Plinio Acquabona II
Lo scrittore Plinio Acquabona (Ancona, 1913-2002)

Pergola, 26 maggio 2015 Convegno su Plinio Acquabona

in Lettere e Teatro

Convegno su Plinio Acquabona

Plinio Acquabona II

 

UNILIT – Università Libera Itinerante

Collegata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Sede di Pergola
Comune di Pergola
Banca di Credito Cooperativo di Pergola
www.fanocitta.it

Centenario dello scrittore Plinio Acquabona
(Ancona 1913 – 2002)

Uno scrittore del Novecento che ha tenuto alto il dialogo
della cultura con le Marche. Poeta e autore teatrale nella tradizione
di Ugo Betti e amico di personaggi come Carlo Bo,
Marcello Camilucci, Valerio Volpini e Carlo Antognini,
il fondatore delle Edizioni L’Astrogallo di Ancona.

Martedì 26 maggio 2015 ore 16
Sala Consiliare del Comune

Saluto del Sindaco
Avv. Francesco Baldelli
Saluto di Sergio Pretelli, Presidente Unilit

Interventi
Maria Pia Acquabona
Mio padre Plinio
Fabio M. Serpilli
Acquabona Antognini e gli scrittori di Ancona
Raimondo Rossi
Un poeta che amava la grafica
Jacopo Pettinari
Il poeta di “Libertà clandestina” (1965)
Gastone Mosci
In dialogo con Carlo Bo, Valerio Volpini e Marcello Camilucci

Ingresso libero

Mostra delle edizioni di Plinio Acquabona.
Gli incontri dell’Unilit di Pergola fin dal 1996 hanno approfondito
la cultura e le opere di Carlo Bo, Paolo Volponi, Valerio Volpini,
Marcello Camilucci, Walter Valentini e Piergiorgio Spallacci.
Le attività culturali e organizzative della sede di Pergola sono curate da
Armando Roia e Isabella Patacconi.

*

 

 

"Per Plinio Acquabona. Scrittura tu sarai la mia donna", Atti  del Convegno del Centenario, Ancona 25 ottobre 2013,  a cura di Alfredo Luzi e Maria Pia Acquabona, Raffaelli Editore, Rimini, 2014. Relazioni di Paolo Valesio, Giovanni Antonucci, Giuseppe Farinelli,  Carla Carotenuto, Giancarlo Galeazzi, Fabio Maria Serpilli, Fabio Ciceroni,  Alfredo Luzi, Giorgio Luzzi, Gastone Mosci e Francesco Acquabona.

 

UN POETA DI ANCONA: PLINIO ACQUABONA, LA POESIA DELLA VITA

di Gastone Mosci

 

Le iniziative del 2009 dedicate a tre editori di Ancona (Brenno Bucciarelli, Gilberto Bagaloni e Carlo Antognini) ed alla letteratura marchigiana degli anni ’50-’80, da parte della rivista “nostro lunedì” (Editori, 11, 2009), diretta da Francesco Scarabicchi, pongono in grande rilievo l’animazione dell’editrice L’Astrogallo, fondata da Antognini negli anni settanta del Novecento, e la grande animazione letteraria anconetana, esercitata da Plinio Acquabona. La personalità di questo personaggio, che opera già negli anni trenta e nel secondo dopoguerra è a lungo il riferimento culturale e spirituale della città, riemerge con una autorevolezza incredibile, grazie alla sua produzione letteraria di qualità, una trentina di opere di poesia, narrativa, critica e teatro, principalmente il teatro legato a Ugo Betti, Diego Fabbri, Mario Apollonio, Orazio Costa, Federico Doglio, Carlo Bo. Di recente, nel sistemare il suo archivio, la figlia Maria Pia e il figlio padre Francesco hanno ritrovato le carte di un’opera notevole di poesia e musica, eseguita negli anni settanta nella cattedrale di San Ciriaco: “La profezia del fuoco”, oratorio per quattro voci recitanti e musica per organo e tromba di Armando Pierucci. Il testo vuole rappresentare il tempo tragico della seconda guerra mondiale e della Shoah, i rivolgimenti sociali e il rinnovamento portato dallo Spirito. In occasione di quell’unico spettacolo in chiesa le voci recitanti erano di Renato Brasili, Aladino Mencarelli, Francesco Scarabicchi e Terenzio Montesi con compiti anche di regia, mentre la parte musicale del compositore organista padre Armando Pierucci, allora docente del Conservatorio di Pesaro ed ora organista del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e del maestro di tromba Terzo Cattani del Conservatorio di Pesaro. A seguito di un seminario su Plinio Acquabona nelle Conversazioni di Palazzo Petrangolini a Urbino nel 2009 è stato costituito un gruppo di lavoro per promuovere alcune iniziative sullo scrittore sia in vista del Congresso Eucaristico di Ancona del 2011 che del Centenario della nascita nel 2013. Ne fanno parte Marcello Bedeschi, Fabio Ciceroni, Giancarlo Galeazzi, Marco Luchetti, Raimondo Rossi, Fabio M. Serpilli, Girolamo Valenza e Gastone Mosci, del quale pubblichiamo una nota sulla poesia dell’autore anconetano, edita nel 2006 nell’ambito del Premio Agugliano, presieduto da Serpilli. (2009, segue la nota su “Poesia e verità)

 

 

PLINIO ACQUABONA, POESIA E VERITA’

di Gastone Mosci

 

L’infedeltà mistica

La poesia di Plinio Acquabona (Ancona 1913 – 2002) si sviluppa nello spazio della parola, percorre la scena costruita dalla parola, ha un suo segno ed una sua sonorità. Dice Italo Mancini nella introduzione a “L’immagine dissimile e altri poemetti” (con due acqueforti di Enrico Ricci, Ancona, L’Astrogallo, 1981): la sua poesia è un cammino di verità, la sua poesia esprime una partecipazione alla vita come “passione civile”. Ecco la realtà poetica di un personaggio (poeta intellettuale, creatore di scena, fabulatore dello Spirito) che vive con emozione il dialogo delle scritture sacre, che illumina la teatralità della convivenza umana. Il suo personaggio porta il nome del “giovane Vangelo” nella sezione delle “Infedeltà” (1966): ha voce fioca, vita debole, gracile, un don Chisciotte, eppure sguardo profondo, elabora una sua visione della Pentecoste, che è la sua scommessa, incontro nodale, luogo della scena. La Pentecoste è “discesa visibile” e specchio verso l’alto, quindi mistero, partecipazione, testimonianza dell’uomo, invito a stare nel mondo, ad uscire dalla “trincea percossa”: “il Vangelo ritorna ad essere mistero vivo” (p. 38), “E l’Uomo / è un giovane di questo mondo” (p. 39), che ha lo Spirito in sé. Non basta! Non basta che lo Spirito pervada l’uomo, ma ecco la sua interpretazione, il suo segno: “Il nostro Vangelo / è un giovane triste, / non dice amore non dice perdono / ma solo giustizia…” (p. 40). E il poeta civile dialoga sul potere, sulla democrazia, sul progresso, sulla guerra, sulla libertà. Eppure il giovane Vangelo è povero come San Francesco. Ma, poi, un altro passaggio, un altro paradosso: “Si fa più festa in cielo / per il coraggio / di un’eresia che per moltitudini / di pavidi ossequi, / perché anche l’errore / non è mai la negazione dell’amore.” (p. 49).

Questo canto delle infedeltà di Acquabona – percorsi d’inquietudine – s’inserisce in una scenografia infuocata ed in un itinerario al dunque fortemente mistico, e non lascia indifferente Mancini né altri lettori che lo stimano, come Carlo Bo, Valerio Volpini, Mario Luzi.

