Il filosofo Italo Mancini
Il filosofo Italo Mancini

21. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 16 maggio 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

21. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”

 

 

Bartolo Ciccardini

LA BRIGATA MAJELLA

LA NUOVA LETTURA DI BARTOLO CICCARDINI

La lunga guerra della Brigata Majella ed il suo particolare compito di controllare le zone montane a salvaguardia delle formazioni alleate e di intesa con la Resistenza partigiana e civile.

 

Nel 1943, i reparti tedeschi, cacciati da Napoli, organizzano precipitosamente una linea di difesa sul Garigliano. Concentrano le loro forze a Cassino, ma per non essere presi alle spalle devono chiudere la linea da un mare all’altro nella direttrice in cui si trova il Parco nazionale degli Abruzzi, la Majella, il Sangro fino a Termoli.

Nelle montagne più riposte d’Italia si consuma una tragedia di cui si è perso dolorosamente e colpevolmente il ricordo: i tedeschi fanno saltare i paesi e si fortificano sulle rovine, compiono stragi di intere popolazioni, si accaniscono contro donne e bambini. Fanno terra bruciata per non aver ostacoli nella difesa.

Gli abruzzesi si ribellano e nasce una resistenza tutta particolare, che non nasce per disturbare gli occupanti, ma che difende i propri paesi e le proprie famiglie, affrontando in campo aperto i nemici.

Non si chiamano partigiani, (il nome era ancora sconosciuto) e non son partigiani, perché non usano la tattica della guerra partigiana, ma vogliono combattere come una formazione militare presente in campo.

 

Il piccolo esercito della Majella

Nasce cosi il piccolo esercito della Majella che avrà caratteristiche uniche nella storia della Resistenza, per questa loro pretesa di riconquistare subito il proprio paese. E si danno il nome di Patrioti.

La zona in cui operano è praticamente vuota: il Re e Badoglio sono a Brindisi, ultimo lembo dell’Italia non occupato dai tedeschi, e non hanno ancora messo in campo forze capaci di operare; gli Alleati sono a Salerno ed a Napoli e cercano di arrivare il più presto possibile a Roma; gli stessi tedeschi sono in quei monti solo per creare una disperata linea di difesa e per rallentare la corsa degli alleati verso il Nord.

I patrioti della Majella chiedono armi e mezzi per combattere. Ma gli Inglesi, che in quel momento sono al comando delle forze alleate, hanno molti dubbi. Non hanno stima dei combattenti italiani, non molto fretta di dare agli italiani una possibilità di riscatto, sono sospettosi verso le posizioni politiche che a loro sembravano di sinistra, temevano di concedere le armi a forze che, alla fine della guerra, le avrebbero potute usare contro di loro.

 

 

La Brigata Majella fra CIL e Esercito

La realtà era diversa. I capi della Majella erano socialisti (l’avvocato Ettore Troilo era stato collaboratore di Matteotti) e repubblicani ( si definivamo Mazziniani). Fra i volontari c’erano tutte le tendenze politiche, ma avevano in mente di costituire una forza militare disciplinata ed apolitica, nonostante che questo parola fosse inesatta. Infatti era politica la scelta antifascista e la pretesa di non accettare la monarchia.

Questo creerà altri problemi quando verrà il momento di inserire la brigata Majella nel CIL (Corpo Italiano di Liberazione) che faticosamente si stava riorganizzando nel Sud. La Brigata Majella ebbero con il CIL un rapporto amministrativo, ma pretese ed ottenne una completa autonomia operativa. E questo non suscitò grande simpatia nei Comandi dell’esercito, anche se il loro contributo fu sempre riconosciuto ed apprezzato.
Ma non sorprendiamoci troppo. Era esattamente questo il rapporto tra i volontari Garibaldini e l’esercito piemontese nelle guerre del Risorgimento. A buon titolo la Brigata Majella entra nella tradizione delle formazioni dei volontari che hanno caratterizzato la storia italiana.

 

 

Una formazione di volontari: bisogno di soldati

Finalmente gli inglesi accettarono di far combattere i patrioti della Majella, per una ragione molto semplice: perche avevano bisogno di soldati che conoscessero il territorio, che avessero una grande mobilità, che andassero a piedi senza consumare benzina e che facessero a meno di ricambi e di strutture di sostegno. Lasciarono i capi che erano stati scelti dai soldati, ma li misero agli ordini di tre ufficiali inglesi , come in un qualsiasi reparto di indigeni nelle guerre coloniali.

