Urbino, Leggere la Poesia / Leggere i poeti
Rosanna Gambarara
Dice Rosanna Gambarara: Sono nata a Urbino. A Urbino ho studiato, mi sono laureata in lettere classiche ed ho insegnato qualche anno, prima di trasferirmi a Roma, dove attualmente vivo, e dove ho continuato ad insegnare. A seconda dei momenti e delle esigenze espressive e formali scrivo poesia in lingua e in dialetto di Urbino, in versi sciolti o nella forma metrico-ritmica del sonetto. Adoro Schubert e non solo. Canto gioiosamente nel coro “Jubilate Deo” e “Musica insieme”.
Seguono alcuni interventi: Nota di apertura della manifestazione di Gastone Mosci e Dialogo-intervista fra Rosanna Gambarara e Germana Duca.
Rosanna Gambarara e la sua nuova poesia
di Gastone Mosci
Il debutto di Rosanna Gambarara nella poesia è una sorpresa. Si è affacciata due anni fa nel mondo letterario urbinate con curiosità e cautela, parlando della sua passione per il dialetto di Urbino, ravvivata dalla lontananza romana. Ha preso contatti con gli urbinati, ha parlato con Maria Lenti, Alberto Calavalle, Fabio M. Serpilli, Mario Narducci, Silvia Cuppini. Si è messa in rete con il fervore della poesia libera e spontanea. E a fine 2016 ha mostrato il suo libro pubblicato nelle edizioni romane di Pagine con il titolo “Hysteron Proteron”, che gioca sulla inaffidabilità del tempo. E canta anche in due cori romani famosi.
Nella terza sezione del libro, le poesie in dialetto sono precedute dalla traduzione, in apertura del testo ci sono le poesie in lingua più recenti, la seconda sezione presenta le poesie più antiche. Negli ultimi due anni ha fatto sentire la sua voce poetica – perché di vera poesia si tratta – ed anche il suo spirito urbinate autentico e rinnovato – perché si tratta di neodialetto.
L’incontro di oggi è segnato dal desiderio di comunicare, di conoscersi meglio e di incontrare testimoni di esperienze culturali e di cittadinanza sociale. Rosanna canta in due cori romani, Jubilate Deo eMusica insieme, è spesso in viaggio, ha ripreso il tragitto Roma-Urbino. Si è affidata alla Libera Università Urbinate Carlo Bo, l’Unilit, per aprire una finestra nuova nel panorama letterario attuale. Questa nota è una semplice introduzione, un avvio del dialogo che ci accompagna nel 2018. “Leggere la poesia / Leggere i poeti”: bisogna guardare la gente e il mondo, far uso degli occhi e amare la vita.
La prima sezione della silloge porta il titoloDivagazioni, il titoletto di ogni pagina invece indicaApprodi,vale a dire occasioni e richiami, Montale e Volponi. Cominciamo bene: i poeti ma anche il fascino di Wisuawe Szymborska,Nobel 1990, poesia della saggezza, chi ti guarda, chi ti ascolta, canta e dunque chi prega. Qui troviamo il mistero della musica che si accompagna alla poesiaLa voce delle piccole cose: un canto silenzioso, appena un fruscio, le gemme delle piante, l’uccellino, la piccola goccia.
Rosanna Gambarara ci porta in un mondo poetico nuovo, una nuova poesia (più avanti un neodialetto).La voce delle piccole cose è il luogo della gioia, del vivere insieme. E’ una poesia intensa.
Bisogna avere paura? Altra poesia,La paura c’è, è “nascosta / non si scorda di te”. E’ un sentire improvviso, ti assedia dove ti trovi, ma non è determinante. La paura è la condizione dell’insicurezza? No, il valore sta nelle piccole cose, nella gioia.
La poesiaLettera 22 è favolosa: è il luogo del lavoro, provoca il sentimento della vita.
L’attesa è l’altro grande tema di questi “Approdi”, luoghi decisivi. E’ un canto con diverse tonalità… “Non c’è attimo senza attesa / anche quando il cuore riposa / c’è l’attesa di qualcosa”. Sì, forse la quotidianità è un altro valore: come essere se stessi, segretamente con l’aiuto di chi ti assiste. Oppure l’attesa è un sogno permanente? No! “L’attesa di una nuova innocenza / di una utopia.”
