Ricordo di Paolo De Benedetti
Paolo De Benedetti, un filo d’erba, l’Amore per le creature
Ho davanti a me l’ultima plaquette di Paolo De Benedetti, Un filo d’erba, a cura di Gabriella Caramore (Morcelliana), che abbiamo presentato a Urbino a Palazzo Petrangolini, il 10 agosto 2009, poi Paolo ha lasciato l’insegnamento. Era malato. Qualche giorno fa è morto ad Asti dove era nato nel 1927.
Lascia una grande eredità spirituale: pregare insieme ebrei e cristiani, vivere insieme ed essere in ascolto l’uno dell’altro, sembra lo spirito creativo di Papa Francesco. Paolo è giunto ad insegnare ebraismo a Urbino nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose diretto da don Italo Mancini e promosso dall’Università di Carlo Bo nel 1979. Don Italo aveva raccolto il meglio degli studiosi e dei ricercatori della teologia in Italia e Carlo Bo aveva intuito il nuovo momento dell’università urbinate e della città.
Era anche il tempo dell’arcivescovo Donato Bianchi. Per quasi trent’anni c’è stato un rifiorire, la residenza di speranze nuove: De Benedetti ha portato subito la sua grande esperienza culturale, la sua umanità e lo studio delle Sacre Scritture. Era un uomo di fermezza etica e di dialogo con tutte le creature.
Anche il corpo docente contava uomini di primo piano: il teologo Luigi Sartori, il biblista Settimio Cipriani, il teologo moralista Giannino Piana, lo storico delle religioni Aldo Natale Terrin, il teologo Giampiero Bof e tutti gli altri. Il luogo di esercizio del consenso era dato dalle lezioni e dai seminari di studio. Docenti e studenti erano insieme, alla pari per dignità. Paolo trovava sempre la parola giusta e il richiamo della Bibbia (scrive PDB: “Gesù non ha ordinato di dire parole sempre nuove, ma di ripetere lo stesso evangelo.
Allora la missione sta nella maniera di ripetere lo stesso evangelo riuscendo ugualmente a ottenere l’ascolto: e ciò è possibile forse in una sola maniera, ossia vivendolo. L’esistenza cristiana non è una predica noiosa” (“Agonie del cristianesimo”, Morcelliana 1977). La memoria di “PDB”, così lo chiamava l’editore Bompiani, dalle pagine de “Il nuovo amico” passa al blog Fano città (www.fanocitta.it) in una proficua collaborazione.
Gastone Mosci
Ricordo di Paolo
Ricordare Paolo De Benedetti non è facile. La sua figura di studioso e di operatore culturale si staglia con gigantesco rilievo nel panorama del secondo Novecento, in cui ha lasciato una traccia indelebile. Ai preziosi contributi sull’ebraismo – si pensi ai numerosi testi dedicati ai vari libri del Testamento ebraico riletti alla luce della tradizione rabbinica – e sul dialogo tra ebraismo e cristianesimo si affiancano gli interessi filosofici e letterari – pochi forse conoscono le sue poesie – che hanno fatto di lui un vero uomo di cultura, in grado di spaziare nei diversi campi dello scibile umanistico con la originalità e la leggerezza che hanno sempre contraddistinto la sua ricerca.
La grande finezza intellettuale, che gli consentiva di percepire immediatamente ciò che aveva davvero valore, al di là delle mode passeggere verso le quali non mancava di esprimere con forza la propria critica severa, hanno fatto di lui un suggeritore prezioso di diversi editori, presso i quali – basti qui ricordare Bompiani e Garzanti e nella fase più recente Morcelliana – ha lavorato per lunghi anni, dando vita a collane di grande prestigio e promuovendo in particolare la Enciclopedia europea di cui è stato direttore.