 

 

I tre poeti marchigiani de L’Astrogallo

 

Va detto che egli ha sempre sostenuto e seguito Carlo Antognini (Ancona 1937 – 1977) e le sue edizioni, che lo ha accompagnato con una felicità partecipata per le cose fatte e con sollecita impazienza per quanto da fare: il fatto ed il non ancora lo hanno sempre tenuto sulle spine, attore di scena, che era il suo mondo: aveva da giovane iniziato con il teatro come autore, come osservatore, come fabulatore, come interlocutore problematico dell’intelligenza italiana più creativa (Ugo Betti, Mario Apollonio, Orazio Costa, Diego Fabbri). Ed il sito della poesia marchigiana nelle edizioni dell’Astrogallo, lo condivide con Franco Scataglini (“E per un frutto piace tutto un orto” 1973 e “So’ rimaso la spina” 1977) e con Franco Matacotta (“La peste di Milano e altri poemetti” 1975 e “Canzoniere d’amore” 1977). Acquabona è il poeta nella strada della verità che dice: “poserò gli occhi sulla mia certezza” (p. 30), Scataglini (Ancona 1930 – 1994) della solitudine e di un linguaggio dorato, Matacotta (Fermo 1916 – Genova 1978) di un’esistenza presa dalla sofferenza e dalla rabbia in forma di ballata, canto, inno, coro, lamento, sacra rappresentazione, filastrocca. Altra osservazione: le edizioni di Antognini vivono un rapporto stretto fra scrittura e arte, i suoi sono tutti livre d’artiste: Plinio Acquabona con Enrico Ricci, Franco Scataglini con Emilio Greco, Giosetta Fioroni e Giacomo Porzano, e Franco Matacotta con Pericle Fazzini.

Lo sguardo alto della poesia

Ritorno a “L’immagine dissimile”, il testo poetico in questione, un contributo decisivo alla poesia marchigiana del Novecento: Acquabona non sospende mai il giudizio critico, continua senza sosta la riflessione sulla vita, pone anzi interrogazioni inquietanti e inquietudini laceranti per poi fare opera di ricomposizione. La sua è una visione generale, religiosa e civile: stare nel tempo della giustizia e partire dal basso con una consapevole politicità. La sezione delle “Infedeltà” è un oratorio, si congiunge alla prima, “Surplace” (1965), di otto poesie, appunto in equilibrio di fronte alla vita, al dolore, alla morte, al grido dell’uomo ed al destino giovane. Sembrerebbe poesia di una contemporaneità frenetica, di cose, di gesti eppure la sua ossessione fra potere giustizia e libertà apre alla domanda, “poserò gli occhi sulla mia certezza”.
Questo libro di poesia raccoglie testi dal 1965 al 1979, comprende l’avvento della società dei consumi, la rivolta studentesca e gli anni di piombo, un’epoca di tensioni e di drammi, di violenze e di forme di liberazione.
La terza sezione, “L’immagine dissimile” del 1973 con cinque poemetti, è una storia di vita nella città dissestata, fra lamentazioni e coro. Come si può rispondere ad una catena di disgrazie se non con “la misteriosa audacia / della speranza” (p. 77)?
L’immagine dissimile è la perdita del Padre, situazione tragica in preda al potere discusso.
La quarta parte della raccolta, “L’evento” del 1979 con quattro poemetti, raggiunge una pienezza compositiva nella questione che “E’ possibile essere veri” (p. 109). L’evento è il mistero di Dio, la venuta di Cristo, i passi del silenzio, come “Il grande silenzio” nel film di Philip Groening. Il silenzio aiuta la ricerca dell’interiorità e della bellezza, stare “nel silenzio di Dio” vuol dire essere separati, invece il “silenzio bianco” è il viaggio nel vuoto. Il silenzio è preghiera, invocazione, per un credente è attesa del dono. La poesia, nel cuore di Acquabona, è inquietudine, vale a dire stato di sopportazione, essere in rapporto drammatico, avere cuore e possedere spirito audace, stare in prima persona, essere veri, vivere la vita. Questa è dunque la lezione di Plinio Acquabona: la poesia della verità della vita.

2006

Gastone Mosci

 

 

IL MEIC MARCHE A FONTE AVELLANA CON DUE INCONTRI DEDICATI A “LA PROFEZIA DEL FUOCO” DI PLINIO ACQUABONA E ALLA POESIA DI MARIA GRAZIA MAIORINO

 

Fonte Avellana. Nei primi tre giorni di luglio 2011 si svolge all’Eremo di Fonte Avellana la terza edizione delle Giornate di Spiritualità del Meic Marche, organizzate da Mimmo Valenza. Quest’anno i lavori degli intellettuali cattolici marchigiani sono rivolti ad approfondire i temi del Congresso Eucaristico di Ancona in settembre su “Lo riconobbero allo spezzar del pane”, mentre due serate sono dedicate alla poesia di Maria Grazia Maiorino ed al ricordo di Plinio Acquabona di Ancona. Il convegno inizia venerdì 1° luglio 2011 alle ore 17 sui temi generali con gli animatori del Meic, e prosegue poi alle 19 con la recita dei vespri insieme ai monaci. Alle 21 serata della poesia nelle sale dell’Eremo in margine alla presentazione dell’ultimo libro della Maiorino, “I giardini del mare” (peQuod 2011) con 9 disegni di Raimondo Rossi: i temi riguardano un itinerario poetico e civile, l’esperienza dell’Adriatico vista dal Cardeto, il mito di Ancona ma soprattutto inediti approfondimenti spirituali legati alla quotidianità. Gastone Mosci intervista l’autrice, il pittore Rossi parla degli angeli da lui disegnati e di quelli presenti nelle poesie.
Il sabato 2 luglio i temi eucaristici sono sottoposti a due tavole rotonde. La prima, nella mattinata, coordinata dal vescovo di Jesi Gerardo Rocconi, di “ascolto” delle domande che nascono nell’ambito ecclesiale e sociale con don Valter Pierini del Meic, il biblista Carmine di Sante, la studiosa di patristica M. Benedetta Zorzi, il teologo don Mario Florio. Il secondo confronto nel pomeriggio, animato dallo scienziato Carlo Cirotto, presidente nazionale Meic, è incentrato sulla “condivisione” attraverso la comunione, la predicazione e la missionarietà con il filosofo maceratese Roberto Mancini, Giuseppe Elia del Meic di Torino e la comboniana suor Maria Teresa Ratti.
Seconda serata sulla poesia alle 21 con le letture dedicate ad un oratorio di Plinio Acquabona (1913-2002), un testo degli anni settanta su “La profezia del fuoco”: l’eco dei profeti biblici ed i segni dei tempi di un’epoca dissestata civilmente e spiritualmente, testo letterario sofferto musicato con successo da padre Armando Pierucci e presentato nella basilica di San Ciriaco nel 1978 per la sua riapertura dopo il noto terremoto. Padre Pierucci è ora sempre organista del Santo Sepolcro a Gerusalemme e quindi in questa occasione ci saranno soltanto quattro voci recitanti, i poeti Fabio M. Serpilli e Maria Grazia Maiorino, lo scrittore Alberto Calavalle e il prof. Gastone Mosci che coordina l’evento.
Il sabato mattina, animato da Massimiliano Colombi della Cisl, è dedicato alle testimonianze ed alle esperienze della preghiera e del volontariato con centri significativi presentati da don Vinicio Albanesi della Comunità Capodarco, da Giuliana Chiorrini della Fondazione Carlo Urbani, da Sergio Paronetto vice-presidente di Pax Christi e da padre Alessandro Barban priore dell’Eremo.
Le iniziative del Meic Marche sono numerose, aperte al dialogo e segnalate nel sito web www.meicmarche.it

(Meic Marche)
2011

 

 Plinio Acquabona Scansione del 11-mag-2015 15 22-page2

 

IL DRAMMA DEGLI UOMINI LIBERATO DALL’AMORE. LA PROFEZIA E’ IL FUTURO, IL FUOCO E’ LA VERITA’

di Gastone Mosci

 

“La profezia del fuoco” è un oratorio per quattro voci recitanti con musica per organo e tromba, un’opera poetica degli anni settanta del Novecento, epoca di particolare tensione politica e civile. La società è in una situazione di crisi in balia dello sviluppo economico squilibrato del mondo occidentale, ormai in piena società dei consumi, ma sotto spinte e domande inedite, espresse dal movimento studentesco e operaio. L’università è il luogo del primo malessere: la cultura mette sotto accusa le ideologie e la politica, la società dei servizi è sempre più un modello sociale da perseguire. Nell’incontro assembleare la presa di coscienza diventa subito discussione e invoca un cambiamento di fatto: il primo cambiamento è la lotta, la rivolta consapevole, la messa sotto accusa del sistema sociale. Le ragioni politiche si concretizzano nell’affronto critico verso la burocrazia universitaria, verso la deistituzionalizzazione, la destabilizzazione del potere politico con questo slogan prorompente “l’immaginazione al potere”. Qui sta il canto di libertà del Sessantotto.

