V Centenario di Raffaello, un pensiero di Silvano Clappis

in Arte

V Centenario di Raffaello, un pensiero di Silvano Clappis

Edmond de Goncourt su Raffaello nel suo viaggio in Italia

Fra le tante celebrazioni e omaggi a Raffaello Sanzio per i 500 anni della morte (1483-1520) in Italia e nel mondo, mi piace riportare alla luce il parere di un letterato francese dell’Ottocento, Edmond de Goncourt (1822-1896), narratore colorito e romanziere discreto, che oggi si ricorda soprattutto per il Premio omonimo a lui intitolato nel 1903 che in Francia viene assegnato ogni anno a dicembre per la migliore opera in prosa.

 

Edmond de Goncourt dà alle stampe nel 1894 con il titolo “L’Italie d’hier” alcuni manoscritti e note lasciati chiusi in un cassetto di un viaggio in Italia compiuto tra l’autunno del 1855 e la primavera del 1856 insieme al fratello Jules che di quell’itinerario si era limitato a disegnare diversi schizzi a matita su un album “di carta primitiva – scrive Edmond – rilegato in pergamena bianca, e circondato, a modo di chiusura da una piccola correggia di cuoio, simile alla ‘coda di topo’ di una tabacchiera.

È il classico “journal de voyage” di montaignana memoria, non proprio ordinato a causa della incompletezza degli scritti originali, che però conserva istantanee di grande poesia e vigore realistico, sui costumi, sull’ambiente e sulla storia d’Italia a metà dell’Ottocento.

Ma ora veniamo a quel che più ci interessa, le due occasioni nelle quali Edmond de Goncourt viene a contatto con l’opera di Raffaello. La prima è durante il suo soggiorno a Bologna, città che trova piena di mendicanti lamentevoli , ma anche ispiratrice e madre di canoni estetici. “In questa città – arguisce lo scrittore – il portico si impossessa di tutte le vie, e mette sotto queste volte alla Granet, un’ombra, in cui una striscia di luce filtra qua e là, sui toni verdastri dei muri, facendo di questa città del sole, la città del chiaroscuro. È ben la patria del genio “chiaroscurale” del Guercino…”. Quando al museo, però, si trova di fronte alla “Santa Cecilia” di Raffaello in Edmond de Goncourt esce tutta la ricchezza, la maestria, la suggestione di uno scrittore d’arte.

Vedendo questo quadro, tutta la mia infanzia m’è tornata agli occhi. Ho riveduto d’un tratto il libro da messa di mia madre, che aveva in principio la cattiva incisione a bulino dei libri di preghiere, rappresentante la Santa, che le aveva dato il nome, e ritrovavo, nel ricordo, la dolce figura di mia madre, china sul vecchio marocchino rosso del libro scantonato, mostrarmi l’immagine, che non amavo maggiormente che non ami oggi il quadro – e dove ritrovo la vergine spirituale del cattolicesimo, con la bellezza inespressiva di Cibele, la bellezza più animale fra le dee del paganesimo”.

Descrizione d’impatto e di grande forza espressiva. Dove si fa avanti e si argomenta, sobriamente, alcuni concetti sulla bellezza che saranno ripresi con ben altro slancio nella visita agli Uffizi di Firenze, qualche giorno dopo la sosta di Bologna. Nella capitale del Granducato di Toscana, Edmond de Goncourt sembra essere più rilassato e più ben disposto verso l’ambiente che lo ospita. Si reca più volte a Palazzo Pitti e trasferisce sulla carta le sue valutazioni su decine di artisti.

Quando è il turno di Raffaello Sanzio scrive: “La Madonna del Cardellino” della Tribuna, la più bella di tutte le sue Madonne, e la migliore delle sue madri di Cristo. “La Madonna dell’Impennata e la “Madonna della seggiola”, le Madonne celebri, conosciute, consacrate di Raffaello non hanno più niente di, più niente della trasfigurazione spirituale, portata nella fisionomia dal cristianesimo, nell’epoca del fervore della Fede. Queste Madonne sono, in una pittura tutta materiale, i ritratti della Madre dolorosa, della Consolatrice degli afflitti con le proporzioni geometriche e il canone della bellezza marmorea dell’antichità pagana”.

Non molte righe, se rapportate a quelle che spende per autori più marginali nella storia dell’arte italiana, che riprendono però il discorso sulla bellezza, quella qualità dell’animo, del sentire, di cui l’artista urbinate è maestro indiscusso.

Fano, Aprile 2020

Silvano Clappis