Giovanni Bianchi I
Don Giampiero Bof

Ricordo di Giovanni Bianchi

in Cultura

Ricordo di Giovanni Bianchi

Giovanni Bianchi Fano

Fano 6 marzo 2013 Terre di Mezzo organizzato da CIrcolo Maritain – Fano, ACLI Pesaro, Monastero dei Camldolesi di Monte Giove – Fano

Palazzo Palazzi, Terre di Mezzo: Giovanni Bianchi relatore della serata dedicata al Cardinale Martini discute con Giovanni Santarelli. Giovanni Bianchi è autore del libro “Martini Politico e la laicità dei Cristiani” , Edizioni San Paolo, Milano, 2007.

 

In ricordo di Giovanni Bianchi

di Giannino Piana

Ho conosciuto Giovanni Bianchi nei lontani anni 60 del secolo scorso a Legnano nella parrocchia dei Santi Martiri, in casa di don Franco Fusetti, che era stato negli anni precedenti suo parroco a Sesto San Giovanni. Mi ha subito colpito, incontrandolo, la vastità degli interessi, che spaziavano dall’arte alla letteratura, dalla filosofia alla politica. Il rigore delle argomentazioni si accompagnava all’adozione di un linguaggio originale e brillante, ma soprattutto a una grande capacità di coinvolgimento degli interlocutori, che favoriva lo sviluppo di un confronto dialogico e costruttivo.

 

Ho rivisto poi Giovanni in diverse circostanze a Milano, in occasione di seminari e convegni da lui organizzati, in qualità di presidente delle Acli regionali. Ho sempre risposto con grande interesse all’invito a partecipare agli incontri da lui organizzati, non solo per la qualità delle ricerche che venivano in quelle sedi condotte, ma anche (e soprattutto) per il clima di libertà che vi si respirava. Giovanni era un conduttore abilissimo: sapeva collegare tra loro voci diverse, facendo sintesi dei vari interventi e rilanciando la riflessione in avanti, verso ulteriori mete.

 

Quando si trasferì a Roma, divenuto presidente nazionale delle Acli, gli incontri divennero più rari. Ricordo di questo periodo un seminario, di cui sono stato animatore, che si protrasse per un’intera giornata con i dirigenti nazionali, sull’etica e sulla spiritualità del lavoro. Giovanni si trovava qui pienamente a suo agio. Egli infatti concepiva le Acli come un’ambito formativo, in cui cultura e spiritualità dovevano intrecciarsi strettamente tra loro, creando le premesse per un impegno sociale, che doveva poi svilupparsi in ambito sindacale amministrativo e politico e concorrendo a dare all’associazione un’impronta nuova, che lascerà un segno profondo negli sviluppi futuri.

 

Il passaggio alla politica non è stato per Giovanni facile. La partecipazione da sempre all’area dei cattolici democratici aveva certo create le premesse per una forma di partecipazione civile, ispirata ai valori della libertà e della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Ma l’impatto con l’attività di partito e con i lavori parlamentari – me lo confidava in uno dei pochi incontri avvenuti in quella stagione – faceva affiorare alla coscienza una serie di conflitti non facilmente solubili. La ricerca di un equilibrio tra ideale e realtà, tra utopia e realismo politico non poteva che suscitare una forte tensione interiore: il timore di perdere di vista i valori in cui si era sempre creduto.

 

Giovanni ha tuttavia vissuto tutto questo – comprese le ore difficili (non si può non ricordare la vicenda della divisione interna al partito democristiano, di cui era presidente, provocata dalla scelta del segretario Buttiglione) – con grande lucidità e coerenza, avendo come riferimento costante l’adesione a un’etica della responsabilità. L’attenzione ai valori ricordati, ai quali non si doveva rinunciare, non poteva prescindere dalla ricerca del risultato, dal misurarsi con l’efficacia della azione, in vista del perseguimento del “bene possibile” (non di quello assoluto astrattamente concepito) per incidere sulla realtà e migliorarla.