 

 

Il dialogo con Italo Mancini

 

Lo scrittore Plinio Acquabona vive questo contesto con una grande tensione e con sguardi di comprensione. Si sente culturalmente coinvolto, emotivamente preso nell’inquietudine che pone domande continue. Il luogo della sua partecipazione è la poesia e il teatro.

A proposito di un libro della sua maturità, “L’immagine dissimile e altri poemetti” (L’Astrogallo 1981), il filosofo Italo Mancini parla con molta attenzione di Plinio Acquabona, della sua poesia religiosa e civile che procedono assieme. L’autore esprime canto religioso e sensibilità politica, vive la spiritualità di Francesco d’Assisi e si affida ai profeti dell’Antico Testamento, Geremia, Daniele, Ezechiele, che indicano una strada di invocazione e di comprensione dei segni del Signore.

Il primo dato che colpisce viene da Geremia: lo splendore della convivialità e l’appello agli esiliati ad essere vivi, perché la vita è un atto religioso e politico dal quale partire, contro “lamento e pianto amaro”. La nostra società, invece, è ferita, drammaticamente rivolta al dissesto, si trova nella catastrofe degli anni di piombo. Siamo di fronte alla profezia della sincerità e della ribellione che domina l’ambiente della creazione artistica e della progettualità sociale.

 

 

Con Carlo Bo sul dramma di Aldo Moro

 

Eppure Acquabona come altri intellettuali, che nelle Marche si sono ritrovati intorno alla rivista di cultura “Il Leopardi”, diretta da Valerio Volpini, partecipa con sofferenza a quella stagione del ’78, che provoca espiazioni immense, delitti come quello di Aldo Moro, un tempo politicamente e eticamente torbido, come sottolinea Carlo Bo nella sua antologia critica, dieci anni dopo, “Aldo Moro. Delitto di abbandono” (“Il Nuovo Leopardi”, 25, Maggio 1988).

La situazione di lotta permanente nella dimensione spirituale e di riflessione nella prospettiva, intorno al pensiero libero, determina nel poeta di Ancona una svolta radicale, di un radicalismo francescano, che raccoglie le sollecitazioni di un confidare nel protagonismo di Dio, di accogliere la realtà dello Spirito che attraversa i tanti fronti di lotta.

Nel ripercorrere i vari momenti della composizione e della scrittura di Acquabona, mi ha colpito e illuminato la lettura del testo biblico di Rosanna Virgili, “Geremia l’incendio e la speranza. La figura e il messaggio del profeta” (EDB, Quaderni di Camaldoli, 2000), su come “il profeta giudica il suo tempo” e, di conseguenza, aiuta a capire il nostro, il grido del sangue degli innocenti, la dimenticanza della giustizia. Ecco il filo rosso della storia: il canto poetico sollecita il rovello della conversione, l’ethos degli uomini, il loro vivere nella città e nel popolo.

 

 

Cantare con le “parole” dei profeti

 

Ezechiele porta nel contesto la sinfonia degli Angeli, che sono i messaggeri di Dio, che comprendono la complessità del fuoco e del vento, mentre il profeta Daniele misura la violenza dell’idolatria e il suo cedimento senza barriere: il dominio dell’oro altera lo sguardo e l’uso del potere pone sul tavolo un robot in metastasi, vale a dire la potenza distruttrice della finanza che, oggi, non ha dimensioni umanistiche ma solo vicende di speculazioni economiche senza razionalità sociale.
Nella scrittura di Acquabona i riferimenti biblici si alternano ad allusioni che fanno sentire lancinanti le distruzioni dei totalitarismi, la Shoah, la bomba atomica e giungono a fatti della nostra martoriata quotidianità: costì Dio è impenetrabile alla preghiera e la città è come “concime di sangue e di macerie”. La tensione sollevata dal testo è immensa, il furore de “La profezia del fuoco” una corsa irrefrenabile, è senza argini: il poeta pone l’Assoluto come risposta ultima, ma analizza anche le insidie e le atrocità dei potenti, comunica che la poesia è un linguaggio che ha una forza propria, un valore in sé, è interpretazione di intuizioni, di dichiarazioni, di eventi ai quali partecipiamo come attori.

 

 

Una poesia di fede

 

La poesia è il luogo della profezia, della profezia del fuoco, come spirito di Dio e verità assoluta: poesia e musica si intrecciano in un teatro di fuoco e di venti di guerra, del fuoco che alimenta lo spirito di Dio e il suo amore per il creato. Nella prima esecuzione dell’oratorio a San Ciriaco, nel 1978, nella cattedrale restaurata dopo il grande terremoto di Ancona, le musiche per organo e tromba del maestro Armando Pierucci partecipano con un forte coinvolgimento al dramma spirituale della poesia, costruiscono una tensione di denuncia e di attesa.
Per Acquabona il fuoco è la verità di Dio, è l’annuncio dell’amore pur nella dimensione di tumulto e di lotta, del Dio impenetrabile alla preghiera. Lo Spirito è la verità di Dio, la sua stessa realtà, sostiene il poeta, ma anche verità dell’uomo come creatura di Dio, amata ma dissimile, non più ribellione e giustizia ma simbolo dell’amore. Una poesia di fede che va ascoltata. Lo scrittore crea il suo testo, il musicista compone la sua interpretazione, il lettore è attento a cogliere le proposte e le sfumature dei messaggi, lo Spirito soffia dove vuole perché lì agiscono i doni del Signore.

Quaderno Consiglio Regionale Marche, “La profezia del fuoco. Oratorio per quattro voci recitanti”, disegni di Raimondo Rossi, Luglio 2012 (pp. 41-4).

 

 

 

“La profezia del fuoco” di Plinio Acquabona al Festival Adriatico Mediterraneo nella Chiesa di San Domenica in piazza del Papa

di Gastone Mosci

 

Un grande successo ha ottenuto l’oratorio “La profezia del fuoco” di Plinio Acquabona con musica dedicata alla “Apocalisse” composta dal M° Armando Pierucci, dopo 35 anni dalla sua prima esecuzione nella basilica di San Ciriaco di Ancona nel 1978. La presentazione dell’opera è stata organizzata dal Festival Adriatico Mediterraneo, per iniziativa del suo direttore, M° Giovanni Seneca, nella chiesa di San Domenico in piazza del Papa il 31 agosto 2012 alle ore 20 di fronte ad un pubblico di più di trecento persone al quale è stato distribuito il testo di sala dell’opera, pubblicata dalla Presidenza del Consiglio Regionale delle Marche. In questa occasione è stato ricordato il decennale della scomparsa di Acquabona (Ancona 1913-2002), con il saluto di Assessore alla Cultura del Comune di Ancona Andrea Nobili, della figlia Maria Pia Acquabona e una nota critica del prof. Gastone Mosci dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. Alla esecuzione hanno collaborato Riccardo Lorenzetti organo e voce recitante, Mario Bracalente tromba, Lorenzo Bovio, Luca Talevi e Maurizio Marchegiani voci recitanti. L’opera è stata accolta molto bene sia per la lettura partecipata e acuta degli attori che per l’interpretazione intensa dell’organo e della tromba a riconoscimento della musica di Padre Armando Pierucci, già Maestro Organista del Santo Sepolcro, ora direttore dell’Istituto Musicale Magnificat di Gerusalemme per insegnanti e studenti di tutte le culture. Un ringraziamento cordiale va alla comunità religiosa del San Domenico. La realizzazione de “La profezia del fuoco” si deve anche al sostegno caloroso dei
fratelli Acquabona ed alla sensibilità culturale del Meic di Ancona e delle Marche, animato da Mimmo Valenza, all’incontro poetico del Convegno di Fonte Avellana del 2 luglio 2011(con Fabio M. Serpilli, Maria Grazia Maiorino, Alberto Calavalle, Gastone Mosci e Maria Pia Acquabona) e al recente seminario del 21 agosto 2012 nelle Conversazioni di Palazzo Petrangolini di Urbino (con padre Francesco Acquabona, Raimondo Rossi ed altri). Segue il testo letto dal prof. Gastone Mosci nella chiesa di San Domenico.