 

 

Agli ordini degli inglesi

Possiamo dare questo giudizio senza timore e falsa prudenza, perché i tre ufficiali inglesi si convinsero del valore del coraggio dei soldati abruzzesi, ne chiamarono altri ad arruolarsi, li difesero nei confronti delle gerarchie alleate ed italiane ed uno di loro, il capo, maggiore Wigram mori combattendo con loro nella impresa più difficile. Non solo, ma dopo aver impiegato il piccolo esercito abruzzese per riconquistare i loro paesi distrutti dai tedeschi, li portarono a liberare le Marche ed a sfondare la linea gotica, facendo nuovi arruolamenti fra gli abruzzesi.

Un piccolo esercito abruzzese
La Majella restò un piccolo esercito abruzzese: solo un reparto marchigiano, fatto da partigiani marchigiani che avevano combattuto con loro, ebbe l’onore di entrare a far parte della Brigata Majella.
E parliamo della piccola guerra di questo piccolo esercito “garibaldino”. Come Garibaldi a Varese ed a Bezzecca si fecero subito conoscere per il valore e la mobilita.
Nella zona in cui operavano, che era anche la loro piccola patria, liberarono Civitella Messer Raimondo, Lama dei Peligni, Gessopalena, Torricella Peligna, Fallasco, Montelpiano Fallo e Quadri.

 

 

Operavano in un vasto territorio di montagna

Molte di queste località furono strappate ai tedeschi e rimasero sotto il loro controllo. Ma dobbiamo capire che non c’era un fronte stabile e definito: erano pochi uomini in un territorio grande e montagnoso, senza basi di approvvigionamento, senza riserve e cambi, senza una vera base di comando, per cui la situazione era continuamente variabile e sempre esposta a contrattacchi e sorprese. Era però importante che essi conoscessero i luoghi, godessero della fiducia della popolazione, si occupassero con amore delle genti disperate ed oppresse che erano anche le loro famiglie. Questo li rese indispensabili e non furono più figli di nessuno.

 

 

Il primo caduto

Il 17 gennaio 1944 fu ucciso il primo patriota. Il 31 gennaio iniziò l’attacco al caposaldo di Pizzoferrato. Il 2 febbraio fu liberata Quadri, il 4 febbraio i tedeschi furono cacciati da Pizzoferrato. In quell’azione morì il Maggiore Wagram. A marzo il Comando militare italiano del Governo Badoglio, il Generale Messe chiama Ettore Troilo per inquadrare la “banda”, nel Regio Esercito. Troilo rifiuta il giuramento al Re, ma si arriva ad un accordo fra formazioni autonome. I Comandi militari si orientano verso un naturale ed ovvio scioglimento della “banda” con il prelievo dei soggetti alla leva, ma il generale Messe decide di procedere “con tatto e senza fretta”. Probabilmente tutti pensavano che con l’avanzare del fronte la “banda” si sarebbe sciolta da sola. Non avevano fatto i conti con le necessita della guerra.

 

 

Una formazione partigiana agile

Con un fronte non solidificato e non ben definito cha andava dal Mar Tirreno al mare Adriatico, segnato da posizioni forti con grandi spazi aperti nelle zone montuose, una formazione agile, poco pesante e mobilissima capace di controllare il territorio sarebbe diventata preziosa. Nel frattempo la banda presidia e riordina i territori conquistati. Questa operazione si conclude il 13 Giugno a Sulmona.
Gli inglesi si trasferiscono altrove e vengono sostituiti dai polacchi a cui è affidato il compito di conquistare Ancona.

 

 

I polacchi guidano gli Alleati verso Ancona

I polacchi hanno fatto una esperienza terribile: prigionieri dei sovietici nel 1939 (quando furono occupati ferocemente da tedeschi e russi), son stati trasferiti in Iraq, dopo l’accordo tra alleati e russi, e sospettano di tutte le formazioni in cui militino anche dei comunisti. Sono sospettosi ed esigenti, ma la Majella non è pronta ad inserirsi nel Regio Esercito (che comunque l’avrebbe sciolta e magari avrebbe processato qualcuno per diserzione) ed anche i polacchi avevano un problema di uomini dopo le terribili perdite della battaglia di Cassino: così decisero di portarsi gli Abruzzesi con sé.