A questo si è accompagnato l’insegnamento in diverse parti d’Italia, con l’enorme capacità di coinvolgimento degli studenti, dovuta non soltanto alle indiscutibili qualità didattiche, ma anche (e soprattutto) alla profondità e al rigore del pensiero, alla lucidità delle analisi e alle inedite conclusioni cui spesso perveniva. Un impareggiabile maestro che non mancava di esporre con convinzione le proprie idee, senza mai imporre tuttavia il proprio punto di vista, e che univa al taglio sapienziale dei propri interventi un sottile (benevolo) velo di ironia, che rendeva trasparente la complessità e la problematicità delle questioni affrontate.
Ma, al di là delle indiscutibili doti di uomo di cultura, non si può dimenticare la signorilità e l’amabilità della persona. Chi ha avuto – come io stesso ho avuto per lunghi anni – la fortuna di frequentarlo conserva vivo il ricordo dell’attenzione che Paolo aveva per gli altri, della disponibilità all’ascolto e al confronto, della umanità con cui si rapportava con ciascuna persona senza alcuna presunzione né prevaricazione, con il profondo rispetto delle opinioni altrui, quando avevano il supporto di motivazioni serie e non venivano presentate come assolute. Ciò che lo disturbava e che respingeva duramente era ogni forma di autoritarismo e di integralismo, ogni usurpazione della libertà da parte di poteri che non hanno altra ragione che quella della forza e della violenza.
Un personaggio dunque Paolo De Benedetti, che ha contribuito a segnare con la sua presenza un’epoca significativa della cultura italiana (e non solo). Un uomo dalla grande levatura morale, la cui memoria rimarrà a lungo viva nella coscienza di molti, e la cui lezione è oggi più che mai attuale in un Paese come il nostro attraversato dal rischio di smarrire quei riferimenti valoriali da lui spesso evocati che sono le radici di ogni autentica democrazia.
Giannino Piana
Testimonianza sul Prof. Paolo De Benedetti
Ricordo con viva stima e un po’ di nostalgia Paolo De Benedetti come illustre Collega
all’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Università di Urbino. Ed è un ricordo nutrito e
motivato, oltre che dalla sua calda umanità, dal comune interesse per le pagine bibliche. Per la
verità, mentre il mio campo di studio è il Nuovo Testamento, egli si occupava dell’Antico
Testamento e in particolare della successiva letteratura giudaico-rabbinica. Qui egli aveva davvero
una speciale competenza dovuta anche alla sua origine ebraica, la quale però era del tutto aperta al
cristianesimo e soprattutto ai primi scritti cristiani, tra i quali primeggiavano quelli dell’apostolo
Paolo.
Devo comunque riconoscere una differenziazione tra noi, poiché la sua lettura di san Paolo
insisteva piuttosto sulla condivisione del giudaismo da parte dell’Apostolo, mentre il mio punto di
vista coglie soprattutto il superamento di alcune componenti fondamentali del giudaismo stesso,
dovuto alla fede radicale in Gesù Cristo come alternativa delle opere prescritte dalla Torah. Tuttavia
Paolo De Benedetti non era affatto un miope letteralista, ma spaziava con ampio respiro su varie
tematiche bibliche come quella di Dio, del paradiso, degli animali, della terra, dell’ultimo giudizio,
e in generale dell’uomo come destinatario se non anche soggetto della Rivelazione. Per esempio,
nel suo libro Teologia degli animali egli scrive: «Io credo … che l’animale, compagno di tante
solitudini, di tante tristezze, in misura varia secondo la sua coscienza – affermo e ripeto coscienza –
ci accompagnerà anche nell’altra vita, e non ci si chieda di spiegare il perché». Si sente qui vibrare
una consonanza con il creato, che fa proprio il gemito della creazione nelle «doglie del parto», di
cui scrive Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani (8,19-22), sottolineando e condividendo la
implicita richiesta umana di una reintegrazione di tutta la vita, della vita non solo nostra ma anche
di tutte le sue forme che Dio ha creato.
