Convivium – Letture e dialoghi – Incontri filosofici conviviali
Convivio I
Che cos’è la parola poetica?
Bagni Hermes – Venerdì 11 luglio ore 20:00
Incontro con la poetessa Franca Mancinelli, autrice del libro Pasta madre (Nino Aragno, 2013)
Come nasce, che cosa raccoglie del nostro vivere e della nostra esperienza, attraverso quale lavoro giunge infine sulla pagina. Una riflessione attorno alla parola poetica con letture da Mala kruna, da Pasta madre e di prose inedite
Franca Mancinelli ha pubblicato due libri di poesie, Mala kruna (Manni, 2007) e Pasta madre (Nino Aragno editore, 2013). Un’anticipazione del suo secondo libro di versi è apparsa in Nuovi poeti italiani 6, a cura di Giovanna Rosadini (Einaudi, 2012). Collabora come critica con «Poesia» e con altre riviste e periodici letterari.
Menu fisso a base di pesce € 15,00 a persona. Antipasto misto, Primo, Acqua e Vino (1 bottiglia ogni 4 persone) – Info e prenotazione 329 0426404
Convivio II
Etica e politica
Bagni Hermes – Mercoledì 16 luglio ore 20:00
Dialogo con il prof. Sergio Scalzo dell’Università di Urbino “Carlo Bo”
Sergio Scalzo insegna presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Urbino e collabora con la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino. È autore di vari saggi di filosofia politica. Tra i suoi libri: Combattere a vita. Il mito della produzione in Georges Sorel (Quattroventi, 2003); Con i suoi stessi occhi. Walter Benjamin e la città (Transeuropa, 2012).
Menu fisso a base di pesce € 15,00 a persona. Antipasto misto, Primo, Acqua e Vino (1 bottiglia ogni 4 persone) – Info e prenotazione 329 0426404
Convivio III
Uomo e linguaggio
Bagni Hermes – Mercoledì 23 luglio ore 20:00
Dialogo con il prof. Graziano Ripanti dell’Università di Urbino “Carlo Bo”
La parola è fatto arbitrario, convenzionale, o qualcosa di più? La risposta sta nell’individuare le radici del linguaggio nella storia dell’Occidente.
Graziano Ripanti è stato ordinario di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e dell’Università Pontificia Antonianum di Roma, si è interessato soprattutto di ermeneutica filosofica. È stato condirettore della rivista «Hermeneutica». Tra i suoi libri: Agostino teorico dell’interpretazione (Paideia, 1980), Parola e ascolto (Morcelliana, 1993), Gadamer (Milella, 1999), Parola e tempo (Morcelliana, 2004).
Menu fisso a base di pesce € 15,00 a persona. Antipasto misto, Primo, Acqua e Vino (1 bottiglia ogni 4 persone) – Info e prenotazione 329 0426404
Convivio IV
Uomo e natura
Bagni Hermes – Mercoledì 30 luglio ore 20:00
Dialogo con il prof. Mauro Bozzetti dell’Università di Urbino “Carlo Bo”
Mauro Bozzetti è docente di filosofia all’Università di Urbino e collabora con diverse Istituzioni internazionali. Fra i suoi libri va ricordato: Hegel und Adorno, Alber Verlag, Freiburg-Muenchen 1996; Conflitto estetico, IL Melangolo, Genova 2004; Introduzione a Hoelderlin, Laterza, Roma-Bari 2004; Pensare con stile, La Scuola, Brescia 2011.