In questo itinerario dinuova innocenza segue “Il silenzio”, altro canto di luogo nuovo, non di stagione nuova, ma di sentimento: ecco il racconto del silenzio: “Non lo senti”, “Il silenzio non è”. “(…) il sospiro delle galassie più remote”. Ecco il silenzio è un aiuto, un luogo dello spirito, come “capire le sillabe del segreto / nell’inquieto respiro / del mare”. Ad ogni affermazione l’attimo del silenzio trova un segreto lontano, dove ogni piccola cosa esiste ed ha un valore.
“Il silenzio non è essenza. / E’ il luogo in cui il pensiero ricama / la trama / delle sue verità”. Inoltre, in ogni poesia c’è una chiusura musicale o un gesto di adesione ritmica: “L’immensa dimensione vuota in cui si perde e annega l’ultima nota”.
Leggo ora Sguardo (p. 15), una poesia complessa e inebriante. “Che vedi?” il muro, la pittura, l’ambiente, i pensieri, i luoghi, le caviglie del flamenco, il pomodoro con quanto segue: un volto; la dimensione umana: la fuga, la guerra, il lamento. Sembra il correre con una macchina fotografica
Il ritmo è spigoloso: mi sembra di leggere la poesia di Mairizio Cucchi sul settimanaleOrigami: Cucchi coglie la quotidianità visibile, sperimentale, Rosanna pone sussulti e “divagazioni”, “approdi”, emozioni.
L’aforisma di Menandro,Chi gli dei amano muoregiovane(p.18), è anche titolo di una poesia e motivo di ribellioni. “Sulla spalletta del cavalcavia”, una fotografia, dolore, un attimo, vagabondaggio, le rughe del vivere. Un passo falso. Non mi consola il pensiero di Menandro né il cataclisma della galassia…
Gastone Mosci
Dialogo-intervista fra Rosanna Gambarara e Germana Duca
1) GD – Il viaggio attraverso l’opera prima poetica di Rosanna Gambarara è pieno di sorprese, ricco di argomenti e suggestioni. Un ‘viaggio tutto compreso’ – verrebbe da dire – trattandosi di un tour organizzato intorno alla vita. Un percorso di circa novanta pagine; in tre tappe, denominate “Divagazioni”, “In filigrana”e, per finire, “Hysteron Proteron”, da cui proviene il titolo.
Anche chi non sa di greco, grazie a una nota dell’autrice, apprende che i testi qui raccolti seguono un ordine cronologico inverso rispetto alle date di composizione: le poesie in lingua, elaborate negli ultimi anni, precedono i ventuno sonetti in dialetto urbinate, scritti per primi. Questi, a loro volta, sono preceduti dalla versione italiana, che normalmente si pone dopo. Un procedimento originale, che sembra contraddire il concetto di tempo progressivo, producendo curiosità in chi legge.
A riguardo, è possibile sapere com’è maturata in te questa scelta? Essa ha qualche relazione con le parole di Sant’Agostino, poste sulla soglia del libro?
RG – Le parole di Sant’Agostino sono più che mai attuali oggi che la fisica quantistica ci dice che il tempo come noi lo concepiamo non esiste, che la percezione che noi abbiamo del suo fluire dipende dalla nostra”miopia”, come dice Carlo Rovelli, dalla nostra visione sfocata del mondo, che non riesce a cogliere la danza, nei loro tempi propri, dei miliardi e miliardi di molecole che compongono l’universo. Quella del tempo per me è una suggestione ricorrente, quindi torna e ritorna nelle mie poesie come sfondo di ricordi (Camp associativ – Cantina, pag.71; El buton, pag. 77; Riga spartitraffic, pag.80)o addirittura di fantasie di altre vite vissute (Metempsicosi – Ritorno a Goreme, pag.43; Ipottesi, pag.47; Vivaldi, pag.55) o che vivrò, o semplicemente come misura dei nostri cambiamenti nel corso del suo fluire (Sintesi, pag.69; Quand artorne a Urbin, pag.79).