 

 

Nuovi arruolamenti nella Brigata Majella

Anzi, permisero anche nuovi arruolamenti, ma solo nella zona di origine. Fu solo la mancanza di munizioni per il disordinato e vario armamento di cui la Majella disponeva impose una limitazione al numero esuberante di richieste. In questa occasione presero il nome di Brigata. E diventarono l’ala sinistra mobile dello schieramento polacco.
Il colonnello Lewicki, il 18 giugno, ne assunse il comando e divenne, con la sua relazione, lo storico della Brigata oltre che l’ammiratore.

Il 19 giugno il Corpo polacco si dirige su Pescara, il Corpo Italiano di Liberazione (CIL) si dirige su Ascoli, il corpo inglese si muove per l’occupazione di Terni. Fra gli italiani e gli inglesi c’è uno spazio montuoso largo trenta chilometri che la Brigata Majella, partita verso Teramo, più lentamente dovrà controllare. La marcia si concluderà il 2 settembre con la conquista di Pesaro, senza che la Majella abbia mai avuto un cambio, una giornata di riposo, una pausa.

 

 

Un paese fra Abruzzi, Marche e Umbria verso Arquata del Tronto

C’è un punto particolare in Italia dove si incontrano tre Regioni: gli Abruzzi, le Marche e l’Umbria. È un paesaggio bellissimo, è una zona montuosa, riservata e civilissima. Da lì la brigata Majella raggiunge l’Arquata del Tronto il 25 giugno. Il 27 la brigata riconquista Montefortino. Il 28 giugno sono a Caldarola e nei giorni successivi, insieme al corpo polacco risale l’intera Regione.

Nella zona montuosa non c’era un fronte ben definito ma ci si poteva scontrare con delle posizioni fortificate. Dopo un primo vero scontro a fuoco con i tedeschi la brigata occupa Serra Petrona, Belforte, e si organizza per bonificare e controllare la zona.

 

 

Nella zona di Loreto

Mentre i polacchi risalivano le Marche verso Loreto ed il CIL si allineava verso Filottrano, la Brigata Maliella che aveva di fronte a sé uno spazio vuoto prosegue spingendosi fino al fiume Potenza ed il 3 luglio occupa Tolentino e San Severino. Il 3 luglio la Brigata si scontra con i tedeschi a Castel San Pietro. Un gruppo espugna Serralta per aprire la via verso Cingoli, l’altro occupa Aliforni bloccando la strada verso Frontale. Facendo da cerniera, la brigata prende contatto con gli inglesi (il 120° Reggimento lancieri) lungo la strada San Severino-Castel Raimondo, e dalla loro sinistra, con il CIL lungo la S. Severino-Tolentino.

È da notare che in tutta questa avanzata la difesa tedesca usava molto l’artiglieria mobile mentre una brigata disponeva solo le armi di piccolo calibro.”Quindi era costretta ad operare nelle ore notturne mediante rapide azioni di sorpresa”. ( La Guerra nelle Marche 1943-44, Sergio Sparapani).

 

 

Molte formazioni partigiane

(Nota a parte. La brigata Majella ebbe anche un compito importante di coordinarsi con le formazioni partigiane del luogo, operazione che comportava anche grossi problemi. Alcune formazioni si aggregarono alla Majella, e solo ai partigiani marchigiani fu concesso di entrare a far parte del corpo. In quella zona c’erano diversi campi di concentramento da dove erano usciti prigionieri di diversi paesi. Fu affidato alla Majella anche il compito di disarmare dei gruppi non affidabili. Nel diario del colonnello Lewicki viene ricordato un episodio di cui non c’è traccia nel diario del comandante Troilo.

 

 

Lewicki a Matelica e Cerreto

Lewicki racconta che a Matelica una pattuglia venne sorpresa da una compagnia tedesca e vi fu uno scontro a fuoco. Io allora ero a Matelica e non ho avuto mai notizia di questo episodio.

