La croce il fascio e la svastica
La croce il fascio e la svastica di Angelo Paoluzi

Urbino. 70° della Liberazione

in Costume

Urbino, 70° della Liberazione

 

Il giornalista Angelo Paoluzi

 

UNILIT – Università Libera Itinerante
Collegata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Circolo Acli – Centro Universitario

Conversazioni di Palazzo Petrangolini

www.fanocitta.it

www.urbinovivarte.it

www.prourbino.it

70° della Liberazione

 

Settant’anni fa, nella fase finale più drammatica (1943-1945) della “guerra dei trent’anni”
che dal 1914 ha sconvolto l’Europa, la Chiesa e i cattolici svolsero un ruolo sul quale
gli storici si stanno ancora interrogando. Questa cronaca racconta testimonianze
dei cristiani in Italia e in Germania, aprendo squarci inediti sulla Resistenza.

 

Angelo Paoluzi
La croce, il fascio e la svastica.
La Resistenza cristiana alle dittature
(Roma, Edizioni Estemporanee, 2014)

 

Venerdì 24 aprile 2015 ore 16,30
Piazza Rinascimento 7 – Urbino

Saluto di Sergio Pretelli, Presidente Unilit
Interventi
Gastone Mosci e Enzo Uguccioni

 

 

Angelo Paoluzi, giornalista, storico, docente universitario, già direttore “Avvenire”, collaboratore Radio Vaticana e Fano città. Adesione Anpi Provincia Pesaro e Urbino, ANPC Senigallia, Circolo Culturale Jacques Maritain di Fano.

 

La croce il fascio e la svastica

 

 

 

A URBINO IL 70° DELLA LIBERAZIONE CON PAOLUZI

di Gastone Mosci

L’incontro a Urbino dedicato al libro di Angelo Paoluzi è stato molto interessante perché nel contesto universitario e cittadino la celebrazione del 70° della Liberazione è stata sentita come prova di umanesimo e di fiducia verso la politica. Paoluzi ha percorso la sua storia di giornalista e di ricercatore sui fatti della Resistenza fin dagli anni sessanta, quando era corrispondente de “Il popolo” a Berlino. Ha curato un’antologia di poeti della Resistenza tedesca. Ha conosciuto poi vari scrittori francesi legati alla Resistenza negli anni di corrispondente a Parigi. Ha tenuto cari i temi della civiltà nel periodo di servizio di redattore fino a direttore del quotidiano “Avvenire”. Ha mantenuto questa sensibilità anche spregiudicata nei periodi di forte partecipazione giornalistica nell’ambito de “L’Osservatore Romano” e di Radio Vaticana.

Con questo libro porta il suo contributo di testimonianza sulla presenza dei cristiani nella lotta di Resistenza in Italia e in Germania con dati non conosciuti e inediti, in particolare nel contesto tedesco, sempre trascurato in Italia.

Dai cattolici e il fascismo: retroterra, clero, partecipazione di popolo, le quattro resistenze, la stampa e i protagonisti (Teresio Olivelli e Enrico Mattei), si passa ai cristiani e il nazismo, l’opposizione al Terzo Reich, Resistenza solitaria e Resistenza morale: ruolo de La Rosa Bianca, l’Orchestra rossa, l’Operazione Valkiria, l’abbé Franz Stock a Parigi e Dietrich Bonhoeffer. Paoluzi fa una cronaca o meglio un racconto di umanità politica e di consapevolezza etica. Scrive nelle pagine di chiusura del suo lavoro:”Il nazionalsocialismo è stato per la Germania, e indirettamente per l’Europa, e il mondo, una sciagura culturale, oltre che politica e spirituale. Il discorso dei guasti che ha prodotto nella ricerca di una coscienza di senso e di valori va inquadrato nell’abisso di insignificanza intellettuale aperto dal regime”. La lettura di quegli eventi del passato aiuta la comprensione della realtà sociale attuale. Paoluzi, come altri studiosi, sottolinea questa comprensione del fenomeno resistenziale: che sia sempre più una cultura condivisa e appartenente agli italiani come popolo, come cittadinanza attiva e operosa Del resto le esperienze italiane, pur in una complessità talvolta inspiegabile, pongono l’accento sui valori etici e di convivenza.

Gastone Mosci

 

 

Gli animatori dell'incontro, da sx, Gastone Mosci, Angelo Paoluzi, Enzo Uguccioni e Sergio Pretelli. Foto di Silvano Bracci.

