Duca di Urbino su “La poesia dialoga con il tempo”; 2011 Maria Grazia Maiorino su “La rosa e l’angelo” in margine a I giardini del mare, peQuod 2011 (Cf. Novanta9, L’Aquila, 15, Agosto 2012, pp.53-60), e Plinio Acquabona (1913-2002) “La profezia del fuoco”, Oratorio per quattro voci recitanti, Quaderno Assemblea Legislativa delle Marche 2012 e Festival Adriatico Mediterraneo; 2012 Fabio M. Serpilli di Agugliano su “Dio io nell’eco disperso” e “Iaia Lorenzoni di Pesaro su “La poesia del silenzio e della luce”; 2013 Lo scrittore Daniele Garota in margine a ” Tra conoscenza r grido, le dinamiche della fede” e il poeta Mario Narducci su “Poesia e preghiera. Le voci della città”.

 

A distanza di qualche anno ci troviamo a ripensare alcune esperienze di formazione: forse ho ampliato troppo il ventaglio della scuola universitaria urbinate e del mondo culturale marchigiano ma questo fronte di incontri che oggi riguarda la femminilità dell’esperienza poetica, è molto ampio. Ci sono le riviste, i seminari, i social, dal 2013 il blog Fano città (www.fanocitta.it), l’associazionismo del Movimento degli intellettuali cristiani (Meic) e delle Acli, Il nuovo amico, spezzoni dell’Azione Cattolica, luoghi di spiritualità e di cultura. Una comunità in cammino, una piccola chiesa in dialogo con una società che soffre ed è stravolta dal consumismo.

 

Negli ultimi tre anni numerosi sono stati gli incontri dedicati ai poeti urbinati: Paolo Volponi e Egidio Mengacci, Ercole Bellucci e don Amato Cini, Zeno Fortini e Silvano Ceccarini. Si sono ritrovati insieme Il Circolo Acli-Centro Universitario, l’Unilit, Vivarte e www.urbinovivarte.com: 3 Quaderni di Vivarte, 2015 Ercole Bellucci, 2016 Zeno Fortini, 2017 Testimoni del ‘900 a Urbino: Carlo Bo, Arc. Donato Bianchi, don Italo Mancini, don Gino Ceccarini e don Franco Negroni con 5 ritratti di Raimondo Rossi; 2 plaquette di Unilit: 2015 URBINO. La storia del Novecento con Carlo Bo, Paolo Volponi, Italo Mancini e Giancarlo De Carlo, 4 incisioni; 2016 URBINO. I grandi incisori della Scuola del Libro: Francesco Carnevali, Leonardo Castellani, Pietro Sanchini, Carlo Ceci e Renato Bruscaglia con 5 incisioni. La messa insieme di alcune informazioni porta a un piccolo bilancio, che introduce questa interessante animazione letteraria.

 

 

Il dialogo per intero del poeta e critico MGM Maria Grazia Maiorino con GD Germana Duca poeta e autrice di Orlo invisibile, nella presentazione del 10 novembre, su “un libro antico e nuovo”, con un titolo affascinante inventato dall’incisore Giovanni Turrìa e il racconto di una storia di vita urbinate, della poesia che si fa preghiera, dalla favola medievale di Melusina, metà donna e metà pesce, alla sofferenza delle tragedie d’oggi del Mediterraneo. Poi il paesaggio urbinate e del Montefeltro, Urbino e Ancona città dell’anima, 6 poesie scelte scandiscono la musicalità dei versi e della trama esistenziale.  (Ga.Mo.)

 

 

MGM L’incontro con la raccolta di versi Orlo invisibile si lega fin dalle prime pagine al piacere di ritrovare la voce di Germana Duca conosciuta attraverso gli anni e all’apprezzamento di doti come coerenza, fedeltà, autenticità, che continuano secondo me a costituire valori importanti, anche se a volte nella nostra società sembrano avere più successo i loro contrari e spesso si richiede a un poeta di sperimentare ogni volta uno stile diverso. E’ un libro antico e nuovo questa quarta raccolta, nella quale si riannodano fili che seguono un cammino interiore sempre in evoluzione, dentro e fuori, in sintonia con la propria coscienza e con il mondo. Vorrei soffermarmi su alcuni di essi rivolgendo qualche domanda a Germana e proponendole la lettura dei testi: il filo del fiabesco, intrecciato con quello della scrittura, che apre il suo racconto lirico; il paesaggio, il tempo, la lingua, e il canto orante, che raggiunge il suo culmine nel finale.