 

 

L’Oratorio

 

Ancona. Plinio Acquabona (1913-2001) ha composto un oratorio che è un urlo di denuncia, “La profezia del fuoco” (1978), una presa di responsabilità civile nel contesto degli anni di piombo, nell’epoca della contestazione permanente affondata nella palude della violenza portata allora agli estremi con l’assassinio di Aldo Moro, un clima che ricordava all’autore le atmosfere della Shoah.
Nello stesso tempo la sua scrittura esprimeva una invocazione religiosa profonda, misurata sui testi biblici e sui profeti del popolo dell’Antico Testamento come Geremia, Daniele, Ezechiele. La visione creativa generale era però sostenuta dalla spiritualità di Francesco d’Assisi con l’intento di costruire un evento di preghiera conclamata e di condurre la riflessione verso un orizzonte di liberazione e di speranza. Era volontà di difendere la persona e proteggere la creazione, dare una mano a chi ha bisogno e proclamare l’amore assoluto di Dio, una poesia di fede, che teorizzava il suo “teatro dell’Assoluto” che lo sollecitava e lo ispirava, un teatro non della finzione ma della profezia.

 

 

Il teatro e la poesia

 

Il teatro è stato il suo luogo creativo negli anni trenta e nel secondo dopoguerra: aveva vinto il Premio Pro Civitate Christiana di Assisi (1961) con “L’invenzione della Croce” e il Premio Betti di Camerino (1963) con “Daccapo”, frequentando con successo anche il mondo radiofonico con il radiodramma; molto apprezzato il suo dramma “Alcesti” (1983) al Maggio Musicale Fiorentino per la regia di Orazio Costa Giovangigli.

La poesia tuttavia rispondeva a una predilezione particolare già all’inizio delle pubblicazioni in dialogo con l’Editore Brenno Bucciarelli: nel 1957 l’antologia poetica marchigiana “Dieci condizioni poetiche”, una rassegna delle voci sul campo, e nel 1965 un’opera rivolta alla città, ad Ancona e il suo mare, con punte d’inquietudine, “Libertà clandestina”:

 

Sai quale potere bruci
passi e speranze, e sai che nella vana
ressa non resta all’uomo che un’amara
libertà clandestina. (p. 36).

 

Accanto a questa tensione, che appartiene alla riflessione poetica europea del tempo, Acquabona aggiunge la già presente ricerca dell’Assoluto:

 

[…] il poeta,
oltre ogni voce e grido, ovunque fu
il silenzio di quando cade il vento,
che rinnova l’ascolto del mistero. (p. 37).

 

 

L’amicizia di Carlo Antognini

 

“La profezia del fuoco” è un’opera degli anni settanta dello scorso secolo, un decennio di grande impegno letterario per Plinio Acquabona, un’epoca di rinascita per le Marche sul piano politico, economico e culturale. Dal 1973 alla fine del decennio ha dominato in Ancona il lavoro intelligente ed esclusivo delle Edizioni L’Astrogallo, fondate e dirette da Carlo Antognini, scrittore e critico d’arte, una persona specialissima, autodidatta intelligente e creativa, affaticata da una condizione di difficoltà fisiche, intellettuale che ricostruisce il tessuto letterario e artistico delle Marche: lo interpreta e lo rinnova. Nelle sue edizioni apparivano autorità letterarie e artistiche e uomini nuovi. Acquabona era suo amico e consigliere che stimolava il nuovo indirizzo culturale. Le pubblicazioni su indicazione di Valerio Volpini iniziarono nel nome di Giulio Grimaldi con la riedizione del suo romanzo marinaresco rivolto all’Adriatico, “Maria risorta” (1908), per i cent’anni dalla nascita dell’autore fanese.

 

 

Con Franco Scataglini

 

Ma poi, Acquabona portò nella redazione de L’Astrogallo Franco Scataglini, che, con “E per un frutto piace tutto un orto”, rappresentò un “caso” ed una novità assoluta nella scrittura popolare colta, nell’uso di modelli prossimi alle fonti della poesia italiana ed un linguaggio neodialettale anconitano fra il 1968 e il 1972 sull’onda di Pasolini, ma con uno sguardo (anche nella sua pittura ispirata ai bizantini e ai primitivi oltre che a Klee – i cavalieri, i santi e le icone -) rivolto ad una “spiritualità perduta”, come ha scritto Antognini nell’editing. Le adesioni e le collaborazioni a questa nuova immagine grafica di Ancona e delle Marche rappresentata da L’Astrogallo sono state tante: Carlo Bo e Leonardo Castellani, Italo Mancini e Remo Brindisi, Valerio Volpini e Arnoldo Ciarrocchi, Franco Matacotta e Pericle Fazzini, Marcello Venturoli e Valeriano Trubbiani, Gino Nogara e Tono Zancanaro, Ercole Luigi Morselli e Walter Piacesi, Olimpo da Sassoferrato e Orfeo Tamburi.

 

 

Le Edizioni L’Astrogallo

 

Si procedeva a due a due, autore e artista, ma i testimoni di scrittura sono stati tanti: Mario Luzi, Carlo Betocchi, Mario Pomilio, Franco Fortini, Geno Pampaloni, Giuliano Manacorda, Francesco Carnevali, Giorgio Bompadre, Mario Bellagamba, Fausta Beer, Luciano De Vita, Renato Bruscaglia, Raimondo Rossi, Luciano Bongiovanni, Edgardo Mannucci, Emilio Greco, Renzo Vespignani, Fabio Ciceroni, Giancarlo Galeazzi, Ermete Grifoni, Ezio Bartocci, Franco Albonetti ed altri cento. Il mondo artistico del Novecento marchigiano ebbe il suo momento nazionale di esegesi critica ed espositiva con la Mostra ed il Catalogo di “Marche Arte 74”, 9 artisti e 10 critici. Nell’ambito di questa animazione Acquabona pubblicò due libri di poesia: “Il punto solidale”(1977) nelle edizioni La Locusta di Vicenza, dove veniva pubblicato don Primo Mazzolari, e quindi con la presentazione di Valerio Volpini; l’altro testo poetico: “L’immagine dissimile e altri poemetti” con la presentazione di Italo Mancini e disegni di Chicco Ricci nelle Edizioni L’Astrogallo a cura di Fiorisa Antognini.