Menu fisso a base di pesce € 15,00 a persona. Antipasto misto, Primo, Acqua e Vino (1 bottiglia ogni 4 persone) – Info e prenotazione 329 0426404
Repubblica di martedì 1° luglio propone un inedito di Louis Althusser (1918-1990): “I filosofi escano dal loro mondo chiuso”. Non è più questione di fare la rivoluzione ma di capire la realtà. Risponde il filosofo urbinate Graziano Ripanti, che a Torrette di Fano organizza tre incontri su filosofia e vita quotidiana, o meglio su cos’è la filosofia. (Torrette di Fano, 5 luglio 2014)
RISPOSTE DIVERSE ALLE QUESTIONI DI LOUIS ALTHUSSER
di Graziano Ripanti
Solo filosoficamente si può criticare la filosofia. E’ ciò che ha fatto Althusser con il libro postumo dal titolo: “Initiation à la philosophie pour les non philosophes” (Presses Universitaires de France, 2014, trad. it. F. Gambararo). Un brano consistente della introduzione è apparso su Repubblica del 1° luglio 2014. Althusser inizia con la più ovvia, comune e unica domanda nella povertà della cultura attuale: “A che cosa serve la filosofia?”. Ogni cosa ha senso solo se serve a qualcosa: è la povertà del nostro domandare. Althusser risponde negativamente, forse serve solo agli insegnanti di filosofia, che vivono senza storia e senza mondo o, meglio, in un “mondo chiuso” fatto solo dalle “grandi opere filosofiche”, che vivono in una specie di eternità, tanto che per interpretare il testo di Kant ricorrono a Platone, vissuto venti secoli prima.
In realtà la filosofia non serve a niente e a nessuno, anche ai non filosofi. Non serve per il sempluice fatto che in sé non è schiava di ella culturanessuno, né di una autorità statale né di una autorità religiosa. La filosofia per essere se stessa ha bisogno della libertas philosophandi,come dimostra Spinoza nel suo “Tractatus theologico-politicus”. E la filosofia degli insegnanti può essere solo “interpretazione o interrogazione”. Ma questa non è una novità. Anche Heidegger afferma che l’inizio della filosofia è porre interrogazioni. Questo interrogare e interpretare per Althusser non è ermeneutica. Ma per porre una domanda non occorre aver prima ascoltato? E’ una parola accolta che susccita un’interrogazione anche epékeina tes ousia, cioè al di là dell’essere.
Graziano Ripanti
Nei primi giorni di luglio Repubblica propone nelle pagine della cultura il problema del mito, “Siamo tutti figli del mito”. Dopo aver indagato la questione dei filosofi e della filosofia su un inedito di Althusser, il filosofo Graziano Ripanti, che a Torrette di Fano, organizza una serie di incontri, un convivio di incontri filosofici di carattere antropologico, continua la sua meditazione su tali problemi e propone una sua pagina dedicata al mito, alla “verità del mito”, nel suo libro, “Parola e ascolto” (Morcelliana, 1993, pp. 15-6). (Torrette di Fano, 6 luglio 2014)
MA QUALE E’ LA VERITA’ DEL MITO?
di Graziano Ripanti
Ma quale è la verità del mito? Che cosa ci annuncia ancora? I miti hanno ormai definitivamente perduto il sacro splendore del mattino. Il divino da essi annunciato è, da tempo, obsoleto e lìOlimpo è abitato da aride pietre. Quel divino in realtà era troppo umano e non ha mai resistito all’urto epocale di quell’evento che ha prodotto il vero crepuscolo degli dei. Ma, se dai tempi distrutti degli dei sono fuggiti per sempre, i miti possono ancora annunciare un ricco senso dell’umano per la nostalgia dell’origine. I miti perdurano; in essi c’è un senso che già Aristotele assimilava al pensiero: o philomithos philosophospòs estin. Il mito è narrazione che desta meraviglia, e la meraviglia è l’inizio della filosofia, poiché implica la coscienza di non sapere.