Campo associativo – Cantina
Umido odore di legna e di fascina
e passi sospesi.
Dalla grotta scura
un alito ghiaccio di morte
e di paura primigenia.
Mi ritrovo per un attimo piccola
con i tonfi del batticuore
dentro la trina tenace del buio.
Di là però
sono sicura
odoroso di vino e di frescura
mi aspetta il golfo tranquillo calmo della cantina…
Sogni di riposi beati e di abbondanza
grappoli fitti
turgore giallo di pannocchie
e nidi gremiti di uova
e in lontananza
pulcini a sciami
e grandine di noci e di nocchie
mucchi di grano d’oro crepitante e rude
rasposo sopra la pelle
delle mie gambe nude.
bis -Camp asociativ: cantina
Ummid odor de legna e de fascina
e pass sospesi. Da la grotta scura
un allitt giacc de mort e de paura
primigenia. M’artrov pr’un attim pcina,
sa i tonf del baticor, dentra la trina
tenac del scur. Dedlà pro, so sicura,
odoroso de vin e de frescura
m’aspetta el golf tranquill calm dla cantina….
Sogni d’ripos beati e d’abondansa
grappol fitti turgor giall de panocchie
e nid gremitti d’ov e in lontanansa
pulcin a sciam e grandin d’noc e d’nocchie
mucchie de gran d’or crepitant e rud
raspos sopra la pell dle mi gamb nud.
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Il bottone
Sotto il sinuoso ondeggiamento frusciante
dell’impermeabile lungo
color cachi
il ritmo del tuo passo al ralenti
per terra l’ombra inquieta palpitante
e dentro il cuore
l’attesa trepidante dell’eco per le scale
lo scrocco
il cigolio dei cardini …
i fiori della tovaglia
il luccichio del vino …
e le tue mani
la fronte pesante
di pensieri …
L’ho trovato nella scatola di latta
che nell’odore di muffa e di abbandono
aspetta costante
paziente
senza protesta
quieta …
E’ beige a quattro buchi
ancora
sotto ha un grumo di filo …
Portavi la giacchetta
sempre
e la camicia e la cravatta.
bis – El buton .
Sotta el sinuos ondegiament frusciant
dl’impermeabbil long color cachi
el ritme del tu pass al ralenti,
per terra l’ombra inquieta palpitant
e dentra el cor l’atesa trepidant
dl’ec per le scal, el scrocc el cigolì
di carchne….I fior dla tvaia, el lucichì
del vin…E le tu man, la front pesant
de pensier…L’ho trovat tla scattla d’latta
che tl’odor d’muffa e de abandon aspetta
costant pasient, sensa protesta, chiotta…
E’ beige a quatre bug, ancora sotta
c’ha ‘ngrum de fil…Portavi la giachetta
sempre, e la camiscia e la cravatta
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La riga spartitraffico
Riga…riga…riga…la scriminatura….
col pettine me la faceva
la mia mamma
davanti allo specchio….
la risento qui sulla pelle
in mezzo alla testa….
riga….del pigiama
avevo dieci anni?…
era di rasatello liscio
come di seta….
riga…riga…lama fina di luce
che tagliava le piastrelle
dagli scuri socchiusi….
riga…. riga…. trama che sfilavo
per fare l’orlo a giorno….
Riga Bianca….
correvo attorno alla piazza….
mi rivedo
con la gonnellina che svolazza
con l’affanno
sotto il Palazzo Ducale….
Fugge via questa riga
mentre torno a casa
nella corsia di sorpasso.
bis – Riga spartitraffic
Riga…riga…la riga…. el scarminell…
sa’l pettin me l’ faceva la mi mama
davanti al specch…l’arsent maché tla pell…
tel mezz dla testa…riga…del pigiama…
c’avev diec’ann? Era de rasatell,
come de seta, lisc….riga…la lama
fina de luc ch’taiava le piastrell
dai scur sochius, d’estat….riga…la trama
ch’sfilav pian pian per fè l’orell a giorn.
Riga Bianca!…corev torn ma la piassa…
m’arvegg sa la gonlina che svolassa,
sa le trecc, sa l’afann, sotta el palass
ducal….Fugg via ‘sta riga mentre artorn
a casa, in tla corsia de sorpass.