 

 

La rivista “Il Leopardi”

 

Negli anni 1974 e 1975, Volpini ha fondato e diretto la rivista “Il
Leopardi”, mensile di presenza culturale pubblicato fra Pesaro e Urbino, 17 fascicoli formato tabloid che hanno riaperto i rapporti fra poesia e grafica dialogando con la Scuola del Libro e l’Ateneo urbinate di Carlo Bo, con il mondo filosofico di Italo Mancini e il laboratorio editoriale di Carlo Antognini. Anche in questo luogo Acquabona è sempre stato in prima linea con le collaborazioni sul teatro e sull’editoria marchigiana. Di Ancona collaboravano anche Valeriano Trubbiani, Franco Scataglini, Mimmo Valenza, Giancarlo Galeazzi, P. Stefano Troiani, Mario Bellagamba, Fabio Ciceroni, Adriano Rosellini. Di particolare interesse anconitano fu il fascicolo (11 – Aprile 1975) dedicato alla Mostra del “Miserere” di Rouault nella basilica di San Ciriaco (3 maggio-9 giugno 1975) alla prima iniziativa dopo il grande terremoto. Dopo il restauro totale della basilica, una delle prime manifestazioni nel 1978 fu dedicata all’esecuzione di un’opera di Plinio Acquabona, scritta per l’occasione,

 

 

Le esecuzioni dell’oratorio

 

“La profezia del fuoco”, oratorio per quattro voci recitanti con musica per organo e tromba del M° Armando Pierucci. In quella occasione – cerco ora di rendere omaggio a quello straordinario evento come anche a quello odierno nel ricordare le collaborazioni – le voci recitanti furono quattro – Renato Brasili, Aladino Mencarelli, Terenzio Montesi e Francesco Scarabicchi – coordinate da Terenzio Montesi; all’organo l’autore padre Armando Pierucci e alla tromba il M° Terzo Cattani, entrambi del Conservatorio Rossini di Pesaro. La registrazione di quell’oratorio fu trasmessa da Rai Marche il 13 aprile 1981. L’esecuzione odierna risponde ad una scelta avveduta del direttore di Adriatico Mediterraneo, il M° Givanni Seneca, con questo programma: “La profezia del fuoco” di Plinio Acquabona, oratorio con quattro voci recitanti, musica per organo e tromba del M° Armando Pierucci, con Riccardo Lorenzetti organo e voce recitante, con Mario Bracalente tromba, con Lorenzo Bovio, Luca Talevi e Maurzio Marchegiani voci recitanti.
La carriera letteraria di Acquabona è prestigiosa. L’Oratorio, “La profezia del fuoco”, con le musiche della “Apocalisse” è un fremito musicale e poetico, una esperienza d’arte.

Settembre 2012


 

 

 

Plinio Acquabona, la sua cultura della città

di Gastone Mosci

Plinio Acquabona appartiene alla generazione degli scrittori del Novecento che hanno cercato di mediare la propria vocazione creativa e l’esercizio del proprio lavoro di scrittura – come un “chierico”di Julien Benda – con quanto accadeva nella sua città e nella società più vasta. Era un personaggio disponibile ad osservare i cambiamenti sociali e le esperienze degli altri e offrire una visione di vita partecipata, una comprensione comunitaria. Dalla lettura delle sue pubblicazioni e dalle sollecitazioni che vengono dal lavoro di chi lo ha studiato specie in occasione di un evento come il suo centenario, la sua personalità risulta ricca di segnali, di orientamenti e di dialogo con le tante stagioni letterarie. Egli ha attraversato epoche diverse, esperienze di avanguardie artistiche fra cultura e politica, fra letteratura e dialogo sociale con la inquietante domanda di Carlo Bo: “Dove va la letteratura?”.

Acquabona ha vissuto tutto il Novecento: la sua personalità ne porta il segno, la sua coscienza critica ne è stata contagiata, il suo essere ha respirato l’appartenenza ad una comunità tradizionale dilaniata dalle guerre, dalla Shoah, dalla bomba atomica, fino agli anni settanta, anni di piombo.

Costante il suo rapporto con la città: si è formato come scrittore nel dialogo con la città, ne ha approfondito la cultura per dare intensità spirituale alla sua situazione umana, è stato attento alle novità culturali, ha saputo spingere a fondo la sua curiosità e il compito della lettura. Ha sempre cercato un “luogo” dal quale pensare e intervenire, per porsi in una azione o nella scena teatrale, in un luogo preminente per suggerire ragioni etiche al suo ruolo di intellettuale: guardare per scrutare e capire i segni visibili di gesti pratici che nascono insieme alla scrittura e, nel tempo, con la relazione fra l’oggetto della visione e la dimensione interiore, fra lo stare nella città e il porsi nel difficile orizzonte della profezia.

E’ cresciuto in un quartiere storico, in un gruppo sociale modesto ma ricco di legami familiari, popolare, partecipe della civiltà cittadina. La famiglia – la memoria della bisnonna materna, figlia di un rabbino -, il ruolo centrale della lettura hanno favorito il dialogo, la partecipazione alla vita con un impegno pratico preciso, come lo studiare ma nello stesso tempo guardare una meta; la scuola per geometri, alla fine degli anni venti, con l’idea di esercitare la professione: è l’abito mentale degli anconetani, di una città di commerci, di un ambiente familiare dinamico.

Quando Acquabona diventa adulto ha in mano il diploma di geometra, ma è già catturato dal mondo del teatro e dell’invenzione scenica, il luogo segreto, non esibito, ma coltivato in famiglia, del racconto e della fantasia, del piccolo teatro d’ambiente, con le relazioni d’affetto, la dimensione sociale e culturale nei rivoli della Belle Epoque marchigiana che si esprime con un certo ritardo rispetto ad altre società più ricche ed evolute. Sta di fatto che appena è pronto per il lavoro viene attratto dall’ Università Orientale di Napoli per studiare le lingue, per tradurre gli autori che già legge con viva partecipazione. Ecco il suo profilo di cittadino: si dedica al lavoro impiegatizio in un ente di previdenza, frequenta l’università, legge molto, traduce qualche testo, cerca il modo di partecipare alla vita giovanile degli anni trenta. E’ comunque preso dal teatro giovanile, familiare, amatoriale.
Le città della costa adriatica non sono tutte uguali, hanno culture diverse e accenti antropologici particolari: com’è il contesto anconetano? La città è antica ed ha una grande storia, il centro storico è collegato al porto, che è un altro monumento, un’altra forza operosa, un’altra identità del territorio. Acquabona ama la sua città, predilige il centro storico ma è attratto dal Guasco e da San Ciriaco che segnano la strada verso l’Adriatico; guarda quel contesto dall’alto con l’animo dell’osservatore, dell’intellettuale.

 

 

L’immaginazione scenica

 

La lettura dei primi testi offre, appunto, la visione di uno scrittore che osserva il mondo che ha di fronte con la mentalità del suo quartiere popolare di Ancona, dove ha sempre vissuto, ma anche con lo sguardo e lo spirito di chi vuole creare una visione vasta dell’ambiente naturale e sociale dal colle del Guasco accanto alla basilica di San Ciriaco. Da quel luogo si domina non solo il porto e la città antica ma anche l’Adriatico – il gomito del Conero – con il respiro del grande Mediterraneo. Ancona non è una insenatura ma un luogo di grandi commerci, un grande porto rifugio ma anche una forza dinamica che favorise un intreccio di volontà e di progetti, di luci e di conquiste. Dai tempi poveri e inquieti d’inizio Novecento alla vita nel quartiere di modeste condizioni, egli pone la sua intelligenza al servizio di un disegno spirituale, di uno stato di attesa, di una interrogazione come costume mentale. Lo scrittore vive la dimensione del guardare oltre l’orizzonte, del prefigurare il luogo del desiderio assoluto, dello stare dalla parte dell’utopia. Sogna di vivere in un ambiente sociale stimolato e invitante per le arti, nel dialogo continuo con il teatro, la musica, la letteratura.

 

 

Il fascino dell’Adriatico

 

Acquabona è attratto dall’invito di Valerio Volpini che presenta il romanzo marinaresco, “Maria risorta”, di Giulio Grimaldi all’inizio dell’avventura delle Edizioni dell’Astrogallo, l’8 gennaio 1973, nel centenario della nascita dello scrittore fanese, con venti disegni e sei acqueforti di Mario Bellagamba. E’ inoltre molto attento alla lettura della poesia di Leopardi e all’ascolto della musica di Gioacchino Rossini.
La sua anima letteraria lo tiene ancorato alla città, ai suoi luoghi, al mare ed all’aria misteriosa della splendente basilica dell’Anno Mille, ai venti della catena montagnosa ed alle luci pedemontane e marine, al fascino dell’Appennino che giunge a incunearsi fra pelago e cielo, attento alle voci e alle immagini di autori come Dino Garrone, Mario Puccini, Fabio Tombari, Leonardo Castellani, Arnoldo Ciarrocchi, di Giorgio Bompadre.
Sono però le sale parrocchiali, i teatrini di quartiere, il Teatro delle Muse che affascinano Acquabona, memore della sua infanzia, delle letture ascoltate, delle recite, della prima scrittura, della gioia della creazione, del vernacolo. C’è anche la poesia, ma prima viene il teatro, l’incontro del pubblico e della gente, il mondo dell’ascolto e della fantasia, della adolescenza vissuta nel cuore di Ancona..

