PAOLO VOLPONI NELL’APPENNINO CONTADINO
di Sergio Pretelli
Quarto appuntamento poetico dell’Unilit 2015-16: la poesia di Paolo Volponi. Coordinato da Gastone Mosci che ha ricordato in Paolo Volponi il primo poeta urbinate lanciato da Bo che gli ha presentato il primo libro di poesie “Il ramarro” edito dalla Scuola del Libro” nel 1948, anticipando il suo brillante avvenire. Il sottoscritto poi, nel 70° della liberazione, ha descritto la breve esperienza di Volponi partigiano. Insieme al gruppo di studenti universitari che si trovarono, per necessità anagrafiche, a dover prendere la sofferta decisione: rispondere alla chiamata militare della Leva o darsi alla macchia ed essere trattati da disertori per i quali era prevista la fucilazione. Nel dubbio rispondono alla chiamata e vengono arruolati nel 94° reggimento fanteria di Fano. Bastano i 10 giorni di vita militare per capire la confusione del momento (1944) ed optare per la diserzione. Molti incoraggiati dalle famiglie che, tra la guerra in suoli stranieri e quella nei nostri monti appenninici, spingevano per la seconda scelta. Così i 14 giovani, in un vecchio camion BL a gomme piene, mimetizzato in un vano sotto il carico di mattoni, raggiunsero Cantiano dove era di stanza la V Brigata Garibaldi di Egisto Capellini ed Errivo Ferri. Un’esperienza di poco più di due mesi, poco raccontata da Paolo Volponi anche quando andava di moda. Un segno della sua onestà intellettuale. Germana Duca Ruggeri ha affrontato l’Appennino contadino di Volponi. Ne ha mostrato con misura e sensibilità l’affinità con Pier Paolo Pasolini, suo maestro, non mancando di sottolineare in Volponi una conoscenza più diretta e compartecipata del mondo rurale appenninico. Dimostrata anche dopo il 1956 nell’esperienza di Volponi a Ivrea con Adriano Olivetti. Una esperienza che lo farà diventare il maggior interprete letterario del mondo industriale del secondo novecento.
Nessuno conosce Volponi come Laura Ercolani. Dirimpettai nella stessa via di San Polo, Laura ha potuto seguire l’evoluzione culturale di Volponi con l’opportunità di un dialogo aperto, continuo e costruttivo con lo scrittore. Volponi non capì molto il fascismo. Quello che capì subito, vedendo arrivare da Crocicchia, da sotto casa sua, gli alleati carichi di ogni ben di Dio, che un mondo era finito ed un altro stava per cominciare. E in quel mondo nuovo tutti dovevano essere compartecipi del nuovo benessere. Da qui la sua passione civile di stare a contatto con la gente, interessandosi dell’ingegno, delle condizioni di vita e della filosofia dell’artigiano, del contadino e dell’operaio. Così frequentava le case del Popolo, le Acli, l’Arci e la piazza. Sosteneva la necessità di un cambio culturale, anzi di un cambio di civiltà, qualcosa di più pervasivo, di testa, di braccia, di programmazione, per compiere il salto di qualità.
Infine Silvia Cuppini ha presentato la donazione di Paolo Volponi alla Galleria Nazionale delle Marche. Depositata al Palazzo Ducale. Per ricordare il figlio Roberto, giovanissimo, perito in un tragico incidente aereo. Cuppini con delicata sensibilità ha presentato la narrativa dei quadri, tutti legati alla giovinezza che è un tratto breve della vita. Soffermandosi poi sulla seconda donazione operata dalla Famiglia dopo la morte di Paolo. Quadri da restare in bella mostra, nella sua Urbino, nel suo palazzo più bello, in un’unica stanza in segno di raccoglimento ed in onore di tutti gli italiani. Il programma dell’Unilit, coordinato da Mosci, mirava a raccogliere particolari inediti di questo straordinario urbinate. Per quello che si è sentito ha raggiunto pienamente il suo intento, grazie alla serietà di Relatori e Relatrici, alla loro preparazione culturale e soprattutto al comune amore per Paolo Volponi. Che abbiamo rivisto in alcune sequenze, proiettate da Michele Gianotti e Nicoletto Nicoletti.