Chi è Melusina e come mai hai scelto proprio questa figura del mito per rappresentare te stessa e la tua poetica?

 

GD Melusina, metà donna, metà pesce-serpente, è figura del folclore europeo. Moglie e madre per gran parte della settimana, il sabato Melusina si trasforma e sparisce. In un racconto medievale francese, si sposa con Raimondo, nipote del conte di Poitier, a patto di avere il giorno libero. Ma poi, scoperta dal marito nelle sembianze di pesce-serpente, fugge lasciandogli i due figli. Nell’araldica inglese Melusina è raffigurata come una sirena con due code. L’ouverture di Mendelssohn The fair Melusina si basa su questa leggenda. Anche Beethoven se ne è interessato, come mostrano I quaderni di conversazione. Giunti fino a noi grazie al poeta austriaco Franz Grillparzer, in essi vi sono precisi riferimenti alla Melusina, l’opera romantica che avrebbe dovuto nascere dalla collaborazione tra i due artisti.

 

La doppia vita di Melusina, in un certo senso, somiglia alla mia, divisa fra il lavoro ordinario della quotidianità e quello straordinario della scrittura creativa. Spazio di libertà e limite al tempo stesso, dove solitudine e silenzio mi aiutano ad accogliere l’alto e il basso della condizione umana, prima di fissarla con lentezza sulla pagina.

 

Così è nata la mia curiosità per Melusina. Che qui presento in versione buonista, trasformata in farfalla. Per farla tornare, alla fine dei suoi svolazzi di aspirante scrittrice, dal marito e dai figli. Consapevole che l’amore non vuole avere, vuole solo amare. Questo tema, declinato in senso umano ed egoistico all’inizio del libro, si trasfigura via via, fino a divenire nel testo conclusivo, che è la riscrittura del Salmo144, amore divino, respiro universale. Tale progressione riguarda anche la scrittura che, da profana e minuscola qual è in principio, si affida alla guida della Scrittura maiuscola, sacra. Alla forza spirituale racchiusa nel Libro dell’Origine.

 

 

MELUSINA

 

Melusina è una donna a un uomo

sposata. Sposata a una condizione:

che di vietarle la scrittura lui

non abbia alcuna tentazione.

D’accordo. Sarà il sabato il giorno

della libertà, dell’isolamento.

Lo sposo promette di non distrarla:

la lascerà all’opera, senza guardarla.

Fanno il patto, fanno il giuramento.

Scorrono fluide ore e settimane:

lui innalza ponti, arcate, ponteggi;

lei ha cura di orto e pollaio; insieme

piantano vigne, frumento, foraggi.

Nel tempo dovuto, lei partorisce

I suoi figli, li allatta, li alleva,

cuce, cucina… Ci tiene alla casa.

Di sabato, però, ha il nascondiglio.

Chissà se è carteggio o cartiglio?

Lo sposo così non resiste, la spia.

La donna allora muta programma.

Si trasforma in corsiva farfalla

e, senza un saluto, paf, scompare:

affonda in un tempo senza misura

dov’è soltanto scrittura, scrittura…

Ma lì Melusina non dura. Lei

è una moglie, una mamma: lascia

la penna, stanotte; lascia la carta,

vola… Si affretta alla stanza nuziale,

indugia presso i figli e lo sposo.

Sente il loro odore di campo

Fiorito, respira i loro respiri,

vorrebbe stringerli a sé. Invece

scrive coi baci sulle lenzuola:

<
chi ora vi ama. E chi vi amerà>>.

E’ l’alba. Melusina non se ne va.

 

MGM E’ uscito di recente un libro intitolato Mindscapes. L’autore, Vittorio Lingiardi, conia un neologismo per condurci nel luogo dell’interazione tra psiche e paesaggio, sostenendo attraverso una gamma lussureggiante di esempi tratti da artisti, scrittori, filosofi, psicanalisti, che nei paesaggi amati noi cerchiamo di dare forma e immagine a qualcosa che è già in noi, insomma un archetipo e un ritrovamento. Le poesie che tu dedichi al paesaggio mi hanno toccato in modo particolare perché il tuo è un paesaggio che dai dettagli precisi e concreti si eleva fino a diventare impalpabile e spirituale, <> – tu dici – <<…un andare e venire di rive/familiari ,/ fra leggende di avi / e desiderio di vicende nuove>>. E i luoghi dell’anima sono quelli di Urbino e del Montefeltro, mentre la città natale e il mare appaiono più lontani.<>, dici di Ancona. Sei d’accordo?