 

 

“Libertà clandestina” è un evento

 

Con “Libertà clandestina” (Bucciarelli, Ancona 1965) Plinio Acquabona porta un contributo interessante alla poesia degli anni sessanta. Si pone innanzitutto in dialogo con la grande poesia anni trenta e quaranta: Garcìa Lorca, T.S. Eliot, Dylan Thomas sono i suoi autori. Vive la dimensione della poesia-racconto, dell’intensità apocalittica, dell’avvento della “beat generation”. Il cuore del suo canto è Ancona, il suo porto, il mare Adriatico: 16 testi su 29 della raccolta costituiscono la visione poetica nuova della sua città. Ancona viene sfiorata, “Ancona cancellata dalle nebbie”, rappresenta un primato spirituale, respiri segreti, vita giovanile, è anche festaiola. In quei versi il mare si accende di luci, l’Adriatico è un brillio luminoso. Carlo Antognini nella convincente lettura critica di Acquabona nella antologia degli “Scrittori marchigiani del Novecento” (II, Bagaloni, 1971, 214) ha privilegiato il testo “Fiera di Ancona”, ma ne ha cambiato titolo, “Vola a un’ombra temuta”, perché la città poteva sembrare troppo materialista, felliniana, effimera, travolta dalle luci “arlecchine”. E così anche il titolo della silloge rappresenta una condizione ed un pensiero inquieto: “…non resta all’uomo che un’amara / libertà clandestina” (p.36). Volpini trasforma “libertà clandestina” in “clandestinità aperta” per sostenere la sua “Pazienza delle idee” nel fondo del primo fascicolo della rivista “Il Leopardi” (!974-5), che presenta l’idea di un dialogo libero e partecipato fra letteratura e spiritualità, filosofia e democrazia. Quando cala il vento – per stare al canto di Paul Valéry – arriva il silenzio. Cosa fare? dice Acquabona: dimettersi? cedere all’usura? che vuol dire soffocare nel compromesso della cultura della presenza, aggiunge don Italo Mancini. In questo contesto marchigiano, Carlo Bo riprende il verso di Valéry, “Il faut tenter de vivre”, con il suo libro per L’Astrogallo, “Aspettando il vento”, vale a dire quanto può donare la letteratura a chi ha speranza.

 

 

Geografia degli anni settanta con Acquabona

 

L’invito di Acquabona apre gli anni settanta che sono i suoi anni pensosi, in un confronto amicale con Volpini, Mancini, Carlo Antognini e Carlo Bo. Con la nascita della Regione Marche si manifesta un’aria nuova, si mette in movimento l’intelligenza creatrice dei marchigiani in nuovi ambienti aperti al progetto editoriale. Il poeta anconetano capisce il nuovo contesto e lo interpreta con tutta una partecipazione al dialogo ed all’incontro. Si misura in una ricerca continua, attratto dalle nuove possibilità di vivere una stagione inedita, di vivere luoghi nuovi.

Il cuore è Urbino tra Università, Palazzo Ducale e Scuola del Libro, accanto a Carlo Bo ci sono don Italo Mancini, Francesco Carnevali, Leonardo Castellani, Paolo Volponi, Carlo Ceci, Pino Paioni, Dino Tiberi, Piero Sanchini, Renato Bruscaglia, Giorgio Bompadre, Livio Sichirollo, Giancarlo De Carlo, Umberto Franci, Nicola Ciarletta, Rosario Assunto, Enrico Garulli, Ercole Bellucci, Egidio Mengacci, Giovanni Bogliolo, don Amato Cini, Adriano Gattucci, Adriano Calavalle, Silvia Cuppini, Marcello Lani, Umberto Piersanti, Gualtiero De Santi.
In Ancona il ruolo regionale viene interpretato da Pietro Zampetti e Valeriano Trubbiani, poi Carlo Antognini e l’editrice L’Astrogallo insieme a Plinio Acquabona, Franco Scataglini, Brenno Bucciarelli, Ermete Grifoni, Gabriele Armandi, Alfredo Trifogli, Giancarlo Galeazzi, Gilberto Bagaloni, Mariano Guzzini, Francesco Scarabicchi, Massimo Papini, Bruno Cantarini, Luigi Socci.

A Fano, sempre negli anni settanta, ci sono autori di qualità: Valerio Volpini, Fabio Tombari, Luciano Anselmi, Arnaldo Battistoni, Franco Battistelli, Giordano Perelli, Aldo Deli, Alberto Berardi, Marco Ferri.
A Macerata è presente Adriano Ciaffi con le sue riviste “Marche Anni Settanta” e “Il Mese”, il laboratorio culturale e politico di “città regione”, la nuova Accademia di Belle Arti con Remo Brindisi, Wladimiro Tulli, Umberto Peschi, Nino Ricci, Elverio Maurizi, Anna Catrina Toni, Ivo Pannaggi, Franco Brinati, Magdalo Mussio, Alfredo Alimenti, Silvio Craia.

A Senigallia dominano Mario Giacomelli, Sergio Anselmi, Marcello Camilucci, Umberto Marvardi, Ferruccio Ferroni, Dante Panni, Fabio Ciceroni, Adriano Rosellini, Elvio Grossi, Giorgio Candelaresi, Giorgio Ciacci.
Una osservazione: negli anni settanta ha ancora un ruolo protagonista la diaspora marchigiana a Roma con Pericle Fazzini, Arnoldo Ciarrocchi, Corrado Cagli, Sante Monachesi, Libero Bigiaretti, Edgardo Mannucci, Raul Lunardi, Elsa de’ Giorgi, Valeria Moriconi, Francesco Vincitorio, Franco Giuli, Fulvio Ligi, Leandro Castellani.

 

 

Gli anni ’70 in Ancona e nelle Marche

 

Gli anni settanta rappresentano il decennio forte di Plinio Acquabona come per altri autori delle Marche perché vi convengono alcuni eventi significativi dei quali è partecipe.
Nel 1970 a Urbino, presso il Convento San Bernardino, nasce un gruppo culturale legato al movimento dei Laureati Cattolici, gruppo che nel 1971 si struttura con la presidenza di don Italo Mancini ed una comunità di molti giovani docenti universitari (filosofi, storici dell’arte e della letteratura, filologi, storici del movimento cattolico, ecc.). Gli incontri del “Circolo Culturale San Bernardino” sono continui, notevoli, impegnativi e seguiti dal mondo universitario urbinate (Carlo Bo ed altri docenti).
Nel 1971/72 Valerio Volpini (con Gino Montesanto, Gennaro Manna, Ludovico Alessandrini, Mario Pomilio, Rodolfo Doni, Raffaele Crovi, Angelo Paoluzi, don Claudio Sorgi ecc.) fonda il Gruppo di Presenza Culturale a livello romano in dialogo con la DC erede della lotta partigiana, antifascista, partito interclassista aperto alla sensibilità del Concilio, in opposizione a collaborazioni politiche reazionarie e di destra. Il GPC organizza convegni con operatori dei maggiori settori culturali (tv, cinema, teatro, editoria, quotidiani, associazionismo, ecc). Nel settembre ’72 ad Alba, presso i Paolini, si tiene il primo convegno nazionale di tre giorni sull’organizzazione della cultura e della vita politica e democratica del paese, patrocinato da don Piero Rossano e animato da Raffaele Crovi, Ermanno Olmi, Remo Brindisi, Cesare Cavalleri, una sessantina di scrittori, filosofi, gente di tv, teatro e cinema. Il GPC si diffonde nelle Marche e ad Alba dalle Marche, oltre a Volpini (l’animatore principale trattenuto in Regione), partecipano Plinio Acquabona e Gastone Mosci. Il GPC nelle Marche si struttura in convegni di vari settori (beni culturali, turismo culturale, centri storici, editoria, letteratura e arte) cui Acquabona partecipa sempre volentieri.