Questa condivisione della creazione, coltivata ponendosi all’unisono con essa e anzi con un
personale coinvolgimento in essa come somma opera di Dio, ha caratterizzato la mente e il cuore di
Paolo De Benedetti. Ed ora egli ne fa parte fino in fondo, così che possiamo dire essersi verificato
per lui finalmente con piena verità il desiderio del Salmista: «Voglio cantare al Signore finché ho
vita … A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore» (Salmo 104,34).
Romano Penna
LETTERA DELLA SCRITTRICE MARIA GRAZIA MAIORINO
Ancona, 12 dicembre 2016
Caro Paolo De Benedetti,
ci è voluto coraggio, – oggi – per riaprire la scatola azzurra dove conservo i più bei ricordi di Alice, le fotografie, gli haiku, i libretti, le lettere: le tue nel fondo, intatte, candide, fogli battuti a macchina e fogli scritti al computer, la firma e i testi di alcune poesie vergati con la tua grafia tremolante e coraggiosa, della quale ti scusavi, ma che per me è un segno di tenerezza che posso ancora sfiorare.
Ci è voluto abbandono, il tuo andartene da qui e il mio lasciarmi andare alla commozione che è arrivata subito, e lacrime si sono mescolate alle lacrime raccontate nelle lettere. Ti commuovevi ogni volta quando si parlava dei nostri cari animali perduti, o di argomenti più alti (ma non per te), come l’enigma del male, soprattutto quello veroi i più piccoli, gli innocenti. Non ti vergognavi della commozione di fronte al pubblico, ti fermavi dicendo che non potevi proseguire – e basta.
Ti avevo scoperto attraverso la trasmissione radiofonica “Uomini e profeti”, durante le puntate dedicate alla Teologia degli animali. Quel periodo coincise con la malattia della mia cagnolina Alice, che mi lasciò il 19 marzo 2003, dopo avermi accompagnata per sedici anni. L’ascolto dei tuoi racconti, delle meditazioni e riflessioni sulla Bibbia ,del tuo dialogare intenso e lieve con Gabriella Caramore, che ti porgeva le sue domande con un tono di ammirata dolcezza, mi aprirono un mondo e furono per me di grande consolazione. Così, quando fu pronto il libretto dedicato al mio cane mi feci coraggio e te lo mandai insieme a una lettera, nata nel mio diario, proprio come adesso. Ricevetti risposta, in calce la data segnava esattamente”il secondo mese dalla morte di Alice”…
Iniziò una corrispondenza bellissima, con scambi di libri e altri doni. Poi venne l’appuntamento a Urbino, altra scoperta: dal tuo Piemonte venivi nelle Marche e io avrei potuto conoscerti di persona e frequentare le lezioni che tenevi all’Istituto di scienze religiose Italo Mancini. Infatti ti incontrai là, nell’estate del 2004, e subito rimasi stupita perché la voce, che ero abituata ad ascoltare alla radio, non corrispondeva alla tua figura alta, diritta, con i lineamenti decisi, il naso importante, le mani grandi. Da dove veniva quella voce di folletto, delicata e sottile, perfino un po’ trattenuta? Dal tuo cuore bambino, certamente, quello che ti ha permesso di comprendere una parte del mistero che gli animali rappresentano, e come loro e altre creature possano indicarci la via per i misteri più insondabili. Il momento più bello – vera gioia, vero stupore – ritorna ora davanti a me, torno a gustarmi la scena come se non fossero trascorsi dodici anni. Seduto alla cattedra di un’aula tiri fuori dalla borsa una cartella, la apri, e mostri tutta la tua “corrispondenza” riguardante gli animali, le lettera ricevute dalle persone più diverse, i primi piani colorati di cani e soprattutto di gatti in quantità, petizioni e simboli del WWF, favole e nonsense, filastrocche e addii poeticamente trasformati in arrivederci …
Sì, la Bibbia degli animali era come se brillasse in filigrana nell’altra Bibbia che venivi a insegnare, tu che amavi dirti ebreo cristiano, plasmato dai midrash e dalla fede nella parola: il Talmud e Giona, Samuele, Mosè, il Dio lontano che ci chiede aiuto, gli angoli nascosti del creato e delle profezie. La portavi nel tuo bagaglio, nei treni, perché ciò che amiamo non è un peso e la carezza data al momento giusto restituisce un amore leggero.