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Metempsicosi – Ritorno a Goreme
Forse io veleggiai sull’altipiano
su ondulanti cammelli nell’afrore
di lente carovane che lontano
navigavano. E il languido torpore
della sfatta lussuria del sultano,
donne in scrigni di vesti dall’odore
carnale forse seppi, e il meridiano
greve corrotto magico fulgore
di Istambul. Seppi l’abbandono molle
e lo sbocciar frusciante di corolle
in vortici di danze senza fine.
E seppi dita acerbe di bambine
alle arpe dei telai, i riflessi rosa
del sale. E questa pomice corrosa.
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Sintesi
Mentre fuori
si riaccende un giorno normale
come un altro,
ti prego, Signore,
solo per un minuto,
ridammi,
rifammi le palpebre di velluto
come ieri.
Mentre la trama sempre uguale
di là dal vetro si ricompone
e tutto ricomincia la sua corsa
tale e quale,
rifammi le guance dolci
come un frutto maturo,
ridammi la fresca acerba voce di ieri,
l’incavo del fianco,
lo slancio feroce del passo,
lo sciame delle attese
dietro la fronte
e l’onda dei capelli intrisi di vento,
quando ancora
la dura incandescente saggezza d’oggi
era di là dall’orizzonte.
bis – Sintesi
Mentre fora s’arcend un giorn normal
com ‘n antre, t’preg, Signor, sol p’r un minutt
de dentra la cornic de ‘st specch oval
ardamm, arfamm le palpebre de vlutt
com ier, mentre la trama sempre ugual
dedlà dal vetre s’arcompon e tutt
arcmincia la su corsa tal e qual
p’n attim arfamm le guanc dolc com un frutt
matur, ardamm la fresca acerba voc
de ier, l’incav del fianc el slanc feroc
del pass el sciam dle ates dietra la front
e l’onda di capei intrisi d’vent,
quand ancora la dura incandescent
sagessa d’ogg era dlà d’l’orizont.
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Quando torno a Urbino
Va e viene come il tic tac dell’orologio
cammina l’ombra
si nasconde piano sotto il loggiato
poi ricresce
e il sole
poco più di una fettuccia sottile
si allarga e poi si ritira sul selciato.
E l’eco delle voci
rimbalza e si sfarina
da muro a muro
si srotola nel fiato dell’aria
che la ricompone e la rimescola,
oggi come ieri.
Il tempo pare che si sia fermato.
Dall’ombra al sole
dal sole all’ombra
passa come ieri la gente,
si raccoglie sotto le logge,
parla e passeggia
e poi risciama nella piazza,
si sparpaglia per i vicoli,
come ieri oggi.
Ma negli occhi spenti
nelle facce gualcite
si specchia il tempo.
Guardo.
E so di essere diventata vecchia.
bis – Quand artorne a Urbin
Va e vien com el tic tac dl’orlogg, camina
l’ombra, se nascond pian sotta el logiat
po’ arcresc, e el sol poc pio d’na ftuccia fina
se slarga e po s’artira tel selciat,
e l’ec dle voc rimbalsa e se sfarina
da mur a mur, se srotola tel fiat
dl’aria che l’arcompon e l’armuscina,
oggi com ier. El temp par ch’s’è fermat.
Dal’ombra al sol dal sol al’ombra passa
com’ier la gent, s’arcoi sotta le logg,
parla e paseggia e po’ arsciama tla piassa,
se sparpaia pi vigol. Com ier ogg.
Ma ti occhie spent, tle facc gualcitt se specchia
el temp. Guard. E so ch’so dventata vecchia.
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2) GD -Presente e memoria, spirito in cerca di risposte nel corpo che cambia. E, in tutto questo, la lingua, il dialetto, la loro musicalità. Ecco, proprio dalla musica vorrei ripartire. Schopenhauer ricordava che essa, più delle altre arti, rapisce l’animo, lo fa evadere, lo libera dalle costrizioni. La tua poesia, così affollata di suoni, ritmi e richiami sinfonici, che cosa deve alla musica? Che rapporto c’è fra queste due arti?