 

IL VALORE ETICO DELLA RESISTENZA

di Enzo Uguccioni

 

Per la celebrazione del 70° della Liberazione mi è tornata alla mente la storica conferenza di Parigi del 10 agosto 1946 alla quale partecipò il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, a capo delle delegazione italiana della quale faceva parte il futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Quest’ultimo – nelle sue memorie – scrisse: “Mi par di rivivere quel terribile pomeriggio. Le delegazioni delle ventuno nazioni vittoriose erano riunite in quella grande sala per definire il trattato di pace col nostro paese. Per non contaminare con la nostra presenza gli sguardi dei delegati dei ventun paesi vittoriosi ci fecero entrare nella grande sala affollata da una porticina che immetteva nell’ultima fila dei seggi in alto: Georges Bidault, amico dell’Italia diede subito la parola a De Gasperi. La sua alta figura, il suo volto affilato e pallido, il suo sguardo profondo, la sua immobilità quasi ieratica s’imposero all’assemblea. Quando finì il discorso ebbi come la sensazione che i delegati, prima ostili facessero uno sforzo per non applaudire, ma l’impressione su tutti fu innegabile”.

Era evidente che De Gasperi parlava “come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica” nata nella grande sofferenza di tanti italiani, compreso lo stesso De Gasperi, e proprio per questo era riuscito a prendere le distanze dagli sciagurati governanti del ventennio fascista. Egli era riuscito a mettersi in perfetta sintonia con i martiri della Resistenza: basterebbe leggere solo poche lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana per capire che essi rappresentavano idealmente la nuova Italia e perciò meritavano ogni rispetto (cf. Piero Crateri. “De Gasperi”, il mulino, pp. 250-1).

Dunque è stato ed è importante riaffermare l’importanza della Resistenza. E’ grande merito di Angelo Paoluzi aver scritto un libro su “La Resistenza cristiana alle dittature” con una indagine molto accurata e approfondita sulla presenza della componente cristiana, spesso sottovalutata se non addirittura ignorata, ma fondamentale, a mio avviso, nella lotta di Liberazione.

La partecipazione dei cattolici alla Resistenza è stata qualificata “ribellione morale” dando a questa connotazione un valore riduttivo, quasi che la morale (da non confondere col moralismo!) non sia un valore fondante di una società. Alcuni autori addirittura troverebbero conferma a questa tesi nella famosa “preghiera del ribelle” di Teresio Olivelli e Carlo Bianchi (opportunamente riportata integralmente nel libro di Paoluzi) che termina invocando il Signore perché ascolti “noi ribelli per amore”. Paradossalmente quella che per me è la più bella definizione del partigiano (ribelle per amore e non per vendetta) è servita a declassare la partecipazione dei cristiani a banale moralismo clericale! Vorrei insistere su questo punto perché mi pare decisivo. Giustamente Paoluzi ricorda che la partecipazione dei cattolici fu di tre ordini: uno spontaneo e popolare, l’altro con radici culturali ed un terzo “che preparava le forze fresche della nuova generazione al riparo della canoniche, dell’Azione Cattolica, della FUCI, dell’Università Cattolica di Milano. In senso lato si potrebbe dire che la partecipazione alla lotta di Liberazione sia stata frutto di una consapevolezza culturale. Se, come afferma il noto biblista, il vescovo Piero Rossano, mutuando una definizione di Natale: Bussi “per cultura intendo una concezione della vita ed una prassi conseguente”. Non vi è dubbio che, come precisa Piero Rossano, “Nella prospettiva cristiana la fede dovrebbe rappresentare per la cultura quel ‘supplemento d’anima’ di cui ha bisogno ‘il corpo ingigantito dell’umanità’, secondo l’intuizione di Bergson” (cf. Piero Rossano, “La fede pensata”, Camunia, pp. 6-7). Già, una fede pensata: scrive ancora Piero Rossano “la fede cristiana è perciò sempre allergica ad ogni forma di massificazione e di totalitarismo, come pure ad ogni tipo di società che non sia in funzione della persona” (p. 11). E dunque chiunque ha una sua cultura se è vero, come è vero, che la cultura è “una concezione della vita e una prassi conseguente”.

