Farella e Rossi
Farella e Rossi

Urbino, 10-23 maggio 2014 Ceramica con Raimondo Rossi e Guido Farella alla Galleria Barocci

in Arte

Urbino, 10-23 maggio 2014 Ceramica con Raimondo Rossi e Guido Farella alla Galleria Barocci

Raimondo Rossi e Guido Farella

 

Farella e Rossi

 

 

1.

UNA FORTE NOSTALGIA DI CERAMICA

di Gian Carlo Bojani

Costretto, oggi, da un non ingombro ad evitare di tirarla per le lunghe, rimando
ad altra occasione una più che opportuna riflessione sull’opera ceramica
di Raimondo Rossi. Innanzitutto debbo dire che la ceramica a Urbania/
Casteldurante è generalmente – con qualche rara eccezione – tutt’altra
cosa dalla sua perché se c’è una tradizione che Raimondo ha assunto in
sè, essa non è certo quella rinascimentale, qui così cogente, così difficile a
bjpassare, ma è una tradizione assai più recente, squisitamente moderna –
e non postmoderna – e per la precisione quella di carattere internazionale
della seconda metà del XX secolo, e precisamente del secondo dopoguerra
del secolo scorso. Ovviamente, ho da dire, che faccio riferimento a Picasso
e alla temperie estetica che lo ha compreso, nella sua notissima vulgata
direi, nelle stilizzazioni geometriche che hanno caratterizzato il ‘magister
maximus’ di Vallauris, nelle sapienti caratterizzazioni postcubiste, nelle
scomposizioni e nei rovesciamenti, nella sovrapposizione e accostamento
di piani diversi fin via via all’astrazione, alla matericità, alle suggestioni informali
alla Leoncillo, alla Fontana, e così via. Ed è curioso, …

Novembre 2010

Gian Carlo Bojani

 

2.

IL PAESAGGIO FIABESCO DI RAIMONDO ROSSI

di Giulia Incisa Aloisi

Dopo un tripudio di gialli e rossicci colori autunnali è arrivato in sordina
l’inverno con il suo carico di biancore, con i suoi rami spogli protesi al
cielo dai toni indefiniti, tra il grigio e l’azzurro tenue… Ogni colore si stempera,
l’atmosfera si fa evanescente, i rumori si smorzano, persino i volti
hanno contorni meno marcati. E’ la magia di quei mesi amati, anche un po’
temuti per il freddo che portano… Mesi che passano tranquilli fra le mura
delle case ovattate in mezzo alla campagna imbiancata di neve: paesaggio
fiabesco per chi ha occhi romantici e un po’ nostalgici… può portare
un senso di melanconia l’inverno, ma quanta pace regala! Il tempo pare
rallentare la sua folle corsa, i pensieri e gli incontri si fanno più profondi
alla luce della fiamma di un camino acceso che scalda la casa ma anche il
cuore… Ci si sente protetti, non si temono quei lunghi giorni che riportano
alla mente i ricordi perché ricordare è bello e la piccola casa silenziosa diventa
così la nostra “culla” dove riposeremo fiduciosi e tranquilli in attesa
della rinascita: la nostra e della natura, a primavera. Sono le certezze che
ci regala l’inverno mentre guardiamo la “danza” dei fiocchi di neve attraverso
i vetri di una casa amata.

Novembre 2010

Giulia Incisa Aloisi

 

 

Raimondo Rossi - segnalibro

3.

RAIMONDO ROSSI E LA PITTURA DI PITTURA

di Mariano Apa

 

La pittura dello scultore Raimondo Rossi è tutta pittura di pittura, priva di
rimandi plastici, dimentica di volumetrie luministiche che così mediterraneamente
caratterizzano la sua pratica plasticosculturea. Qui le pennellate
sono fendenti forti, certo come da ricordare il taglio netto delle sforbiciature
di Ciarrocchi o come talune prospettive liminari di Bruscaglia. Ma qui
siamo, invece, proprio in un’altra lingua. La sua pittura è altra sintassi, altra
grammatica. La originalità di Raimondo è tutta sua. Splendidamente sazia
della propria solitudine vissuta nella sapienza della melanconia. In questa
pittura ci si trova dentro un Montefeltro riletto con gli occhi di Matisse, con
un sentimento struggente che non teme di rimanere strozzato nel disincanto
della bellezza perfetta consapevolmente compresa irraggiungibile.

Ed in ciò vive, in Raimondo, quel sentimento francese che è stato del Gide
sfrontato di Bo o dell’inquietudine di un Péguy così caro a Mosci. La sua
è pittura senza infingimenti letterari, escludendo scorciatoie veterointellettuali.

É pittura severa. Come la sua scultura matissiana, questa pittura
dell’artista urbaniese, è pittura barocciana. Le pennellate larghe organizzano
lo spazio per campiture cromatiche. La sintassi compositiva è ben…

Novembre 2010

Mariano Apa

 

 

 

4.

GUIDO FARELLA: DALLA TERRA… L’ANIMA

di Raimondo Rossi

 

Guido Farella mi ha chiesto che dettassi la presentazione a questa sua mostra, e l’ho esaudito. Non solo, ma ha insistito che salissimo insieme fino a Urbino a presentare le sue e le mie ceramiche, partendo da Urbania, in cui continua la tradizione dell’antica ceramica di Casteldurante.

E’ riuscito, dunque, a convincermi e così sia. In questo modo siamo stati accolti nella bella “Galleria Barocci”, all’interno del prestigioso e poetico palazzo del Collegio Raffaello.

Visitando il suo laboratorio mi chiedevo: ma questo artista dove è andato a finire? In Corea? In qualche altra sconosciuta parte del mondo? Perché avevo letto Peter C. Swann sostenere che da quel paese, dalla Corea, era giunta in Giappone la ruota del vasaio. E nella stessa pagina della bella edizione “Il Marcopolo, l’opera più completa delle civiltà extraeuropee” (Il Saggiatore, 1966, p. 20), avevo visto, riprodotte a disegno, due coppe di ceramica ‘Sue grigia’ simili ai bracieri di Farella. Chissa se la mia intuizione sarà giusta!

Ma, venendo a noi, parlando di Guido Farella, si presentano due chiavi di lettura: quella tecnica e quella simbolica. Ambedue sono degne di grande interesse e curiosità.

Si potrebbe cominciare col chiedersi chi è Guido Farella, ma questo varrebbe per ciascuno di noi. Tutti, credo, l’umanità intera, resta avvolta nella nebbia del mistero sul perché della sua esistenza, del suo fine; sul perché tutti i giorni sorge il sole:i fondamentali. Ma ci sembra giusto non andare oltre e sfiorare appena, come premessa, tali domande, per scendere a più miti consigli e osservazioni.

Esaminando l’opera di Farella salta subito all’occhio la scelta decisa dei suoi temi, che puntano all’Archetipo, un salto all’indietro, il tentativo di scoprire i segreti dello spirito attraverso i ricordi di grandi civiltà e le intuizioni avute da uomini lontani dal nostro mondo occidentale. Ecco, forse, il motivo delle sue architetture, condensate in piccoli pensieri che ricordano i Templi.

E diremo del rigore del suo modellato, la sua capacità di essere preciso, di non sbavare mai, di approfittare della ceramica per trovare toni giusti e sfumature dolci di colore che, in Farella, richiamano l’ascetico. Non è certo, la sua, una mostra di evasione. Credo che la sua opera tenda a una grande speranza di vita

Raimondo Rossi