 

 

Carlo Antognini e Plinio Acquabona

 

Nel 1973 Carlo Antognini di Ancona pensa ad una nuova casa editrice, studia, ne fa progetti, incontra gente (Acquabona e Volpini sono gli scrittori di riferimento insieme allo scultore Valeriano Trubbiani). Nasce L’Astrogallo in quell’anno con la riedizione di un libro marchigiano del filologo fanese d’inizio Novecento, Giulio Grimaldi, “Maria risorta”, romanzo marinaresco, con presentazione di Valerio Volpini e disegni e incisioni di Mario Bellagamba. In quel 1973 la grande novità di Ancona sono le belle edizioni di Carlo Antognini: gli autori sono Franco Scataglini, inedito, portato da Acquabona, Valerio Volpini con il suo più bel libro marchigiano (“Fotoricordo e pagine marchigiane”) con disegni e acqueforti di Arnoldo Ciarrocchi. L’Astrogallo è una storia di scrittori e poeti ed anche di incisori. Nel 1974 Scataglini con “Per un frutto piace tutto un orto” diventa per la poesia neodialettale un caso letterario nazionale, Volpini fa conoscere il suo libro in ambito nazionale. La storia di Antognini, critico e editore, è sempre in crescendo, e continua fino alla sua morte nel 1977. Poi, il lavoro passerà alla sorella Fiorisa. Ma nel 1974 per l’arte marchigiana ci sarà un diverso scossone critico di Carlo Antognini con la Mostra e il Catalogo “Marche Arte ’74”, una rassegna straordinaria: il Novecento delle Marche alla ribalta nazionale delle arti con nove autori: De Carolis, Bartolini, Licini, Scipione, Mannucci, Cagli, Fazzini, De Vita e Trubbiani.

 

 

“Il Leopardi” di Valerio Volpini

 

Nel 1973 l’animazione del GPC pensa ad una rivista culturale, ci si incontra, si parla di letteratura, si fanno convegni con Volpini, Acquabona, Fabio Ciceroni, Antognini, Trubbiani, p. Stefano Trojani, Mimmo Valenza, don Italo Mancini, Enrico Moroni, Piergiorgio Grassi, Elverio Maurizi. C’è un altro notevole fervore. Nell’aprile 1973 muore Jacques Maritain, e già nel novembre Alfredo Trifogli con Giancarlo Galeazzi organizza in Ancona un convegno internazionale sul pensiero politico del filosofo francese, caldeggiato da Paolo VI. Vi partecipa l’intellighenzia cattolica e politica italiana e francese, un grande simposio. A metà degli anni sessanta Trifogli aveva fondato in Ancona il Circolo Culturale Jacques Maritain organizzando incontri di rilevanza nazionale.

Quella iniziativa spontanea e necessaria per riflettere sulla politica e la democrazia nel 1973, dopo il Concilio, fu una grande intuizione. Di lì nacque l’Istituto Internazionale Jacques Maritain, avviato da Trifogli, che ebbe un grande sviluppo europeo e americano. Le Marche era una terra fertile per Maritain: Carlo Bo l’aveva tradotto negli anni trenta e a lungo recensito, Volpini era in dialogo con lo stesso (nel 1961 aveva fondato a Fano Il Circolo Culturale Jacques Maritain), don Italo Mancini lo aveva a lungo letto, nel movimento cattolico che aveva aderito alla Resistenza Maritain era conosciuto. In questo contesto opera come promotore anche Acquabona che è compartecipe di una rinascita culturale marchigiana. Aggiungo, nella forma della sintesi, a questi suoi creativi anni settanta la partecipazione ad altri appuntamenti forti:

1974, la rivista “Il Leopardi” (1974/75, 17 fascicoli); Febbraio !977, il convegno a Urbino sulle “Agonie del Cristianesimo” (Morcelliana 1977); Settembre 1977 Plinio Acquabona pubblica “Il punto solidale” (La Locusta 1977), un testo fra teatro poesia e preghiera con presentazione di Valerio Volpini. Nasce allora l’idea del “Teatro dell’Assoluto”, poi con il titolo “La presenza invisibile” (Ancona 1993), e quanto ha realizzato nel teatro.

 

 

Acquabona testimone

 

Acquabona è dunque nella rete delle personalità culturali di Ancona e testimone della vita teatrale e culturale della città, simbolo del recente Novecento anconetano. Sono stato attratto dalle sue competenze e dalla passione per il fare e per la scrittura ma anche per l’amicizia che ha saputo comunicare, studiando, pur rapidamente in questa occasione, la sua opera, ho sentito il desiderio di guardare la città con occhio cordiale dal Guasco, risposta a una specie di invito dell’amico, e di osservare come la vita della città acquisisca sempre più la vocazione e la responsabilità di capoluogo politico e amministrativo della regione, un servizio alla comunità. Nel campo culturale la testimonianza di Acquabona si allinea alle presenze più significative che si sono spese per la città negli ultimi cinquant’anni.
Anni ’60, Ermete Grifoni giornalista e Brenno Bucciarelli editore.
Anni ’70, Plinio Acquabona poeta, Carlo Antognini editore e Alfredo Trifogli sindaco.
Anni ’80, Franco Scataglini poeta, Pietro Zampetti storico dell’arte e Valeriano Trubbiani scultore.
Anni ’90, Giancarlo Galeazzi filosofo e Giorgio Mangani editore.
Anni 2000, Francesco Scarabicchi poeta con “nostro lunedì” (Ia serie).

2014

 

A Pergola con l’Unilit il Centenario di Plinio Acquabona

L’incontro dell’Unilit di Pergola dedicato al Centenario dello scrittore Plinio Acquabona (Ancona 1913-2002) il 26 maggio 2015 nella sala del Consiglio Comunale ha permesso di riscontrare il successo della partecipazione e del contributo culturale. Le attività didattiche annuali dell’Unilit di Pergola, che sono iniziate nel 1996, si concludono sempre con un seminario rivolto ad autori del territorio marchigiano: Acquabona ha conosciuto tutti i protagonisti dei convegni precedenti ed ha vissuto come animatore tante stagioni letterarie del secolo passato.

Nella magnifica sala del Comune ha aperto i lavori il prof. Armando Roia, coordinatore della Sede Unilit di Pergola, poi è intervenuta l’assessore comunale Rita Temperini in rappresentanza del Sindaco, di seguito il prof. Sergio Pretelli, presidente delle otto sedi dell’Unilit della provincia, ha introdotto ai lavori soffermandosi su vari aspetti della vita culturale pergolese. Il seminario vero e proprio è iniziato con il contributo di Maria Pia Acquabona, figlia dello scrittore, sugli Atti del convegno anconetano del Centenario, “Per Plinio Acquabona. Scrittura, tu sarai la mia donna” (Raffaelli Editore 2014), e sul suo personale lavoro di animazione per far conoscere un autore che è riuscito ad interpretare pienamente la letteratura nella poesia, nel teatro e nella narrativa. Un aspetto poco conosciuto di Acquabona è stato presentato dal ceramista Raimondo Rossi: il cultore della grafica e della bellezza, il disegnatore ironico ed acuto del suo immaginario creativo. Il poeta Fabio M. Serpilli, fondatore dei Convegni sulla Poesia Onesta, ha parlato di “Acquabona Antognini e gli scrittori di Ancona” nel segno della poesia neodialettale e di Franco Scataglini, e delle iniziative dell’editrice L’Astrogallo. Una sorpresa palpitante e intelligente ha attraversato il pubblico quando il giovane neolaureato pergolese in Lettere a Urbino, Jacopo Pettinari, ha parlato della sua tesi di laurea su Plinio Acquabona e della sua docente Tiziana Mattioli: ha introdotto alla poesia di “Libertà clandestina” (1965). Ha chiuso il seminario Gastone Mosci ricordando i rapporti fra Acquabona e Carlo Bo insieme allo scrittore molto pergolese Marcello Camilucci e al fanese Valerio Volpini. Una mostra delle pubblicazioni dello scrittore e di due opere artistiche, due incisioni singolari, ha reso ancor più accogliente la manifestazione. Pubblichiamo l’intervento di Jacopo Pettinari e ricordiamo l’applauso del pubblico.