 

GD…Sì, è vero: qualcosa di già presente in noi prende forma nei paesaggi che amiamo. Io sono un’anconetana “di terra”, al mare mi sono avvicinata quand’ero già grandicella, sempre con un po’ di ansia, non avendo mai imparato a nuotare. La mia formazione è avvenuta contemplando il paesaggio agrario, sui campi calpestati nell’infanzia, fra il Pinocchio e Posatora. Ore di solitudine. I tronchi degli ulivi, le pesche mature sul ramo, le zolle rivoltate dall’aratro, il rosso dei pappoloni in mezzo al grano, mi davano le meraviglie. Solo in seguito, andando a studiare dentro Ancona, ho preso confidenza con la bellezza delle sue architetture. Che tutte ancora ritrovo nella memoria, riassunte nel candore della Cattedrale di San Ciriaco, librata tra cielo e mare, lassù in cima al Guasco.

 

Poi è venuta Urbino, dove ho compreso che l’architettura è la mediazione necessaria per abitare la terra. La forma del Palazzo ducale, raffigurato sul mio sussidiario di terza elementare, mi è rimasta così impressa che, arrivando qui la prima volta, in corriera da Pesaro, temevo di avere sbagliato città: il panorama, intravisto dal finestrino su per le curve dell’Esse, era senza Palazzo, non portava traccia né di logge, né di torricini… Sbarcata al Mercatale, però, mi bastò alzare lo sguardo: finalmente capii di essere a Urbino; e fu amore a prima vista!

 

Ancona e Urbino, luoghi dell’anima differenti… Posso dare una risposta secca?

 

Da Ancona ho sempre desiderato fuggire, da Urbino no. E’ come se la città mi avesse catturata, che non significa imprigionata, ma accolta e integrata. Qui la gioia di rimanere. Da Urbino si può andare via solo a piedi… Magari per andare alla Cesana. Dalla strada che porta a Isola del Piano, in certe giornate limpide, si vede l’Adriatico: una striscia azzurra, fra le sporgenze del Colle San Bartolo e del Monte d’Ancona. Il caro Conero, a cui mando sempre un saluto. Urbino è tutt’uno con il mare di colline anche verso Ponente, su quell’Appennino contadino cantato da Paolo Volponi, ancora punteggiato di piccoli borghi e pievi, come San Cipriano, San Giovanni in Ghiaiolo… Su fino al Monte Santo, con l’antica strada bianca che porta a Urbania, percorsa anche da Piero della Francesca, quando da Sansepolcro doveva raggiungere Urbino, e viceversa.

 

 

PAESAGGIO

 

Giusto insegnamento il cielo,

vela del sentimento su alture

di stoffe e nuvole, lungo campi

e boschi vivi, offerti all’infinito

da contadini custodi, insieme

alle tinte pure delle stagioni,

a un andare e venire di rive

familiari, fra leggende di avi

e desiderio di vicende nuove.

VIA SAN GIOVANNI IN GHIAIOLO

Luci scolorano in ombre su soglie

di selve, vigne appartate, case.

Altari di lontananze sopra orti

sassosi, domestici ponti e guadi.

Scivola invisibile la voce

Del torrente verso un qualche mare.

Da crinale a crinale, trasparenze

Increate, incanto di velature.

Paesaggio, bene impalpabile.

 

 

MAGGIO

 

Su linee d’argilla, case a spaglio

come semi radi, o addossate

a pievi e torri, compongono

la pagina di un unico spartito

musicale. Lo insegue l’orlo

della stradina bianca, percorsa

da Piero anticamente, nel gioco

di colori che maggio ancora

irradia da Casteldurante a Urbino.

Sopra la rifiorente lupinella

Vola la poiana. Si apre e trema

Nell’azzurro il fiore dell’ornello.

 

MGM La lingua dei luoghi in cui vivi ti ha conquistata e risuona viva e poetica, una lingua da salvare a cui hai dedicato un’intera raccolta, Ex Ore, e anche qui se ne sente il suono e il sapore: facci tu qualche esempio.

