Storia del Bianchello del Metauro by Fanocittà

Il Bianchello e le altre uve bianche del Pesarese di Sanzio Balducci

in Enogastronomia

Il Bianchello e le altre uve bianche del Pesarese

 di Sanzio Balducci

Dalla seconda metà dell’Ottocento cominciamo a conoscere meglio il tipo di vitigni e uve coltivati in tutte le Marche e in particolare nella nostra provincia di Pesaro e Urbino. Fino a tempi molto recenti (dopo la Seconda Guerra mondiale) si coltivavano quasi esclusivamente i vitigni di uve bianche. Il vino nero costituiva una rarità. Ricordo che verso il 1960 al mio paese di Montemontanaro il chimico Antonio Montanari piantò nelle sue proprietà alcuni vigneti di montepulciano, ora in fase di esaurimento. Fra le uve nere tradizionali avevano una piccola presenza il cosiddetto tinturiale o tinturiello e la vernaccia.

L’elenco delle uve bianche sin dall’Ottocento è piuttosto esteso, ed era dominato in tutta la provincia dal bianchello: uva di colore paglierino, dai bei grappoli ricchi di acini ma non pressati, dalla buccia salda, dal sapore dolce (senza punte di amarognolo come il verdicchio, diffuso a sud del Cesano). Le uve bianche, marginali rispetto al bianchello, erano queste: il moscatello, la sgranarella (varietà di malvasia), la vesprina (con acini piccoli, fitti e dolci, che anticipava la sua maturazione agli inizi di settembre), il famoso dagli acini verdognoli compressi nello spazio del grappolo, l’uva uglia o luglia simile all’uva da tavola che maturava già ai primi di agosto, la malvagìa o malbagìa, varietà di malvasia. Tutte queste uve (il cui nome poteva cambiare nelle diverse zone della nostra provincia) erano sparse qua e là nei filari di bianchello, e quando si vendemmiava tutte le uve bianche venivano mescolate, e formavano un unico mosto.

Tutti i ragazzi dei diversi paesi conoscevano molto bene la collocazione delle viti di queste uve secondarie, ottime per essere mangiate da sole o con il pane, sparse nei diversi campi dei dintorni: era una continua lotta fra bande di ragazzi e contadini. La lotta proseguiva poi quando i contadini portavano con il biroccio le uve nelle cantine dei padroni che abitavo nei paesi o in città.

Ogni contadino dimostrava fierezza del vino prodotto, e volentieri portava i suoi amici più cari o le persone di riguardo ad assaggiare il suo vino attinto direttamente dalle botti. Un po’ come la padrona di casa che offriva con orgoglio l’assaggio della crescia di Pasqua, unica e differente da quella di tutte le altre massaie.

Il vino bianchello del Metauro è stato ufficialmente dichiarato vino doc nel 1969; la sua area di produzione comprende quasi tutta la provincia di Pesaro e Urbino.

La nonna disse alla nipotina di cinque anni: Adess te port a magnè fori. E dove andiamo?, disse la bambina. Tu non ti preoccupare; ti porto fuori. Io prendo due fette di pane, e anca tu fa listess. Si incamminarono per una strada di campagna, poco più sopra della loro casa. La piccola dava la manina alla sua nonna. Ma dove andiamo?, ripeté la nipotina. Tu en ce pensè, vien dietra de me. Poco dopo arrivarono vicino ad una bella e ricca vite di sgranarella. Ecco, siamo arrivate. La nonna raccolse qualche grappolo di sgranarella. Si misero sedute e cominciarono a mangiare pane e uva. La bambina aveva pensato ad una gita lontano da casa, ma alla fine il sapore fresco di pane e sgranarella le fece dimenticare il sogno del viaggio lontano.

Fossombrone, 19 febbraio 2019

Sanzio Balducci