Sergio Pretelli
Così, nuove appena, trascorrono le annate…
di Germana Duca Ruggeri
L’Appennino contadino è un poemetto di oltre settecento versi liberi, lungo ventuno pagine; fa parte della raccolta Alle porte dell’Appennino, scritta da Paolo Volponi fra il 1955 e il 1959. La silloge, vincitrice del Premio Viareggio nel 1960, ricompare nel 1980 in Poesie e poemetti 1946-1966, dove si trova riunito il fior fiore del primo ventennio della produzione volponiana, curato da Gualtiero De Santi per Einaudi.
Come premessa alla lettura di ampi stralci del poemetto, che ha come protagonista lo scorrere del tempo, nel ciclo lunare dei dodici mesi, solo un paio di considerazioni, o forse tre.
La prima è che l’opera di Volponi è inestricabile dalle vicende che toccano sia l’Italia rurale delle sue radici, sia l’Italia industriale verso la quale egli, giovane poeta, si avvia a metà degli anni Cinquanta (sarà ad Ivrea con Adriano Olivetti dal 1956 al 1971), sulla scia di quel miracolo economico che si manifesta anche nell’esodo dalle campagne e nei contrasti socio-politici di cui Volponi scriverà, vivendoli in prima persona (si pensi a romanzi come Memoriale e Le mosche del capitale).
L’Appennino contadino è un testo autentico, dove Volponi si racconta e prova a coinvolgere chi ascolta con la realtà che tutti abbiamo avuto – e nel ricordo ancora abbiamo – davanti agli occhi. Un’opera che risente dell’amicizia con Pasolini, del rapporto maestro-allievo con lui instaurato dal 1954, in occasione Premio Carducci, vinto ex-aequo, mentre sulla rivista Officina si tracciava la strada alla nuova poesia italiana: superare i modelli otto-novecenteschi, aprirsi al plurilinguismo e al pluristilismo. Pasolini dà l’esempio nel 1957, scrivendo L’Appennino posto all’inizio de Le ceneri di Gramsci. A parte il titolo, i due poemetti hanno poco in comune: più generico e più colto Pasolini, il quale spazia sul versante tirrenico, muovendo dalla Lucchesia, imperniata su Ilaria del Carretto, giù per Orvieto, Roma, Sperlonga, Cassino, eccetera, fino a Napoli. Più specifico, dettagliato, aperto a una visione di comunità e famiglia Volponi, tutto concentrato sulle alte colline che attorniano Urbino, sulle aspre dolci terre del vasto Montefeltro.
Egli dialoga con i luoghi circostanti, ponendo in primo piano la campagna del Tufo, addossata alla strada ducale che collega Urbino alla Massa Trabaria; li descrive con passione nel mutare delle stagioni e dei mesi; osserva i comportamenti umani e naturali; vede il presente, presagisce il futuro. Sull’onda di una storia e di una cultura locale che nell’insieme è di stampo appenninico e rinascimentale, in un lungo ordine di lune e di affetti in cui riconoscersi e da cui ricominciare. Il sentimento del paesaggio, di questo Appennino azzurro e sassoso, memore di Leopardi e San Francesco, ispira a Volponi un dettato semplice che, pur includendo apporti lessicali colti, mai si discosta dal tono medio e colloquiale.
I mesi, le stagioni, gli astri e la luna sono l’infinito ciclico proscenio della vita. Fin dall’antichità hanno dato origine a semine e raccolti, feste, proverbi tramandati dalla tradizione orale del mondo rurale, dagli almanacchi e dai lunari. Quel tempo contadino, che andava da un San Martino all’altro, scandito dalle fasi della luna, aveva una sua sacralità, era carico di significati e simboli che alimentavano la cultura popolare, un patrimonio che si è a poco a poco sgretolato.