 

GD Il dialetto non è un limite, ma un’occasione per entrare in una precisa realtà, un mezzo per la nostra realizzazione umana. Tu hai citato Ex ore, quella giornata in versi dove tempo interiore e tempo esterno battono all’unisono, come il dialetto urbinate e la versione in lingua che lo accompagna… Parole di impronta dialettale si trovano anche nelle mie altre raccolte; mi viene in mente mantile (tovaglia), genghe (terre argillose)… In Orlo invisibile, oltre alla lupinella, incontrata poco fa, e al soché, ci sono covacci (tane con paglia e fogliame), greppate (declivi al margine di strade campestri); passando ai sapori, invece, troviamo passatini, crescia sfogliata, braciola, coratelline…

 

MGM L’affidamento al tempo di matrice biblica è qualcosa che ho cominciato a imparare anche da te, quando credevo ancora di poter controllare e determinare tutte le scelte della mia vita. Adesso comprendo bene perché tu abbia messo in esergo proprio quelle parole di Elena Bono, una grande scrittrice controcorrente e ingiustamente dimenticata, credo siano l’unica bussola per non farci vedere tutto nero. Che poesia sceglieresti per esemplificare la tua visione del tempo?

 

GD Sì, c’è una strada per ognuno. Dove ci porti, quale sia la vera è presto per saperlo – dice Elena Bono, aprendosi alla paziente attesa, mentre ricerca la verità, mentre interroga il tempo. Il gioco che il tempo conduce con la nostra esistenza è parte di quella partita che non finisce mai chiamata eternità.

 

Il tempo di Orlo invisibile è cadenzato dalla successione dei mesi, che a gruppi di quattro, chiudono le tre sezioni del libro. Ma è tema ricorrente in diverse altre poesie.

 

Quale scegliere? Proviamo con Un filo che, giocata com’è fra realismo e ironia, esprime a grandi linee anche la mia visione del mondo.

 

 

UN FILO

 

La vita fa il suo gioco finché dura:

riempie e vuota, allarga e stringe,

ci insegna respirare insieme a lei.

Con lei si impara molto: siamo tutti

vivi, per un po’. Lei ci offre il diversivo

di tenere in piedi un filo, un fil di fiato.

Il passatempo misterioso, caldo fino

alla fine. Il soffio breve che ride,

sbuffa, sospira e rivive nel Creato.

 

MGM Potresti spiegarci il bel titolo ossimorico del libro? Mi sembra che una poesia come Vite nascoste possa essere un esempio del confine tra visibile e invisibile o meglio del loro continuum (o della loro prossimità)…

 

GD ..Il titolo mi è stato donato dal Prof. Giovanni Turria dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, il quale ha seguito la stampa di una plaquette con poesie mie e incisioni di Claudia Santoro. Poesie di paesaggio, dove ad essere invisibile è il confine tra cielo e terra, tra vita naturale e vita spirituale. Titolo che ben sintetizza la mia poetica, sospesa tra la famiglia e il mondo, nel flusso delle lingue e delle generazioni, fra continuità e discontinuità, salute e malattia, inclusione ed emarginazione. Sì, Vite nascoste, dedicata a chi è escluso da libertà e bellezza, a chi patisce ingiustamente nelle carceri, nelle comunità psichiatriche, negli ospedali, negli ospizi, mostra il confine sottilefra la cosiddetta normalità e il suo contrario, l’orlo invisibile fra i sommersi e i salvati.

 

 

VITE NASCOSTE

 

Ci vedono, gli invisibili, e forse

ascoltano la nostra mente aprirsi

al ricordo, a un soché di dolce

o di triste incontrato nel sogno.

Gli invisibili non disperano,

non esultano. Non sono felici

né particolarmente depressi,

ma bisognosi come bambini.

Non accuditi, potrebbero poco

a poco morire, finire fuori

dal tempo inseguendo le voci,

briciole di un canto inutile.

Canto talora udito nello scricchio

Di un’imposta o di un’anta

D’armadio, in un vetro che vibra,

nel fischio di un treno immaginario.

Cosa è stato? – domandiamo al buio.

Non è niente, riproviamo a dormire…

A occhi aperti, sulla terra scoperchiata

del cuore. Come loro, non più a casa.

 

MGM <>, è l’incipit di un testo della raccolta precedente, Gli angoli della terra. Mi piacerebbe un tuo pensiero sull’argomento: esiste per te una poesia religiosa o teologica, evidentemente, mentre molti dicono che la poesia è comunque “verticale” e non si misura su questa differenza. Il filo del canto orante è sempre più presente qui e la bellissima In preghiera con il salmo 144 che chiude il libro, anzi apre al futuro e alla vastità, è un corale di lode che non si dimentica e viene voglia di ripetere insieme.