Allora il mito risponde originariamente a una sete di conoscenza, per cui non è né una favola vuota né una fuga utopica. Nella sua essenza può essere fonte inesaurbile di significato: “diventa egualmente credibile che dietro al significato che il mito immediatamente dà, se ne nasconde un altro più ampio”. Come tale esso è linguaggio e si offre a essere interpretato e, da tempo, già con la discussione tra ermetisti e illuministi, è sorta la scienza del mito, che ancora si dibatte sul problema della sua natura. La sua eccedenza di senso ha reso difficile ogni impresa scientifica: la sua essenza permane nascosta. Il mito, forse, resta inobiettivabile, appunto come il linguaggio. Poiché innanzitutto è parola originaria che narra modelli di azioni mumane, senso primordiale del mistero della vita, dell’amore e della morte. Il suo codice linguistico è omogeneo, i suoi simboli si riferiscono solo a se stessi, per cui narrare il mito lo si può solo in forma mitologica. Al di là, dunque, di ogni impresa scientifica, questa tautologia resta insuperabile. Il mito permane presente e vivo nei vari ambiti in cui si esprime l’umano: nella filosofia e nella scienza, dove non v’è poi tanta distanza tra mythos e logos, nella letteratura poetica (basti ricordare il mito di Ulisse), nelle arti figurative, da quelle antiche a quelle rinascimentali alla mitologia di De Chirico. I significati del mito si consegnano, non senza una looro profonda modificazione (si pensi all’Ulisse di Dante), solo a una presa non oggettivamente l’arte, anch’essa come linguaggio originario narrante, si rivela come luogo autentico per una più profonda ricognizione del mito.
Graziano Ripanti
Partecipa al primo incontro di Convivio il filosofo francese Arnaud Corbic, che è giunto a Fano il 10 luglio. Era presente l’anno scorso al terzo incontro dei “Dialoghi filosofici”: parlò di Albert Camus e di Dietrich Bonhoeffer e del loro orizzonte filosofico. Quest’anno arriva con il solito entusiasmo e l’animosità della sua ricerca, “Albert Camus et l’homme sans Dieu” (Edition du Cerf, Paris, 2007), partecipa al seminario e ci lascia un sintetico promemoria del suo Camus per il dibattito di “Convivio”.
ALBERT CAMUS: L’ASSURDO, LA RIVOLTA, L’AMORE
di Arnaud Corbic
L’uomo può sopravvivere alla morte di Dio? O muore anche lui? Queste sono le domande poste da Camus. Nei confronti con i maestri del sospetto (Marx, Nietzsche, Freud) l’umanesimo, con i suoi valori universali, mette a nudo le proprie radici. Morale della classe dominante, morale dei deboli, morale del “super-io”: si potrebbe pensare una legittimità dell’umano appoggiandosi su nuove basi?
Identificare l’inumano (l’assurdo, il nichilismo, il risentimento, il male), fondare l’umano (la rivolta, l’amore), gettare i fondamenti di una filosofia dell’uomo senza Dio: questa è stata la prova filosofica e letteraria di Albert Camus. Proporre una saggezza inedita, contemporaneamente individuale, collettiva e cosmica contro tutto ciò che nega l’uomo, che lo mutila e che tende a schiacciarlo, ecco il filo conduttore di tutta la sua opera. La lucidità tragica non esclude l’esigenza di umanità.
I fondamenti di questa filosofia dell’uomo senza Dio sono la rivolta e l’amore. O ancora, per dirla con André Comte-Sponville, l’assurdo-la rivolta-l’amore: 1. Il no del mondo all’uomo (l’assurdo); 2. Il no dell’uomo al mondo (la rivolta); 3. Il sì originario e ultimo alla vita, agli esseri, alla terra, un sì che assume i due no in un acconsentire latente (l’amore). “Miseria e grandezza di questo mondo [occorre evidenziare l’accento pascaliano di questa formulazione]. Regna l’Assurdo e l’amore salva da esso”, notava Albert Camus, nel 1938, nei “Carnets”.
Arnaud Corbic
(Torrette di Fano, 11 luglio 2014)
“Convivio” di venerdì 11 luglio 2014 ore 20. Franca Mancinelli presenta il suo secondo libro di poesia, “Pasta madre” (Aragno, 2013). Serata intensa, di chi sa comunicare il suo lavorare poeticamente. Ha detto che questo secondo libro è rivolto al mondo quotidiano per cercarne la comprensione dei gesti della gente e di chi pensa: vuole essere un entrare nella vita, viverci dentro con aria persuasiva ed il ritmo della musicalità sincopata. Anche qui, a ciascuno il suo. Franca Mancinelli non cessa di articolare il suo pensiero e di dare immagini alla sua memoria ed al suo sogno. La lettura di Claudio Tombini è stata ricca di partecipazione e di interpretazione: la voce è essenza del canto del poeta. Ecco il corpo che galleggia nell’acqua e il gesto femminile della poesia che interroga. La Mancinelli vuole organizzare la leggerezza della sua comunicazione, il linguaggio semplice e invasivo dell’acqua. Segue una sua recente prosa. (Ga.Mo.)
