Fano, Franco Fileri espone a San Michele
1.
UNA RIFLESSIONE DI FILERI: LA SCUOLA DEL LIBRO
Gent.mo Professor Mosci,
la ringrazio sinceramente per l’attenzione che intende dedicarmi data la mia estraneità superata per l’ amicizia comune con Franco Porcelli di “Sestante”, a cui devo riconoscenza per la stima che mi riserva.
Faccio riferimento alle poche parole che ci siamo scambiati al telefono per entrare nell’ argomento “Scuola del libro”, a cui ho fatto cenno ma che intendo relativizzare nel suo significato.
L’ importanza che io attribuisco a quella esperienza è ormai molto lontana e l’ attività lì svolta ha significato l’ impegno ad affinare doti per le quali ero stato indirizzato ad Urbino dal Professor Giorgio Ciacci e dal quasi amico Vittorio Gatti. Nei più di quarant’ anni seguiti non ho più fatto esperienze artistiche, avendo lavorato a tempo pieno, anzi pienissimo, come grafico pubblicitario nel mio Studio Focus a Senigallia.
Ritengo la mia impronta di oggi molto più dipendente da questo lungo lavoro, dove ho imparato a gestire il rigore, la semplicità compositiva e soprattutto il contenuto intrinseco dell’ immagine prodotta, la sua forza comunicativa che deve coinvolgere l’osservatore e, anche quando questi non ne cogliesse il messaggio, sollecitarne la meditazione.
La caratteristica urbinate che più mi ha condizionato è l’ umiltà. Devo al Professor questo imprinting; ricordo il suo primo ingresso nell’ aula di lito e le sue prime Ceci parole dopo un cordiale saluto alla classe: Guai a voi se sento la parola “artista” in quest’ aula.
Così io ho abolito dal mio intercalare questo termine e la presunzione che ne deriva usandolo. E’ per questo che ho iniziato solo da alcuni anni, stimolato da amici pittori, a mostrare i miei lavori per altro tutti successivi al 2005.
Ho ricevuto subito apprezzamenti per me importanti, per cui sto continuando questa attività.
Ad Urbino devo anche l’ emersione di emozioni che già cercavo come il sentire l’alito rinascimentale dell’ ambiente avvolgente, dal Mercatale a Valbona da dove sale la nebbia nera ricordata da Volponi; al palazzo ducale con le aule della scuola sparse nella ramificazione architetturale: da “figura” nelle soffitte, a “xilo”, a “tipo” nelle cantine. E gli insegnanti, ancore epici: Carlo Ceci, col suo “bianco che diventa colore”, Arnaldo Battistoni, Enrico Ricci, Giorgio Bompadre coi suoi primi disegni a penne biro colorate che confrontava con l’amico Enrico, e poi Franci, e Sanchini, e Bruscaglia con la punta secca lanciata e vibrante sulla lastra.
Tutti personaggi che, secondo me, hanno vissuto loro malgrado la massificazione di una scuola che andava perdendo la sua aseità, la sua sacralità.
Per me il termine “artista” ha contenuto di sacralità: si può pensare Raffaello come un santo nell’ arte, così Castellani, così Valentini, nelle loro dimensioni e nel loro tempo, tutti con la loro “umiltà di maestri”.
Questo devo ad Urbino, la conferma di valori che appartengono a tutti o meglio, a chiunque voglia averne consapevolezza. E a questo io tendo, alla consapevolezza.