 

GD Se la scrittura poetica è specchio della vita, e nella vita c’è preghiera, è naturale che anche la poesia divenga, a tratti, orante. Però definirla “religiosa”, o addirittura “teologica”, mi sembra esagerato.

Per me la preghiera è atto dovuto, a lode e gloria di Dio; è richiesta di Grazia e Misericordia. La preghiera è il carburante della Fede, della Speranza, della Carità; è un motore che si può avviare in mille modi, anche leggendo un Salmo…

 

IN PREGHIERA CON IL SALMO 144

Benedetto il tuo sguardo, o Dio,

su tutte le creature che per te

esistendo intessono tappeti di lode.

Tu annodi e recidi l’eterno intreccio

dei fili con pietà e misericordia,

o con giusta severità, se la nostra

insipienza il tuo ordito manipola

e strama, lacera, slega, consuma.

Questa follia mai sazia, armata,

guasta, tu solo puoi misurare,

tu che da sempre misuri il tempo

e l’universo, concesso per amore

immenso all’umanità in usufrutto.

Lode al bene in ogni forma, lode

a chi teme la tua sferza e la sua ombra,

lunga nel cielo delle notizie.

Benedetto il capolavoro dell’aurora,

principio a colori di breve e paziente

scrittura. Pagina di redenzione, a strati,

che felice ogni età legge e si tramanda.

Inno alla vita e parole per concepirla,

vero compimento di tenerezza umana.

Benedetto il nostro sì alla tua volontà

altissima, santa. Tu ci nutri di speranza

con la legge della croce, seme di virtù

sempre uguale e differente, segreta

grazia nella traversata pericolosa.

Lode a te che hai creato la grandezza

delle acque e la loro trasparenza.

Lode all’abbondanza di sponde

che isole e continenti lega a sbarchi

di popoli controcorrente.

Dio, che offri ai figli e ai figli dei figli

i tuoi doni, che giusto muti la bellezza

secondo le stagioni, gloria al raccolto

di frumento e uva. Alla semina gloria!

E abbondanza di beatitudini a chi ne ha cura.

Gloria a te, che soffi onnipotente

la cenere delle generazioni, ravvivando

nel cuore di ciascuno la brace,

scintilla pellegrina verso il tuo palco

di luce, unico sole di salvezza.

Carità liberata, preziosa più di ogni energia,

raggio e cerchio all’infinito, suono

di catene spezzate, Spirito della Terra Promessa.

 

GD Se resta ancora un po’ di tempo, per finire, vorrei raccontarvi una piccola scoperta fatta l’altro giorno su un settimanale, in un articolo su Violeta Parra. Della cantautrice cilena, nata cento anni fa, insieme alle tappe più importanti della sua vita artistica, erano ricordati questi versi: <>. Se ora li riprendo è perché le sue parole di gratitudine alla vita, che ci ha dato il sorriso, insieme al pianto, mi sono subito sembrate in sintonia con il contenuto di Orlo Invisibile. Un libro esile, formato da una quarantina di poesie scritte per lo più fra il 2010 e il 2015. Anni, nel mio universo famigliare, di nuove generazioni, di maturità serena, di affetti, amicizie, visioni condivise. Anni, nel nostro mondo, di mutamenti epocali, di lacrime e sangue, fra migrazioni e conflitti incessanti che ci interrogano e ci allarmano: quali prospettive per l’umanità? E per la poesia?

La realtà è quella che è. Le poesie, anche se sono il sorriso e il pianto della vita, non cambieranno lo stato delle cose… Bisogna fare attenzione, però, perché se ci si sente solo un anello della catena, se ci si chiude nell’io, il senso di appartenenza alla comunità umana sfugge. In un mondo violento, trovare noi stessi e ribellarci al conformismo, dovrebbe corrispondere al desiderio di essere pacifici, cioè creativi. A volte penso: e se questi 2017 anni fossero solo la brutta copia del mondo? E se da domani si potesse ricopiare tutto in bella, cancellare con una grossa gomma tutti quegli errori e orrori, ripartire, ricominciare?

Ricordate il piacere a scuola quando si iniziava un quaderno nuovo? La prima pagina vuota, la voglia di disegnarci e colorare una cornicetta. Così, per bellezza. Credo che, come si faceva con i nostri quaderni, tutti potremmo contribuire a rendere più bello il mondo, in tanti modi… A mio avviso, la scrittura creativa è uno di questi, specie se porta a produrre un’idea, a progettare qualcosa insieme agli altri, per gli altri.