Paolo Volponi, con l’unicità della sua poesia, fra assonanze e rime irregolari per l’occhio ma normali per l’orecchio, lo ha salvato, facendo giungere fino a noi la differente natura di ogni mese. Che troviamo riflessa nella magia di certe ore e feste e ricorrenze, nell’insieme delle comunità locali, libere e appartate. Intanto che <>, lasciamoci allora sorprendere dal ritmo e dal suono sempre nuovo delle comuni radici, sapendo che esse in fondo sempre parlano di umanità e del nostro futuro.
Da: Paolo Volponi, Poesie e poemetti 1946-66, Einaudi, 1980
L’Appennino contadino
[…]
Così, nuove appena, trascorrono le annate,
sempre strette dal freno
quotidiano degli astri e dei dolori,
dal corso sotterraneo dei semi.
I dodici mesi sono gli apostoli
che ci portano in croce.
Gennaio è un mese doloroso;
nel suo manto nevoso
copre le strade della nostra voce
che cercano il paese.
Gennaio ha tutti i giorni
che i passeri contano nell’orto.
Qualche nebbia per la luna nuova
ci porta a cacciare di frodo lungo le fiumare,
e emettere versi di richiamo sul palmo della mano.
Spesso vediamo la volpe
che a gennaio è sola
e vaga verso i confini;
più vicini, l’airone
e il branco delle anatre germane.
La caccia ci allena al dolore,
fatta per uccidere, per guadagnare
il corpo del selvatico che muore.
Con una rossa pelliccia di lepre
vengono alla veglia i vicini
seguiti dalle figlie accecate
negli abiti celesti da fili di granate.
Si suona un valzer sottile
a gennaio nelle grandi cucine,
dalle vetrine smaglianti di piatti.
Si sogna una festa migliore
e si fa sempre un giro in più
ballando per amore,
mangiando e bevendo per amore,
odiando per amore, parlando per amore,
per l’amore accanito di vivere senza capire.
E’ il fuoco che pensa per noi
mischiando nei camini la corrente dei venti,
gli accenti delle colline,
le voci pure degli alberi.
[…]
UNILIT – Università Libera Itinerante
Collegata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Circolo Acli – Centro Universitario
Conversazioni di Palazzo Petrangolini
Vivarte – www.urbinovivarte.com
Fano Città – www.fanocittà.it
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Poeti d’Urbino 4
Paolo Volponi
(Urbino, 6 febbraio 1924 – Ancona, 23 agosto 1994)
Con Volponi nell’Appennino contadino
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Mercoledì 4 maggio 2016 ore 16,30
Piazza Rinascimento 7 – Urbino
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Sergio Pretelli, Presidente Unilit
70° della Liberazione. Volponi partigiano
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Coordina Gastone Mosci
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Germana Duca Il canto de L’Appennino contadino
…trascorrono le annate…
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M. Laura Ercolani
La passione civile di Paolo Volponi
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Silvia Cuppini
Paolo Volponi collezionista d’arte
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William Rivière
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Michele Gianotti e Nicoletto Nicoletti
Documentazione di Sala
Poeti d’Urbino 1, Don Amato Cini, 26 febbraio 2016, collaborazione: Germana Duca, Gastone Mosci, Sergio Pretelli, Francesco Colocci, Giustino Gostoli, Raimondo Rossi, Michele Gianotti, Nicoletto Nicoletti, Roberta Sanchini, Anna Cini, Abramo Cini e
don Romano Ruggeri.
Poeti d’Urbino 2. Silvano Ceccarini, 30 marzo 2016, collaborazione:Germana Duca, Gastone Mosci, Maria Lenti, Sergio Pretelli, Fulvio Palma, Alberto Ceccarini, Silvia Cuppini, Guido Bernardi, Vittoria Coen, Michele Gianotti, Nicoletto Nicoletti.
Poeti d’Urbino 3. Zeno Fortini, Barchi, 22 aprile 2016, collaborazione: Marilena Fortini, Claudio Patregnani, Sergio Pretelli, Gastone Mosci, Laura Paniccià, Michele Gianotti, Nicoletto Nicoletti. Quaderno di Vivarte, direttore Oliviero Gessaroli, grafico Susanna Galeotti.