 

Chi ha seguito questo periodo intenso e fecondo di Giovanni non può dimenticare la passione con cui riusciva a conciliare la riflessione culturale sulla politica, la ricerca cioè di prospettive etiche e ideologiche, che fornissero ad essa una vera progettualità, e il coinvolgimento diretto nelle questioni dei cittadini comuni (in particolare di quelli del collegio in cui veniva eletto), che avevano in lui un interlocutore attento e impegnato a cercare soluzioni concrete. La politica era per lui un vero servizio, che esigeva rigore intellettuale e attenzione costante ai bisogni della gente, in particolare ai diritti dei soggetti più marginali e meno garantiti

 

Rientrato, negli ultimi anni, nella sua Milano e preoccupato della deriva negativa assunta dalla politica e, più in generale, delle spinte individualiste e mercantili presenti nella società, egli aveva sentito il bisogno di rilanciare, in chiave formativa, i grandi temi che sono alla base della costruzione di una società libera e giusta e della creazione di una convivenza ordinata e pacifica. Per questo aveva dato vita al circolo Dossetti, un vero e proprio laboratorio in cui si svolgeva, in forma seminariale, e con il coinvolgimento di energie vecchie e nuove, un’importante riflessione volta ad analizzare i processi sociali in corso e ad individuare nuove prospettive di azione.

 

Lo incontrai per l’ultima volta quattro anni fa proprio in occasione di uno di questi seminari, in cui ero stato da lui invitato ad introdurre il tema del giorno. Lo vidi, in quella occasione, un po’ psicologicamente provato: la situazione – mi disse – è particolarmente brutta, e non si vedono spiragli di fuoriuscita, ma non dobbiamo rinunciare a sperare. L’ho sentito in seguito alcune volte per telefono, soprattutto in occasione della pubblicazione in una collana della Cittadella editrice da me diretta (con Paolo Allegra e Biagio Bonardi) nel 2013 di un suo saggio dal titolo Politica o antipolitica? Tra passione e qualunquismo (forse l’ultimo suo contributo di carattere etico-politico).

 

Poi il silenzio! Ma il ricordo del suo volto penetrante e del suo sorriso accattivante rimangono impressi dentro di me. Come rimane in me impressa l’immagine di un uomo straordinario, che sapeva unire la più radicale laicità politica con una religiosità così profonda da raggiungere accenti mistici. Di un personaggio poliedrico, che sapeva coniugare teoria e prassi, umanesimo classico – la poesia è stata al centro dei suoi interessi e del suo impegno diretto – e ricerca teologica, che si traduceva in apertura sapienziale alla vita, intessuta di una spiritualità del quotidiano, che affondava nel messaggio biblico le proprie radici. In definitiva, di un credente laico la cui fede, lungi dall’essere motivo di evasione dal mondo, era stimolo all’assunzione di una piena responsabilità in esso; una responsabilità, fondata sulla consapevolezza che l’impegno per la giustizia era il modo storicamente concreto di offrire il proprio contributo all’edificazione del regno del Signore.

Giannino Piana

 

LA TESTIMONIANZA DI DUE CARI AMICI: BARTOLO CICCARDINI E GIOVANNI BIANCHI

 

di Massimo Cortese

 

Bartolo Ciccardini e Giovanni Bianchi, oltre a presentare dei tratti comuni, conservano un elemento apparentemente bizzarro, che forse bizzarro non è per nulla: la Staffetta. Mi spiego. Entrambi intellettuali ed eccellenti educatori, sono stati due importanti politici, ma in spazi temporali ben distinti. Bartolo è stato in Parlamento dal 1968 al 1992, anche se la sua attività politica ha inizio nel secondo Dopoguerra, quando ha ricoperto incarichi importantissimi nella Democrazia Cristiana, sempre legati al campo della comunicazione. Dopo la tragedia di Mani Pulite, Bartolo cessa di essere un deputato e, per ironia della sorte, la fase più delicata del cattolicesimo politico italiano, quella che va dalla conclusione dell’esperienza politica della Democrazia Cristiana alla nascita del Partito Popolare, che poi trasmigrerà nella Margherita, si affida allo spessore di Giovanni Bianchi, che appunto sarà parlamentare dal 1994 al 2005. Se per oltre quarant’anni la DC ha ricoperto il ruolo di Partito – Stato, al punto che il solo ricordo della Balena Bianca suscita ancora tanta nostalgia per un tempo che non ritornerà più, il periodo della sofferenza dei cattolici democratici non sarà meno importante. In entrambi i casi, Ciccardini e Bianchi hanno offerto il meglio delle loro persone, spendendosi generosamente sia in parlamento, sia nella società civile.