A realizzare,dialoghi, incontri… Come qui questa sera, con Gastone Mosci, Sergio Pretelli, Maria Grazia Maiorino, tutti i collaboratori e i corsisti di Unilit-Urbino, Flavio, gli amici più cari e gli amici in poesia Alberto Calavalle e Gualtiero De Santi. Grazie a tutti.

 

 

Poesia e vita dei giorni

di Gastone Mosci

 

Germana Duca interpreta la quotidianità e la partecipazione civile, il contesto cittadino nelle sue espressioni di umanesimo e di civilisation, un luogo nel segno della comunità e della partecipazione. La sua è una poesia civile. Nella prefazione di Orlo invisibile (Manni 2017), Alessandro Ramberti scrive che “Le poesie di questo libro sono storie e ballate intrise di saggezza e ironia come le favole e i racconti dei nonni. Il linguaggio è moderno e il metro libero (…) La poetica riflette gli accadimenti quotidiani e famigliari, trasmettendoci suoni, sapori, emozioni, immagini di un mondo non privo di contraddizioni tragiche e orrende…, un mondo che è però al contempo “tessuto” dalla bellezza delle relazioni domestiche e sociali, dallo splendore del paesaggio e della natura tutta che spesso conosciamo, pratichiamo e apprezziamo troppo poco”.

Questo inizio critico di Ramberti porta il titolo di “Benedire la vita”, la postfazione di Katia Migliori indica Suite ducale: l’uno e l’altro aiutano ad introdurre una tensione generale: benedire la vita che è a Urbino e nell’universo. Ramberti ama Volponi e la Katia Giorgio Caproni del pone in esergo: “L’onoma non lascia orma. E’ pura grammatica”, che vale come predire, dare segni e nomi e comprensioni. Siamo in un sistema linguistico e di civiltà di benedire: dire bene, invocare da Dio, bene e protezione, ascoltare il senso del futuro. Dice Katia Migliori all’inizio della sua postfazione: “Cosa si compone e scompone od alternato ritmo nell’opera di Germana Duca, se non un audace, vero componimento di tenerezza umana a compimento di un verso e di un ritmo propriamente suo? Esso si trasforma e poi scompare, lascia la carta, ma ad un solo patto: che ad ogni nuova alba il passatempo misterioso della chimerica Melusina riviva nel e per il Creato”.

 

Dal nome di Melusina, fata della mitologia celtica, che nel racconto si trasforma in serpente o sirena a due code, una chimera che esce da un tino, si attraversa un mondo fantastico, una suggestione antica, fra mito e musicalità e liturgia di tempi sacri. Chi è Germana Duca per noi, qui, oggi? Una autrice intensa, forte e dolce, con tenerezza umana, che sa donare senso al suo canto, alla sua poesia e alle persone ed alle cose che racconta. E’ un poeta che ha scritto 4 sedicesimi, 64 pagine, di Orlo invisibile, che è un fatto di poesia e di pensiero, di canto e di narrazione della vita a Urbino nel nostro secolo, nella nostra quotidianità, nel nostro essere, il titolo inventato da un docente, editore-incisore, Giovanni Turrìa, un’opera che è un canto di comprensione.

 

Germana Duca è come la fata Melusina, “Melusina è una donna a un uomo / sposata.” (p.9), una figura sacra. La sua poesia attraversa la sacralità della vita. Nelle tre sezioni del volumetto ci sono delle dediche, la prima è nel segno del pluralismo, “c’è una strada per ognuno”, dice il poeta ligure Elena Bono; la seconda indica la poesia come vita e parola, un luogo di creazione permanente, dice il poeta Sebastiano Vassalli; la terza va sotto il segno di Alda Merini: la poesia è come una polvere magica, che alimenta il pensiero e il futuro. Ed il canto finale dei 42 testi, In preghiera con il Salmo 144, una orazione corale che Germana prende dall’Antico Testamento ed interpreta, è dunque una melodia rivolta al popolo che inizia così: “Benedetto il tuo sguardo, o Dio, / su tutte le tue creature…”. Un testo, una riscrittura, un fascio di luce, sperare nel futuro. C’è una guida tenue, delicata ma vera che accompagna la poesia: il tempo, la quotidianità dei giorni con i mesi dell’anno, le stagioni, la lode della carità con domande inquiete, drammaticher verso il presente che viviamo.

Gastone Mosci