Però un episodio analogo accadde, sul fronte di Matelica, a Cerreto d’Esi. Questa località, abbandonata dai tedeschi si era trovata nella terra di nessuno perché le truppe alleate erano ritornate alla base di Matelica. Era rimasta nel paese una pattuglia partigiana. Ci fu effettivamente un attacco tedesco notturno, vennero presi prigionieri alcuni partigiani, all’uscita del paese ci fu uno scontro a fuoco, dove morì il partigiano di guardia, Giuseppe Chillemi, alcuni partigiani si salvarono sfuggendo la cattura nel momento dello scontro, ma tre di essi furono trascinati via ed alcuni giorni dopo uccisi per impiccagione.

Cerreto d’Esi dista da Matelica solo sette km ed i reparti alleati che lo avevano conquistato erano posizionati a Matelica. Forse l’episodio citato dal Colonnello Lewicki potrebbe essere proprio questo. Ma i partigiani tenuti prigionieri non erano abruzzesi ma marchigiani ed il partigiano messo di guardia che fece fuoco sulla pattuglia tedesca era siciliano).

 

 

L’attività della formazione abruzzese

Il 19 luglio fu conquistata. Gruppi tedeschi si erano ritirati ad Apiro nella zona che nei mesi di febbraio e marzo era controllata dalla formazione partigiana del Comandante Agostino.
Cingoli fu conquistata e poi ripresa dalle truppe italiane e dai reparti polacchi. In quelle operazioni la brigata Majella ebbe il suo primo caduto in terra marchigiana. Secondo il diario di Lewicki furono gli abruzzesi ad entrare a Castel San Pietro. Furono proprio sotto le operazioni della Brigata Majella che andava da Apiro, Poggio San Vicino, Poggio San Romulado-Almatano, il 15 luglio le forze della Majella li contrastavano a Santa Maria Candelora, a Frontale ed a Fornaci.

 

 

L’altopiano del San Vicino

Questa azione sull’altopiano del San Vicino dove esistevano solo piccoli paesi (ed alcuni storici fanno confusione perché qualcuno di questi paesi ha nomi diversi) può sembrare un dettaglio piccolo ed insignificante. In realtà il San Vicino domina un nodo di strade che passano infossate fra le montagne e che sono di grande importanza strategica: una è la strada della Valle Esina, la 76, che dalla Flaminia per Fabriano porta ad Ancona; un’altra porta a nord di Fabriano per Arcevia e Pesaro: un’altra ancora, la Settempedana, va a sud verso la valle del Potenza e verso un passo di Ussita che porta a Spoleto ed a Roma. Da qui si capisce l’importanza di stanare in alta montagna le formazioni dotate di artiglieria che possono controllare queste strade.

 

 

La battaglia di Cingoli

La battaglia di Cingoli ha bloccato tutto il fronte ed il comando polacco decide di portarsi in avanti a Cupramontana, per controllare la strada di comunicazione con Ancona e difendere così il fianco alle formazioni che si dirigono su Ancona.
A questo scopo l’intera brigata disseminata su un vasto fronte viene radunata a Poggio San Vicino, liberato il 18 luglio, dopo due giorni di combattimento. Il 19 è la volta di Apiro, il giorno stesso viene attaccata Cupramontana.
Viene così liberata la via verso Ancona, che in mano ai tedeschi avrebbe potuto essere molto pericolosa per le formazioni polacche che stavano faticosamente operando per circondare la città. In un mese la brigata Majella si era portare dal fiume Chienti all’Esino attraverso le montagne dell’Appennino.

 

 

La mobilità e il rapporto con le popolazioni della Brigata Majella

L’apporto dei patrioti della Majella è singolare ed importante, sia per la loro mobilità, sia per il contatto con le popolazioni e con i partigiani marchigiani, sia per la capacità di muoversi con gruppi autonomi. Così il Colonnello Lewicki ricorda la qualità delle operazioni svolte dalle diverse compagnie della Majella: “Operando in completo isolamento (reparti più prossimi si trovano a 10-15 km), e pur avendo dinanzi un nemico più forte svolge una tattica offensiva e non solo non resta indietro rispetto alle altre unità vicine, ma costantemente cerca di spingersi in avanti laddove lo consente il terreno. Tale condotta era naturalmente rischiosa, esigeva una notevole vigilanza e prontezza continue. Ma l’elasticità della formazione, le profonde azioni ricognitive e la larga utilizzazione dei servizi informativi ne diminuivano il rischio fornendo nel contempo al II Corpo ed all’VIII Armata preziose notizie”.

