Ricordo di Giampiero Bof
Giampiero Bof a Urbino
di Gastone Mosci
Per una trentina d’anni il teologo Giampiero Bof ha frequentato Urbino al seguito delle iniziative di teologia e filosofia di don Italo Mancini, dagli anni settanta ai primi del Duemila. Faceva parte del gruppo di docenti che fin dal 1979/80 ha dato vita all’Istituto Superiore di Scienze Religiose. L’intuizione è stata del magnifico rettore Carlo Bo nel ’68 ma l’azione operativa è stata progettata da don Italo Mancini, che voleva portare il dibattito teologico nell’università italiana, nell’ordinamento universitario, pubblicamente, con trasparenza, in virtù degli studi di filosofia e teologia molto impegnativi e approfonditi. Non ripetere una facoltà teologica ma organizzare un corso di studi teologici inedito, in linea con i tempi nuovi, ben accolto nel mondo universitario.
C’era Giampiero Bof con grande disponibilità e con spirito nuovo e con operosità umile. Nel contesto urbinate voleva dire applicarsi con i tempi di lavoro della ricerca universitaria e con il dialogo permanente fra docenti e studenti. Don Italo istituì la forma del seminario, dello studio continuo, della passione per la lettura, la conversazione e il confronto delle idee. L’itinerario della ricerca voleva rappresentare la pienezza di un progetto e una adesione, al pari di una continua preghiera visibile. Pur inserito in tanti luoghi di studio e di docenza, Bof, come gli altri professori, in prima fila don Mancini, era insieme a Settimio Cipriani biblista, Paolo De Benedetti studioso di ebraismo e scrittore, Luigi Sartori teologo e animatore del Concilio, Giannino Piana teologo moralista, Aldo Natale Terrin storico delle religioni, Kaled Fouad Allam per l’islamismo, poi gli urbinati Enrico Garulli per la filosofia contemporanea, Piergiorgio Grassi per la sociologia religiosa, padre Graziano Ripanti per la teologia, padre Giacomo Bini per la liturgia, padre Gianfranco Brocanelli per la storia del movimento cattolico, padre Adriano Gattucci per la storia medioevale, padre Giuseppe Calzavarini per la teologia dell’America Latina, André Joos per le comunicazioni sociali, Maria Grazia Sassi per la letteratura cristiana antica e qualche altro. Il luogo dell’Istituto era fantastico: in piazza Rinascimento di fronte al Palazzo Ducale, nel contesto di Palazzo Petrangolini con la facoltà di Lingue, il Circolo Acli-Centro Universitario, sede dei seminari, la redazione del settimanale “Il nuovo amico” ed il collegamento con la rivista “Hermeneutica” e i quaderni de “Il Nuovo Leopardi” nelle Edizioni QuattroVenti. Un centinaio di studenti che venivano da ogni regione a studiare teologia e filosofia, letteratura e arte.
In questo ambiente Giampiero Bof si trovava bene, era diventato l’amico di tutti ed era il frequentatore assiduo dei seminari. Ricordo con gioia quella stagione: questo elenco pur incompleto è già una piccola sintesi. Vorrei ripetere che accanto a professori come Carlo Bo, don Italo Mancini e l’arcivescovo Donato Bianchi, c’era il collegio dei docenti, un parterre de rois, e il corpo studentesco di grande qualità (umanità e formazione). Si viveva in un pieno contesto universitario. L’Istituto aveva delle radici ben riscontrabili presso il Convento San Bernardino funzionava negli anni settanta il Circolo Culturale San Bernardino presieduto da don Mancini, un ambiente comunitario di studio e di formazione con docenti universitari di varie discipline e di forte richiamo, improntato all’umanesimo ed intelligenza di Carlo Bo . Le attività culturali del Circolo erano molto seguite dal mondo universitario e culturale del territorio aperto a tante culture. Il Convento si trovava a tre km dalla città ma c’era sempre un gran viavai e una grande accoglienza da parte dei francescani. Un luogo editoriale di rilievo di quella grande animazione era il mensile tabloid di presenza culturale “Il Leopardi”, direttore Valerio Volpini (1974-75, 17 fascicoli, con molte firme urbinati).
I teologi insegnavano accanto agli scrittori, gli scienziati accanto ai filologi, storici e sociologi: tutte discipline amate da don Giampiero. Una volta a metà degli anni ottanta, Gianpiero chiama i colleghi al ristorante da Franco, a Palazzo Petrangolini, dove andava a pranzoanche Carlo Bo. Doveva essere una sorpresa, C’era lui, poi don Italo, Piergiorgio Grassi, e sarebbe arrivato Carlo Bo ma nel frattempo al tavolo c’era il suo amico don Mario Genta della Comunità di San Raffaele, cappellano del porto di Savona, un testimone acuto che forse ha oggi 93 anni; altri cappellani erano lì: quello di Genova e quello di Marsiglia, ed anche due simpaticissimi cappellani inglesi di Manchester e di Liverpool. La nipote di quest’ultimo faceva l’Erasmus a Urbino e studiava filosofia. Parlavano tutti insieme tante lingue, sembrava un circolo conciliare. Era il porto di Giampiero Bof, tutti amici insieme, una immensa comunità fra Mediterraneo e Oceano Atlantico.
Gastone Mosci