Ci davamo del “lei”, ma mi sento di dare del “tu” alla tua anima, tanto vicina nell’assenza, eppure separata da un abisso di mancanza. Ciò che si prova per un familiare, per una persona che ha modellato la nostra vita e nei confronti della quale il dolore si mescola alla gratitudine, all’infinita riconoscenza. Voglio chiudere con la poesia da te dedicata al cane Bobi, del tuo caro amico Renzo Gherardini, perché mi scrivesti che la dedicavi anche alla mia Alice, e mi piace che sia preceduta da una frase letta, riletta, creduta, sperata, dubitata, rimasta sempre impressa nella memoria: “Ma una cosa le voglio dire: io sono certissimo che i nostri animali risorgeranno con noi, e divideremo con loro il paradiso”.
Bobi, che su nel cielo
muovi la coda a Dio,
è stata la tua sorte
essere amato e amare
in vita come in morte.
Ora ti prego, insegnaci
a varcar quella porta
mentre si fa più corta
la nostra attesa; e un filo
di luce del tuo pelo
ci guidi a ritrovarti
nel prato di asfodelo.
Un abbraccio.
Maria Grazia
QUALE DIO?
Nel 2004 a Falconara M.ma nell’Auditorium del Convento di Sant’Antonio dei frati minori, in occasione della Rassegna teologica “Il Dio nascosto”, organizzato da Fabio M. Serpilli in collaborazione con il Comune, dopo la relazione, Paolo De Benedetti, accettò un dibattito con il pubblico, che qui riportiamo.
dal dibattito
DOMANDA: Esiste secondo lei la Provvidenza?
DE BENEDETTI: È molto difficile, parlando fenomenologicamente, distinguere la Provvidenza dal caso. Un esempio molto semplice. Un uomo passa sul marciapiede ed un vaso da una finestra gli cade vicino senza colpirlo. È la Provvidenza? Passa un altro uomo e il vaso gli cade sulla testa. È il caso!
La Provvidenza è un concetto primordiale se la consideriamo in questo modo. Se invece la intendiamo nel senso più elevato, cioè come disegno di Dio, la salvezza attraverso Cristo, il Regno dei cieli, allora sì, la Provvidenza ha un profondo significato teologico. Per la quotidianità bisogna fare un po’ di attenzione. La Provvidenza non ha salvato i bambini di Auschwitz che erano più che mai degni di ricevere la Provvidenza.
DOMANDA: Ad ogni domanda è necessaria la risposta?
DE BENEDETTI: Nel mondo cristiano si fanno le domande ma si vogliono le risposte, possibilmente da un’autorità; nel mondo ebraico l’importante è fare le domande e poi magari discutere. Comunque siamo convinti che il numero delle domande sarà molto maggiore delle risposte che potremmo avere. E questo è un bene anche perché la vita del mondo che verrà – pensavano i maestri – consisterà nel fare domande a Dio e ricevere risposte. Nel Qoelet, libro biblico che getta infiniti dubbi su Dio, una delle parole chiave è “chissà”, “chissà se…”, “chissà che…” In un certo senso le domande fatte a Dio consolano Dio. Mi riferisco a Isaia (40,1): «Consolate, consolate il mio popolo!» che una interpretazione rabbinica legge anche così: «Consolami, consolami, o popolo mio». In che cosa possiamo consolare Dio? In tanti modi. Edgar Doctorow nel suo romanzo In principio, narra un bell’episodio. In un ghetto, finita la riunione, il rabbino si calcò in testa il cappello sgualcito, uscì e disse: «Vado a pregare Dio per farlo esistere!» Dio ha bisogno che noi lo facciamo esistere. Anche il poeta italiano Giorgio Caproni, di convinzioni atee invoca paradossalmente Dio perché esista. La cosa è molto strana e significativa.