 

Il ruolo dell’associazionismo

La partecipazione dei cattolici alla Resistenza – sul piano nazionale – fu certamente espressione di una cultura che aveva nella FUCI degli universitari cattolici un saldo punto di riferimento: ricordiamo che era assistente don Giovanni Battista Montini futuro Papa Paolo VI, ora Santo. E i fucini di allora, Andreotti, Moro così come i famosi professorini della Cattolica, Lazzati, Fanfani, La Pira, Dossetti, non potevano non aver letto e studiato i libri di Maritain (“Umanesimo integrale” è del 1936). La riprova l’abbiamo nella constatazione che fa Pietro Scoppola quando scrive che “Il significato permanente del 25 aprile è da cogliere nel suo rapporto con l’opera dei costituenti. La cultura personalista e comunitaria dei costituenti democratico-cristiani e in particolare dei ‘professorini’, dette nel corso dei lavori della Costituente i suoi migliori frutti. (Pietro Scoppola, in “Humanitas” 1/1995, p. 159)

Angelo Paoluzi riporta a pag.18 una affermazione di Valerio Volpini – già comandante partigiano – che avvalora la convinzione secondo cui la Resistenza non può essere limitata a una fatto d’armi, ma fu molto di più:” La Resistenza è stata innanzitutto un fatto spirituale: ha voluto essere la prova del valore dell’uomo contro il non-uomo, della ragione contro la follia bestiale.” E aggiunge:”La Resistenza che è stata compiuta in Europa da tutti i popoli non può essere ridotta, come spesso si fa, a un episodio militare, ma soprattutto a un fatto morale, alla rivolta dell’uomo contemporaneo contro gli orrori incarnati in una concezione mostruosa della vita e dello Stato, fondata sulla violenza dell’istinto ed del sangue, su una mitologia tardo-romantica.”
A questo proposito c’è una immagine molto bella all’inizio della Enciclica “Fides et ratio” del Papa San Giovanni Paolo II: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”.

D’altro canto basterebbe riprendere in mano le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana” per avere la misura della loro grande spiritualità e del grande “amore” per la vita: naturalmente dei loro cari e di tutti noi. Chi non ama non può scrivere lettere come quelle, ma semmai può lasciare lettere di disperazione.

 

70° della Liberazione

Quest’anno in cui si celebra il 70° della Liberazione, il libro di Paoluzi (“La croce, il fascio e la svastica. La Resistenza cristiana alle dittature”, Roma, Edizioni Estemporanee, 2014) si inserisce mirabilmente nel grande dibattito che si sta sviluppando nel paese; molte preclusioni sono cadute, il discorso si sta allargando a tutti i protagonisti della Resistenza, superando vecchi steccati e “interpretazioni autentiche della Resistenza” ma nel significato peggiore poiché – come afferma Emilio Gentile su “Domenica” de Il Sole-24 Ore del 19 aprile scorso, essa aveva lo scopo di trasfigurarla “in un mito secondo i canoni della propria ideologia”.
La scomparsa dei partiti tradizionali che, nel bene e nel male, hanno guidato la vita democratica del nostro paese dal dopoguerra fino alla caduta della cosiddetta prima repubblica, ha aperto una fase di “transizione infinita” (così intitolava un libro di memorie Gabriele De Rosa) il cui unico merito è stato quello di aver liberato la storiografia da condizionamenti della cultura dominante che avevano sostanzialmente falsato la rappresentazione e il senso profondo della Resistenza. Ora, però, c’è il grave rischio di un inesorabile distacco dalla vita politica di un numero enorme di persone: le astensioni dalle elezioni degli ultimi anni sono un campanello d’allarme. E dunque la riaffermazione dei valori della Resistenza può essere l’occasione storica per superare la grave crisi di identità del nostro Paese. Compito decisamente molto difficile e per alcuni impossibile. Ma la speranza – virtù forte, soprattutto dei cattolici – deve sorreggerci e sostenerci. Il libro di Angelo Paoluzi e il dibattito che nelle sedi come questa si sta sviluppando vanno nella direzione giusta: il mio ringraziamento va perciò agli organizzatori di questo incontro, e in primo luogo al presidente dell’Unilit, Sergio Pretelli, e al giornalista-scrittore Angelo Paoluzi che sta contribuendo in modo efficace alla ripresa morale del nostro paese troppo spesso schiacciato dai mass media in un nichilismo senza prospettive.

Enzo Uguccioni

 

Da sx Maria Luisa Benigni Moscati della Comunità ebraica di Urbino, il giornalista Angelo Paoluzi e il fisico Giovanni Volpini.