UN VERSO E’ UNA VASCA
di Franca Mancinelli
Quando percorro avanti e indietro le vasce di una piscina, alla ricerca di quello stato di narcosi che mi coglie poco tempo dopo il ritorno all’asciutto, mi seguono inizialmente alcuni pensieri. Scorrono leggeri sulla superficie insieme alla mia chiglia, fluttuano appen sulla linea nera che guardo per non deviare.
L’acqua leggera
Per un’ora circa avrò soltanto alcuni gesti, con le braccia che a volte sembrano tagliare l’acqua in un modo esatto, disegnare un arco deciso, oppure oscillare o cedere all’informe; ripeterò gli stessi gesti fino a quando sentirò le spalle muoversi in un celeste che lentamente si solidifica. Allora risalirò dalla scaletta, ascolterò la doccia e il phon, e tornata a casa lentamente verrò richiamata nel fondo, dove si depone il governo delle mie forze.
L’acqua è armonia
Alle prime bracciate, quando ancora l’acqua non è stata dissodata e i miei archi procedono incerti, mi sembra di continuare a scrivere, su un foglio limpido, con tutto il corpo. Penso che si arrivi alla fine di un verso, come di una vasca, muovendosi all’interno di una misura. Una serie di gesti si ripete fino a che si raggiunge una sorta di equilibrio per cui sembra di non muoversi, ma di essere portati. Chi infrange i codici di movimenti e si dibatte oltre la forma stabilita, affatica il suo corpo e alla lunga lo addolora. I suoi schizzi suonano stonati, non necessari. Sbaglia per incapacità o per ignoranza. Ne vedo diversi avanzare sul dorso battendo le gambe con i ginocchi piegati, oppure andare di continuo ad urtare con il gomito i galleggianti delle corsie; danno l’impressione di animali finiti in acqua per errore, o di nuove specie lacustri, disarmoniche, sorte in seguito a qualche modificazione chimica.
“L’acqua non fa male”
Conservo con gratitudine le frasi dei miei insegnanti di nuoto; ricordo ancora quando uno mi disse che l’acqua non fa male, ed appena lo sentii e mi abbandonai a lei, trovai la leggerezza che serve per nuotare sul dorso, senza temere di bere dal naso. Il fatto è che i movimenti sono già tutti scritti. L’unico pensiero è quello di aderire, di eliminare ogni intenzione che fuoriesce dal tracciato.
Porta il rito dell’obbedienza
Anche se si arriva ai bordo della vasca con un turbinio di rabbie e di rancori, nello stesso istante in cui ci si affida all’acqua le passioni come scorie tendono verso il fondo, liberano i propri riflessi nel gioco della superficie. Con il roteare delle braccia e il battere delle gambe, poi sembrano del tutto dissipate. In realtà hanno obbedito a leggi più grandi dell’istinto, e all’interno di quel rito di obbedienza di sono placate.
La scrittura è come il nuoto
Allo stesso modo, quando ci si affaccia alle soglie di un verso, non si arriva alla sua fine senza che lo stato emotivo che ci portava, non sia stato in qualche modo addomesticato. Si scrive con la stessa cieca consapevolezza con cui si nuota: ogni intenzione o slancio deve essere sorretto da tutto il corpo, approvato dalle sue forze e dalle sue riserve. Ogni gesto deve confrontarsi con la necessità di resistere fino a toccare almeno il borso della vasca.
Lo stile libero non esiste
Non si sovverte la tradizione in un attimo, in un sussulto di immaginazione eccedente. Se mai nascerà un nuovo stile, o una variante all’interno di quello codificato, sarà per un progressivo e lento distacco dai movimenti precedenti, attraverso prove calibrate, minime infrazioni accolte.
Lo stile libero non esiste, non si è mai liberi se si vuole nuotare.
Franca Mancinelli