 

ANCONA, L’ASSOLUTO, LA LUCE, L’ALTO

di Jacopo Pettinari

Buona sera a tutti, per me è un onore, oltre ad essere un vero piacere, poter presentare in qualità di pergolese, nella mia città quindi, in questa sede, il mio lavoro su Plinio Acquabona. Ringrazio il Professor Mosci per avermi dato questa occasione, a un anno quasi esatto dalla discussione della mia tesi di laurea.

Ho “conosciuto” Plinio Acquabona casualmente, mentre svolgevo il tirocinio presso la biblioteca dei collegi Aquilone in Urbino, sfogliando l’antologia curata da Luigi Martellini “La poesia delle Marche – Paragrafi per una genesi” del 1982; l’antologia riporta, infatti, alcune poesie di Acquabona tratte dalla sua prima raccolta edita “Libertà clandestina”.
La raccolta, del 1965, è frutto di un lungo e faticoso lavoro di scrittura, testimoniato dal mare magnum costituito dagli inediti di Plinio Acquabona precedenti a “Libertà clandestina”, che rappresenta quindi un “esordio poetico maturo”. “Libertà clandestina” è suddivisa in tre sezioni di 8, 13, 8 componimenti ognuna. Il titolo ci suggerisce la condizione stessa del poeta: uomo inserito in una condizione di clandestinità che ricerca la Libertà attraverso la poesia.
Ho analizzato Acquabona attraverso questa opera perché, come dice giustamente il Professor Mosci, “Libertà clandestina” è la sintesi di ciò che c’era prima e di ciò che ci sarà dopo”.
Il mio lavoro di analisi mi ha condotto alla definizione di “Libertà clandestina” e di Acquabona stesso “tra parola e immagine, tra paesaggio naturale e paesaggio umano”.
Nella poesia di Acquabona, infatti, è presente una continua ricerca e propensione all’Assoluto, attraverso la ricerca della Parola (con la P maiuscola) che si esprime per immagini poetiche. Il poeta attraverso l’atto della scrittura compie appunto il viaggio verso l’Alto e verso la Luce che “è per essere altrove”.
Parola e immagine vivono in assoluta simbiosi in questa sua prima raccolta (edita): le lettere vengono adagiate sulla pagina bianca come il colore sulla tela da parte del pittore (c’è appunto l’amore e il legame di Acquabona per le arti figurative e grafiche).
Le immagini, per mezzo della Scrittura (“la sua donna” per richiamare un suo celebre verso), prendono spunto dal paesaggio umano, archiviato nella memoria del poeta, il quale è incatenato, ancorato al paesaggio naturale anconetano che vive accanto e accompagna il poeta per tutta la sua esistenza.
Infatti Acquabona fu poeta della “residenza”; con questo termine lo distinguiamo da quei poeti che invece a partire dagli anni ’30 subirono il fenomeno della “diaspora”, quei poeti marchigiani (Volponi, Giuliani, Matacotta) che non resistettero al richiamo dei grandi centri culturali ed editoriali, Roma, Firenze, Milano. Acquabona non solo rimase e poetò in loco ma si fece promotore della cultura e della poesia marchigiana; non tutti sanno che curò il primo lavoro di antologia della poesia marchigiana “Dieci condizioni poetiche” del 1957 in cui lanciò un giovanissimo Scataglini.
Il legame con la sua Ancona (per 3 lati su 4 esposta al mare) è forte e vivo in questa prima raccolta, basti pensare che compare in 16 componimenti su 29!
La raccolta si apre con il tema della giovinezza (“Invano allora e oggi”); questo tema comparirà a metà raccolta con “Un’amarezza sempre più fraterna” e alla fine con “A un ragazzo”. Essa rappresenta la vicinanza con l’Origine, con il “melone” (frutto destinato ad essere diviso, si pensi alla sua forma – spicchi disegnati per il taglio); la giovinezza è il recupero delle illusioni e speranze giovanili.
Conseguente al tema della giovinezza troviamo quello dell’amicizia: il paesaggio umano; elemento che compare legato a quello naturale (la rupe, lo strapiombo). L’amicizia sembra essere in Acquabona l’arma contro il sentimento, provato dal poeta stesso, dell’usura del tempo. (“Quell’ora lucente resterà netta per sempre contro l’orizzonte”). “Amici necessari come gli angeli”.

Troviamo altri elementi “umani” (traghetto, ragazzi, lumi), per così dire, che fungono da contorno all’Acquabona osservatore distaccato e rialzato “sull’estremo parapetto”, sullo “strapiombo”, sulla “rupe”. (Acquabona osserva sempre: occhi – vetro – vetrata – pineta).

C’è discrepanza tra l’animo del poeta e la “città scoscesa”, con la sua “fiera”, con le sue “pareti arlecchine” (una delle immagini più belle della raccolta, universale!). L’animo di Acquabona è inserito nella solitudine ed egli possiede, come ogni marchigiano, il gene di Leopardi, una costante interiore che porta il poeta ad un’osservazione silenziosa, solitaria della realtà che lo circonda.

Il silenzio accompagna il poeta, e a sua volta diviene una costante animata in “Libertà clandestina”: il silenzio diventa ventilato (il vento), il silenzio è liquido (il mare); questa costante sembra fermare il tempo nelle immagini poetiche di Acquabona simili ad un quadro metafisico di De Chirico.

Il paesaggio naturale di Ancona, e quindi di Acquabona, è spesso costituito dal mare (metafora stessa del viaggio umano): il poeta subisce con la marina una sorta di imprinting. Sul mare si dipana l’esistenza umana, è l’orizzonte “azzurro”, “cupo”, “brillante” che sembra invitarlo ad intraprendere un viaggio in orizzontale che condurrebbe, però, solo ad “effimeri orizzonti”.(diverso da Ulisse)
Il viaggio compiuto da Acquabona , infatti, è quello compiuto in verticale; è Il viaggio che può “rompere l’esilio” dell’esistenza terrena “usurata” dal sentimento del Tempo.

Attraverso la poesia “l’ascesa” si compie: Acquabona riesce a superare l’usura del tempo, la Morte stessa, che diventa momento del ricongiungimento con l’Assoluto, con l’Infigurabile, con la Luce: “E Iddio apparirà nella sua infinità Infigurabile”

“Libertà clandestina” è necessaria e fondamentale per la comprensione della poesia successiva che potrebbe risultare rarefatta, astratta e non comprensibile nell’immediato. La poesia successiva infatti, avvicinandosi all’Assoluto, subirà un progressiva smaterializzazione, una rarefazione dell’elemento materico.

Lo sfondo della poesia di Acquabona è infatti costituito dalla fede cristiana; su questo sfondo si muovono l’elemento naturale ed umano che costituiscono il punto di partenza necessario allo slancio verso l’Alto, la Luce e l’Assoluto.

“Libertà clandestina” costituisce l’inizio del viaggio intrapreso da Acquabona per mezzo della poesia e della scrittura, un viaggio in verticale, verso la LUCE (la parola più frequente nella poesia di Acquabona; contate tutte le parole personalmente e inserite in una tabella!!!) dovuto alla presa di coscienza che il viaggio orizzontale, per mare, porterà solo “ad effimeri orizzonti” (altro verso celebre). Acquabona nell’ultima poesia di “Libertà clandestina” scrive: “si prosegue ma solo verso l’alto”.

Il mio lavoro di tesi, e quindi questo intervento, non sarebbero stati possibili senza la signora Maria Pia Acquabona la quale con affetto materno mi ha messo a disposizione il suo tempo, le sue conoscenze, i testi di suo padre, la sua casa … ringrazio inoltre il Professor Fabio Ciceroni (oggi purtroppo non presente in loco) per avermi fornito testi su P. Acquabona, per i suoi consigli e per la sua cara attenzione e disponibilità.

Jacopo Pettinari