Con profonda stima
Franco Fileri
FILERI NELLA CULTURA SENIGALLIESE
di Gastone Mosci
Fileri ha comunicato la sua piena esperienza scolastica che si arricchisce e si trasforma con il suo lavoro di designer, di grafico della pubblicità in un luogo, Senigallia, votato alla comunicazione delle esperienze culturali ed alla riflessione ed alla ricerca di continue novità. La città vede e assorbe la presenza di fotografi come Cavalli e Giacomelli e Ferroni ed altri sempre più autorevoli; di scrittori come Puccini, Camilucci, Sergio Anselmi, Sandro Genovali, Renzo Paci, Elvio Grossi, Fabio Ciceroni; di artisti come la Diamantini, Dante Panni, Giorgio Ciacci, Schiavoni, Enzo Marinelli, Vittorio Gatti, Francesco Gabriele, Aroldo Governatori, Luciano Casaroli, Gabriele Bonazza, la Bartolini, Bastari. Inoltre altri operatori culturali di qualità e di prestigio nel teatro, nella musica, nel cinema, nella tv, nello spettacolo; poi, architetti, e tipi come Mario Angelini e Bugatti e Franco Porcelli. Ne ho dimenticati tanti, ma è questo insieme, unitario, che crea la cultura senigalliese, che la rende operosa e viva, fra personalità d’eccellenza, tradizione ed una rete sensibile . Oggi Senigallia è distrutta e offesa dalle calamità naturali, ma già si riprende e allontana il disastro, prima di tutto con il suo spirito solidale, con l’animo della gente di mare e della campagna.
Fileri vive e cresce in questo contesto di società aperta: lavora e si abbandona alla cultura antica, greca e romana, delle civiltà del Mediterraneo e del Medio Oriente fino alla Mesopotamia e all’India. Questo artista sorprendente costruisce mentalmente la sua scommessa fra l’archeologia e il mare, fra le nervature e il colore delle pietre e le domande della sua anima. Carlo Ceci gli fa capire che il bianco può diventare colore, la litografia gli insegna l’uso degli oli e dei suoi riflessi di luce. Anche la fotografia lo aiuta a cogliere e a sviluppare la profondità delle sue pitture. Dice di aver dimenticato la Scuola del Libro, invece riaffiora sempre, racconta i volti dei suoi maestri. La malìa del Rinascimento, del Palazzo Ducale è un nutrimento: appartiene a chi è cosciente e ricco di volontà, testimone della bellezza e della pace, della musica e dell’universo intero.
Gastone Mosci
UNA SCHEDA DAL CATALOGO
I dipinti di Franco Fileri suscitano sensazioni che emergono da paralogismi creati in conformità ai miti e alle realtà della memoria collettiva.
I temi hanno aspetto di indagine archeologica, ma non sono reperti quelli esposti, sono il mito che simboleggiano, la conoscenza che esprimono, la cultura che testimoniano.
Attraverso la texture della pietra, la sua impressione quasi tattile, passa la comprensione delle esperienze vissute, il percepire, il ricordare, l’immaginare.
2.
PER COMPRENDERE GIULIANO GARATTONI
di Alberto Berardi
Ancora Urbino, sempre Urbino. Nello specifico tre nomi. Giorgio Bompadre, Enrico Ricci, Carlo Ceci. Artisti veri ed aule come botteghe del Rinascimento.
Per comprendere bene Garattoni e la sua arte non bisogna dimenticare l’industria, quella editoriale (Casa editrice Curcio) per cominciare e quella del mobile per concludere.
Dal pezzo unico alla tiratura senza fine. Gli attrezzi dell’artista-artigiano scompaiono e si affermano macchine sempre più veloci, la produzione a salire fino a toccare vertici fino a ieri impensabili.
Garattoni è riuscito a sposare i due secoli, quanto è consapevolmente difficile da stabilire. Personalmente penso che si sia abbandonato all’istinto seguendo le grandi firme dell’industrial designer.
Un grande fiume che porta con sé tutto ciò che incontra nel suo cammino non dimenticando mai Urbino, la Città Ideale.
Ed ecco la sintesi.
Giuliano Garattoni: designer,
Giuliano Garattoni: art director.
Testimone del suo tempo e del momento in cui qualcuno cominciò a riflettere sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Questa la chiave del tutto.
Alberto Berardi