DOMANDA: Il male da dove viene?
DE BENEDETTI: Io, a mo’ di scherzetto, mi chiedo perché Dio non ha fatto la settimana corta e ha chiuso officina il venerdì, quando non aveva ancora creato l’uomo. Il mondo, con astri, piante e animali, sarebbe rimasto in piedi meravigliosamente. Non si usava ancora la settimana corta. Si dice che quando volle creare l’uomo, Dio avesse consultato gli angeli. Alcuni gli dicevano di non crearlo perché avrebbe procurato solo dei fastidi. Altri, invece, gli dicevano che in fondo valeva la pena di dargli fiducia. Ed altri ancora insistevano per il no perché dicevano: «Commetterà tante ingiustizie!» Allora Dio: «Ah, sì, sì, ma mentre voi discutevate io l’ho creato!». Dio ha creato l’uomo libero e si dice che causa del male del mondo è proprio la libertà dell’uomo. Ma l’uomo è libero davvero o la libertà non è piuttosto un mito? Da che cosa l’uomo è libero: dagli influssi della società, dalla sua situazione esistenziale? In Deuteronomio (30,19) si dice: «io ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione; scegli dunque la vita…» È facile questa scelta?
DOMANDA: L’amore nell’ebraismo è lo stesso che nel cristianesimo?
DE BENEDETTI: In Levitico (19,18) si incontrano le stesse parole che poi saranno in bocca a Gesù:
«Ama il prossimo tuo come te stesso!» I Maestri lo leggono: «Ama il prossimo tuo perché è te stesso.» L’universalità dell’amore cristiano non è la contraddizione del comandamento ebraico. Tra l’altro ‘prossimo’ significa ‘vicino’ e nel concetto di prossimo vi sono anche gli animali e le piante, tutto il creato. Nella concezione rabbinica troviamo questa frase: «Anche gli alberi pregano e se uno abbatte un albero prima del suo tempo, questo albero getta un grido che va da un capo all’altro del mondo.»
Dio in Gesù ha fatto esperienza dell’onnipotenza dell’amore, non dell’onnipotenza imperiale. Sul suo esempio Francesco d’Assisi, Teresa di Calcutta ed altri ancora. Gandhi, perché no?
DOMANDA: Ebraismo o Cristianesimo?
DE BENEDETTI: Io direi che in questo momento non ci stiamo avvicinando né all’uno né all’altro ma credo che se queste due religioni porteranno avanti le istanze del patto essenziale che Dio ha stipulato con gli uomini, si arriverà davvero alla pienezza dei tempi che tutti attendiamo nonostante le differenze, soprattutto per le differenze.
Fabio M. Serpilli
Come una vecchia fotografia
Paolo De Benedetti a Urbino, non so se all’Università di Carlo Bo, era seduto alla maniera dei grandi nella sala del palazzo Petrangolini, luogo di incontri estivi.. Serbo nella memoria un disegno a penna di Picasso che ritrae Stravinski a linea continua, un musicista, mi pare Paolo sarebbe stato più spigoloso, ma più simpatico. Un’immagine serena lontana dallo stile accademico e questo anziano signore che interveniva in fatti curiosi e profondi attinenti alla sacra scrittura. Certo i ricordi si annebbiano, ma quando ho sentito ricordarlo per la rubrica “Uomini e profeti” ho rivisto chiara la figura di Paolo De Benedetti accompagnato da alcune nobili signore della sua età e negli orecchi ho risentito la sua voce che chiamerei vocina, quasi come il suono della lama dei pattini su ghiaccio che solca appena e lascia un poco di sabbia bianca. Gli argomenti nello stesso tempo arcaici e contemporanei.
Raimondo Rossi