RG – Credo che dalla musica mi derivi l’esigenza di una poesia che, oltre che dire, attraverso un significato diretto ed esplicito o più nascosto e visionario, canti. Le parole hanno un ritmo e un suono , che variano nel loro incontrarsi e combinarsi. Questo livello, nel farsi di una poesia, per me è molto importante. Una poesia nasce nel momento in cui quello che voglio dire trova il suo ritmo e il suo suono, la sua musica. Non più la musica della metrica classica in senso stretto, certamente, ma di una metrica moderna che la riecheggia nei quinari senari settenari… e pure endecasillabi, variamente combinati nel verso libero. E che non rinuncia alla rima, a fine verso o al mezzo, alle assonanze, consonanze, allitterazioni, fuori ovviamente da schemi fissi. Oggi uso il sonetto solo per le poesie d’occasione, rigorosamente scherzose, perlopiù auliche, alla Giovan Battista Marino, e irrinunciabilmente per quelle in dialetto, che mi arrivano in quel ritmo e in quella forma e non in altre (Vivaldi, pag.55; Concert K488, pag.57). Ma per molto tempo ho usato il sonetto anche per le poesie in lingua , pur consapevole di quanto fosse démodé. La seconda sezione di questa raccolta,”In filigrana”, comprende antichi sonetti nei quali l’endecasillabo è spezzato in versi liberi più brevi. Ma in filigrana, appunto, resta il ritmo originale.
Vivaldi
Sono scesa con le zattere
giù per l’Eufrate
può darsi
o ho navigato
forse
nell’altipiano della Cappadocia
o forse
chissà
ho contato le stelle
sopra le rotte di Magellano.
Visionaria Sibilla
chissà
sopra le foglie nel vento
ho decifrato l’arcano oppure
asceta santo
ho digiunato sopra la stele
o nel deserto.
Invano
quando la mattina il vetro si fa chiaro
cerco la risposa
tra i brandelli dei sogni perduti
di là dalla porta del sonno crepuscolare.
So solo che mi sento addosso
la pelle di un’orfanella della Pietà
che sospira
innamorata del prete rosso.
bis – Vivaldi
So scesa sa le zatter gio pl’Eufrat,
po’ darsi, o ho navigat fors tl’altipian
dla Capadocia, o, fors, chisà, ho contat
le stell sopra le rott de Magelan,
visionaria Sibilla ho decifrat,
chisà, sopra le foi tel vent l’arcan,
opur asceta sant ho digiunat
sopra la stel o in tel desert. Invan
quand la matina el vetre se fa chiar
cerc tra i brandell di sogn persi de dlà
da la porta del sonn crepuscolar
la risposta. So sol ch’me sent adoss
la pell d’una orfanella dla pietà
ch’sospira innamorata del pret ross.
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Concerto K 488
Mentre la palpebra del cielo si chiude
sopra il giro dell’orizzonte
e concilia l’abulia del sonno
e il mondo diventa palude d’ombra
e il silenzio si tinge di nostalgia
e la Sibilla si fa gentile
e nudo canta il segreto del senno e della pazzia
e il mistero si dischiude
come un bocciolo
vorrei essere
solo una scheggia di energia
perfetta
senza corpo
un fiato di vento
un granello di sabbia nel deserto
una goccia d’acqua nella sorgente
il brivido che si increspa
a mezzanotte
la nota
che
trema
e
muore
nel concerto di Mozart
K 488
bis – Concert K 488
Mentre la palpebra del ciel se chiud
sopra el gir dl’orizont e l’abulia
del sonn concilia e el mond dventa palud
d’ombra e el silensi s’tign de nostalgia
e la Sibilla s’fa gentil e nud
canta el segret del senn e dla pasia
e el mister com un bocciol se dischiud
vria essa sol ‘na scheggia d’energia
perfetta senza corp un fiat de vent
un granelin de rena tel desert
essa ‘na goccia d’acqua tla sorgent
el brivvid che s’increspa a mezanott
la nota ch’trema e mor in tel concert
d’Mozart Kappa quattrecentottantott.