 

 

La battaglia di Montecarotto

Subito dopo la Brigata occupa Montecarotto, procedendo verso nord sulla strada 76 Vallesina. Montecarotto per la sua posizione domina la strada ed è un centro di base logistica dei nemici. A Montecarotto non giungono i rinforzi e la brigata subisce un duro contrattacco delle forze tedesche il 27 ed il 28 luglio. Al centro dello scontro si trovò il presidio dell’ospedale. Lo scontro notturno avvenne all’interno a distanza ravvicinata. Il 29 continuarono i combattimenti con l’intervento dell’artiglieria. Dopo quattro giorni d’assedio arrivarono i paracadutisti della Nembo (del CIL) a sostenere lo sforzo della Majella.

Lewicki nella sua relazione definisce l’assedio di Montecarotto: “Una delle più notevoli e brillanti operazioni condotte dalla Majella. L’operazione svolta da un reparto di partigiani relativamente debole (100/150 uomini) assicura nei giorni critici il lavoro dei genieri sulla strada numero 76, su una linea di più di 20 km da Jesi a Serra San Quirico”.

 

 

Le forze dell’entroterra sostengono la presa di Ancona

Nel giudizio finale si conclude che senza l’impegno della Majella, ed il controllo della strada 76, le forze impegnate a circondare Ancona si sarebbero dovute ritirare Per rafforzare il possesso della 76 il fronte avanzò e fu compito della Brigata occupare Arcevia. Nella nuova linea consolidata la brigata assolveva al compito di controllare un fronte di 20 chilometri, tra Canduo e Pantana.

Nella notte tra il 17 ed il 18 agosto venne conquistato Montesecco. Il 20 agosto a Piticchio di Arcevia viene costituito il XV plotone formato esclusivamente da partigiani marchigiani e comandato dal sottotenente La Marca, che morirà nella conquista di Pesaro.

 

 

Il 2 settembre liberazione di Pesaro e riposo a Recanati

Ancora una volta viene rinviato il cambio della formazione la quale viene autotrasportata a coprire l’avanzata dei polacchi verso il fiume Metauro.
Invece di essere sostituiti furono trasferiti a Fano. Il 2 settembre in appoggio ad una formazione di blindati inglesi, i patrioti della Majella entrarono a Pesaro.
Finalmente dopo 80 giorni di marce e di combattimenti, tutti in prima linea, la Brigata fu trasferita a Recanati per un periodo di riposo e di riorganizzazione.

 

 

Il riconoscimento al servizio della Majella

Per comprendere bene le condizioni difficili e la qualità particolare del servizio reso dalla Brigata Majella dobbiamo leggere la relazione del Colonnello stesso che all’inizio non era favorevole all’impiego di patrioti abruzzesi: “Mentre i reparti regolari venivano cambiati nella prima linea entro determinati brevi periodi non superiore alla ventina di giorni, quelli della Majella restavano in azioni in linea senza venir cambiati anche per più di due mesi. E ciò in condizioni fisiche molto difficili. L’estensione del settore da sorvegliare affidato ad un esiguo numero di uomini faceva sì che i singoli reparti della brigata erano costretti ad operare a distanza di alcuni km gli uni dagli altri, senza collegamento tattico e tecnico. In caso di assalto nemico ciascuno di tali reparti doveva contare unicamente sulle proprie forze senza speranza di qualsiasi aiuto. Conseguentemente tutti i reparti della Majella dovevano stare sempre in allarme. (…) In conseguenza di questo costante stato di allarme nonché dell’enorme sforzo fisico (“La Majella”) operò sempre su terreno montuoso”.

Al Colonnello Lewicki sfugge che un’azione di controllo così importante alle spalle delle formazioni regolari fosse possibile, non perché il terreno era montuoso, ma perché i patrioti della Majella avevano un rapporto particolare con le formazioni partigiane locali e con le popolazioni dalle quali traevano aiuto e sussistenza.
La Brigata Majella potè operare in situazioni così difficili perché tenne un collegamento con quei territori montuosi del centro Italia che avevano dato luogo a forme di gestioni civili autonome, mai veramente controllate dai tedeschi. Questa particolarità è sfuggita alla storiografia che ha dato più valore alle azioni armate (e la Majella ne ha fatte di più di ogni altra formazione partigiana) ma ha misconosciuto se non addirittura polemizzato con la cosiddetta resistenza civile.

