Urbino a Tavola frontespizio
Urbino a Tavola di Ramoscelli e Centanni

Urbino a tavola e la civiltà ducale

in Costume

“Urbino a tavola” e la civiltà ducale

Urbino a Tavola di Ramoscelli e Centanni

L’ennesimo libro di Ramoscelli e Centanni è un contributo alla storia della cucina ed alla cultura del territorio. E’ un libro bello che fa pensare: ricco e luminoso nella sua impostazione editoriale e graficamente intrigante. “Urbino a tavola” (Confcommercio 2013) di Gianfilippo Centanni, giornalista, e di Rolando Ramoscelli, enogastronomo, è un’opera rivolta principalmente al lavoro della cucina e alla convivialità della tavola/. E’, però, un libro impegnativo che attraversa il Rinascimento in quanto passaggio di civiltà, come anche l’altra loro grande realizzazione editoriale, “Le Marche fuorilegge. Storie di briganti, cucina e osterie” (Edizioni Cucina Dialettale “Da Rolando” 2010), uscita per il 150° dell’Unità d’Italia, altro passaggio epocale, un grande contributo che occupa la dimensione culinaria e quella sociale e politica. In altre parole: in questi libri si sa tutto di Urbino e, per il secondo, del brigantaggio di confine insieme alle avversità dell’abbandono pontificio ed alla occupazione dello stato unitario. La cucina entra nelle sale del potere e nelle case del popolo, nel dialogo fra la corte e la vita della popolazione. 220 ricette dell’ urbinate e pesarese contro 330 del territorio regionale.

 

Due libri per le Marche
Urbino e le Marche hanno due loro opere cui fare riferimento anche per ragioni storiche e di civiltà. L’orizzonte profondo di “Urbino a tavola” rappresenta la cultura nelle sue espressioni, l’arte, la convivenza umana, la pace, il primato della musica. Tutte sollecitazioni che appartengono alla nostra antica tradizione, dall’epoca italica e preromana – quella villanoviana di Novilara – fino alla realtà dell’antica Via Flaminia, che ha traghettato il diritto ed il commercio, ed ha generato la civiltà dell’alto medioevo e del Metauro con la spiritualità dei monaci di San Benedetto e dei frati di San Francesco. C’è, poi, una unità sociale che trova il suo splendore con il duca Federico, il genio dei Montefeltro, che prospetta l’altra grande realtà antropologica – dopo quella del Metauro – quella del Foglia e del Marecchia, vale a dire l’intero Montefeltro.

 

Il ruolo dei Montefeltro
Con i Montefeltro si realizza – all’interno della Stato di Urbino – il riconoscimento di una unità sociale, culturale e di cittadinanza: il grande Montefeltro viene da questa prima unità di un territorio pedemontano a pettine con il Metauro e il Foglia e con il largo Marecchia che circonda San Marino. Questa immagine si consolida nella lotta fra i Montefeltro e i Malatesta. Urbino e Rimini sono le capitali di un territorio allora immenso. Quando il simbolo del potere si espresse – dopo il Palazzo Ducale – con la Rocca di San Leo, sembrava che i giuochi per la supremazia fossero fatti. Urbino per due secoli ha rappresentato il luogo di una civiltà inedita fra la metà del Quattrocento e del Seicento, di una rivoluzione del sistema urbanistico e culturale. A Urbino è nato il Rinascimento della corte di Federico, poi il Rinascimento matematico dell’Adriatico. In questo grande contesto affondano le radici i libri di Ramoscelli anche in virtù della cucina che subisce il fascino del nuovo mondo della convivenza, dove si raccolgono le tradizioni e le esperienze dell’alimentazione e della operosità nella cucina.

 

Pivato, “la cucina ha un grande futuro: il suo passato”
In questo contesto, una riflessione viene dal rettore Stefano Pivato con la sua presentazione accattivante e amabile all’insegna della tesi: “la cucina ha un grande futuro: il suo passato”. Il cuore del rettore di Urbino batte per Pellegrino Artusi, per l’arte della cucina, l’arte del mangiare e l’arte del vivere. La civiltà urbinate attraversa questo stesso sentimento: vivere in sintonia con la bellezza, con la città, con il paesaggio, non solo con l’operosità umana ma anche con l’ispirazione della natura, l’amore per l’ambiente. Per queste ragioni la cucina di Rolando “va dalle dispense della corte del Duca Federico fino al cuoco dell’Albergo Italia”, tanto apprezzato da Carlo Bo. Va però sostenuta anche una novità tutta urbinate, dice Pivato: a Urbino la cucina della città e dell’università viene arricchita dalle tradizioni portate dagli studenti nelle pensioni familiari dove vivono: la cucina diventa più ricca e nello stesso tempo la famiglia urbinate svolge il ruolo di conservare le tradizioni e le varie acquisizioni culinarie, è la “memoria della cucina”. Una tale suggestione storica e di convivialità poteva venire solo da uno spirito aperto alle grandi esperienze umane e della cultura come lo storico Stefano Pivato, l’acuto studioso della storia materiale e sociale fino ad ora sepolta nella gestione della quotidianità. Fra l’altro egli fa riferimento a specialissimi scrittori romagnoli come Alfredo Oriani e Bruno Cicognani, che ci fanno ricordare il Fabio Tombari di “Tutta Frusaglia”.

 

Con Paolo Volponi, Carlo Bo, Umberto Piersanti, Calavalle, Pretelli, Duca, Rossi
Questa riflessione generale apre le porte di Valbona e ci fa entrare in Urbino con la poesia di Paolo Volponi, “L’orlo” (Nel silenzio campale, 1990), che Ramoscelli pone a emblema della città. Il “cosa vedo” di Volponi dalle mura, dal torrione Volponi, è interpretare l’Italia, il paesaggio dall’Appennino al mare, la situazione spirituale della gente, la vita di ogni giorno, la fatica del lavoro. Altre testimonianze rendono ricco il racconto del mondo urbinate disponibile alla convivialità, come Carlo Bo che si pone di fronte alla “sua” insalata, Umberto Piersanti nella memoria della sua Cesana, Alberto Calavalle che ricorda il suo “Tempo dei cavalli”, Sergio Pretelli gli appuntamenti in trattoria, Germana Duca lo spirito della cucina urbinate. Per l’arte vi sono gli ex libris del Centenario Carlo Bo di due giovani dell’Accademia B.A., Riccardo Tonti e Giulia Sensi, il sontuoso gallinaccio di Raimondo Rossi, le foto di Roberta Ramoscelli, la copertina di Macio Giovanelli, le pitture giovanili del grande cuoco Rolando.
Gastone Mosci