 

 

Bartolo Ciccardini di Cerreto d’Esi

 

Bartolo Ciccardini nasce in un piccolo comune marchigiano, Cerreto d’Esi, a due passi da Matelica, dove viveva un altro personaggio mitico del nostro dopoguerra, quell’Enrico Mattei, la cui figura è fondamentale per comprendere lo sviluppo industriale del nostro Paese. Bartolo si occuperà proprio di Comunicazione all’Eni di Enrico Mattei, partigiano cattolico, che in questa sua veste fondò l’Associazione Partigiani Cristiani che, come vedremo, accomunerà entrambi. Ma facciamo un passo indietro: fin dai tempi della tesi di laurea sulla formazione dei Partiti Politici dopo l’Unità d’Italia, il germe della politica avrà per il giovane Bartolo, che aveva conosciuto nell’adolescenza la privazione delle libertà del Ventennio, il sapore dell’amore a prima vista. Tanto amore non poteva non tradursi nel legame definitivo con la politica che lo porterà a stabilirsi a Roma, dove, giovanissimo, frequenta casa Portoghesi e conosce i professorini della Comunità del Porcellino, quali Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati. Benchè eletto Deputato dal 1968 al 1992, pur avendo ricoperto incarichi governativi, Bartolo non smetterà di agire da militante, come testimonia la campagna referendaria sull’elezione diretta dei sindaci, che condivide con Giovanni.

 

 

Giovanni Bianchi di Sesto San Giovanni

 

Questi nasce invece a Sesto San Giovanni, “la Stalingrado d’Italia”, dove l’attività politica di un cattolico conosceva la difficoltà di avere a che fare con una realtà operaia e comunque problematica. D’altra parte, il clima cambia negli Anni Novanta, e la crisi del sistema dei partiti porta con sé le conseguenze di un cambiamento epocale. Giovanni Bianchi crede nella politica con la P maiuscola, ed anche se si trova ad operare in una situazione obiettivamente difficile, non si tira indietro ed accetta la candidatura nel Partito Popolare, erede naturale della Democrazia Cristiana.

 

 

Ciccardini e Bianchi nella società civile e nell’eredità del Codice di Camaldoli

 

Poi, una volta dismesse le rispettive carriere politiche, Ciccardini e Bianchi non spariranno dalla circolazione, e continueranno a credere e ad operare nella società civile, con la direzione della rivista online Camaldoli, rispondendo agli inviti delle varie Associazioni. In questo senso, la rete è veramente piena di video contenenti gli interventi di Giovanni Bianchi, segno questo di una vivacità infinita, grande come il suo cuore. Anche sul versante della cultura, Giovanni e Bartolo sono stati due intellettuali di spessore, come è testimoniato dall’infinità di scritti, saggi, racconti, poesie, per non parlare poi della partecipazione alle riviste.

 

 

Testimoni del cattolicesimo democratico

 

Insomma, Ciccardini e Bianchi sono stati due grandi testimoni del loro tempo, figli di quel cattolicesimo democratico e di quell’interesse per il bene comune, che nella società odierna rappresenta una merce rara.

 

 

Nell’ANPC e nelle Acli

 

Nel concludere, va detto che Bartolo e Giovanni hanno un altro denominatore comune, vale a dire l’amore per i valori nati dalla Resistenza, che trova la sua naturale collocazione per i due esponenti del mondo cattolico, nella comune appartenenza all’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, fondata da Enrico Mattei. All’A.N.P.C. Ciccardini e Bianchi saranno Segretario e Presidente, ma questa volta giocheranno entrambi da titolari. Moriranno entrambi nel palcoscenico: Bartolo sarà colto da malore fatale nel corso di una pizza con gli amici, ai quali stava presentando alcune sue iniziative, mentre Giovanni, che pure era a conoscenza di un male incurabile, stava preparando una relazione da esporre in Toscana ad un’Associazione di cattolici lombardi. Negli ultimi anni Giovanni aveva avuto anche la scomparsa della figlia Sara, giornalista del Sole 24 Ore.

 

Bartolo Ciccardini e Giovanni Bianchi, di cui ho cercato di delineare qualche tratto, sono state due persone importanti per la Storia di questo Paese e dell’Associazionismo Cattolico in particolare. Per fortuna, hanno lasciato tante di quelle testimonianze, tanti di quei sassolini che, messi insieme, ci offriranno, se non proprio una strada, almeno un sentiero sicuro che ci sarà d’aiuto per meglio comprendere la realtà odierna.

 

Massimo Cortese