 

 

Il ruolo della resistenza civile

Come dice Pietro Scoppola: “Il fenomeno della lotta armata , che conserva il suo valore, non può essere isolato dalle innumerevoli forme di “resistenza civile”. Vi è una ricostruzione dal basso delle ragioni della convivenza e perciò della identità collettiva che lo storico deve attentamente osservare”. E questa particolarità è confermata da un fatto che si tende, per carità di patria ad ignorare. La Majella fu attiva nel disarmare quelle formazioni che si proclamavano partigiane ma che non rispondevano alle regole ed ai fini patriottici della Resistenza.

 

 

A Recanati dopo 80 giorni di prima linea

Finalmente, dopo 80 giorni di servizio continuo in prima linea, la Majella viene trasferita a Recanati. Il comandante Ettore Troilo si recò in Abruzzo per arruolare nuovi volontari. Si cercò anche di regolarizzare la posizione della Brigata nei confronti dell’esercito italiano ed il 2 novembre i patrioti abruzzesi ripartirono per il fronte. La Brigata fu riaggregata ai polacchi a Laterina in provincia di Arezzo. Per svolgere la stessa funzione nella zona montuosa a ridosso della offensiva degli Alleati in Romagna. Il primo combattimento avvenne per la conquista di Monte Castellaccio, posizione dominante dello schieramento tedesco conquistato con un assalto frontale, nei giorni dal 20 al 22 novembre.

 

 

La liberazione di Brisighella

Seguì la liberazione di Brisighella, che avvenne in cinque giorni di combattimento dal 1 al 5 dicembre, con assalti alle postazioni di Monticino, Belvedere, Rocca, Torre, Monte della Siepe, che sovrastano l’abitato di Brisighella.
Fu conquistato poi Monte Mauro, posizione contro cui si erano infranti precedenti tentativi polacchi.

La sua presa determinò la caduta di Faenza. I combattimenti seguirono lungo il fiume Senio. Dice Sergio Sparapani nel suo libro “La Guerra nelle Marche”: “Fino all’impiego in campo del gruppo di italiano di combattimento Friuli, la Brigata fu la sola formazione italiana nello schieramento alleato e la sola che ebbe la responsabilità esclusiva di un settore del fronte, nel quale operò in modo autonomo, pur sotto le direttive tattiche e strategiche del corpo polacco, da cui militarmente dipendeva”.

Finalmente ci si accorse della Brigata Majella. Il Comandante Troilo fu invitato a Roma dal Ministro della Difesa Gasparotto. La relazione del generale polacco Kazimierz Wilniowski, afferma: “Dislocata alla sinistra del settore della Prima Brigata fucilieri Carpati, (la Brigata Majella) ha avuto parecchi bei successi in condizioni difficilissime di terreno occupando molte importanti quote e località come Castellaccio, Bicocca, Brisighella, Monte Rotana, Monte Sacco, Monte Mauro, Monte della Volpe.

Affermo che in questa azioni i soldati della “Brigata Majella” hanno dimostrato il più alto valore nel combattimento, morale altissimo e bravura militare, consapevoli della finalità del combattimento e del sacrificio in difesa della vera libertà delle Nazioni e dell’uomo.

I Soldati della Brigata Majella sono degni successori delle tradizioni dei loro Padri, che combatterono sul Monte Grappa, al Piave ed a Vittorio Veneto e dei loro antenati che lottarono per la Libertà e la Democrazia sotto il comando del grande Giuseppe Garibaldi (…)”.

 

 

21 aprile 1945 liberazione di Bologna

Nel marzo 1945 la Brigata raggiunse una forza totale di circa 1326 uomini, mobilitata nuovamente il 10 aprile presso Faenza, avanzò lungo la via Emilia sostenendo combattimenti a Villa Mosconi, a Monteceneri, a Castel San Pietro.
All’alba del 21 aprile 1945 entrarono a Bologna tra le primissime truppe liberatrici. Nei giorni successivi un reparto si spinse a nord entrando ad Asiago il primo Maggio. Il 15 luglio la Brigata si sciolse con una solenne cerimonia a Brisighella. Finalmente riconosciuta ed accettata dai ministri, da sottosegretari, dai generali, dai prefetti, dall’Arcivescovo di Ravenna, e dai reparti alleati polacchi ed inglesi.

 

Bartolo Ciccardini