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3) GD -Abilità descrittive e di introspezione si intrecciano nei tuoi versi, ora liberi, ora racchiusi nella forma sublime del sonetto. Vuoi dirci che cosa ti lega a questo modello metrico-ritmico, inventato nel Duecento da Jacopo da Lentini, ma ancora in auge? Penso a Patrizia Valduga, oggi, tanto per fare un nome. Ma ti chiedo anche, pensando alla Roma fra Otto e Novecento: i sonetti del Belli o di Trilussa c’entrano qualcosa nel tuo affidarti, anche per il dialetto, a questa forma classica?
RG – Il sonetto mi è arrivato, in lingua, nei primi anni delle elementari , con “L’aquilone”, “La cavalla storna” (che pianti!), “Odio l’allor” di Zanella. Alle medie con Farinata Ulisse e il Conte Ugolino, che il professor Vignale ci lesse e ci spiegò con passione. Trilussa Belli Porta sono arrivati al liceo. E con loro ho scoperto che la poesia in dialetto può essere poesia ed avere dignità letteraria.
E poi Pasolini Loi Guerra… Ma per l’inizio di una scrittura in dialetto convinta, abbastanza continua e fertile, determinante fu la circostanza, presso l’ACLI, di una conferenza, che vide il prof. Paioni ed il prof. Scalia conversare sul tema “Lingua e dialetto”. Era l’agosto 1999. In particolare a rivelare a me stessa la mia “vocazione” fu la definizione che il Prof. Scalia ad un certo punto del suo intervento diede del dialetto: “Il dialetto è la madre della lingua e la lingua della madre”; ed anche “Chi va lontano capisce la propria identità”.
Forse col dialetto mi trattengo aggrappata alle mie origini? Il dialetto forse dà in qualche modo consistenza ad un tempo che talvolta mi sembra appartenga più ad un altro che a me.
Ma l’endecasillabo, già prima di arrivare al dialetto, nel tempo l’ho praticato variamente, oltre che nella poesia, nella corrispondenza epistolare-coniugale, e talvolta, quando ancora insegnavo, anche nella stesura dei noiosissimi verbali che nelle mie funzioni di segretaria dovevo stilare alla fine dei consigli di classe e degli scrutini. Per quello che è stato forse il mio primo sonetto ho un riferimento cronologico preciso: l’uscita del film di Albert Lewin “Pandora”. Ricordo lo sfarfallio di volantini, lanciati da una giardinetta che girava per Urbino, e la voce metallica del megafono che ne annunciava la proiezione presso la Sala Feltria. Io raccolsi devotamente parecchi di quei volantini, che sul retro, anche se in trasparenza continuava a sorridere una affascinante Ava Gardner , erano puliti: in tempi in cui la carta non si sprecava e si usavano le copertine nere dei quaderni per ritagliare le mascherine di carnevale, facemmo a gara a chi ne raccoglieva di più. Quelli che io raccolsi li cucii e ci feci un libriccino. Per le mie poesie. Del sonetto che scrissi su quel libriccino mi è rimasta nella memoria solo la prima quartina e due versi di una terzina.
Nella notte ascoltando splendenti / stan le stelle le note sonore/ che da un flauto con morbidi accenti/ volan dolci, e che suona un pastore.
…e la luna sta attonita, piano/ s’è fermata per solo un momento…(che rimava con “firmamento”).
Il film uscì nel 1951. Mi faccio tenerezza per la bambina che ero. Avevo nove anni.
4) GD -La tua poesia, oltre a pensieri ed emozioni che tutti possono comprendere, riserva anche sorprese che richiedono un attimo di sosta, o di ricerca. Tutte caratteristiche già in se stesse rivelatrici della tua cultura intensamente vissuta, nell’intreccio di vasti interessi umanistici e scientifici, spesso in dialogo fra loro.
Vuoi dirci qualcosa di tale sinergia? Quali sono le poesie che più ti corrispondono, da questo punto di vista?
RG – La mia formazione è classico-letteraria. Ma mi affascinano il bosone di Higgs, le onde gravitazionali, l’antimateria, i quark, lo spazio tempo. Leggo gli scritti divulgativi di Carlo Rovelli, “L’ordine del tempo”, “Sette brevi lezioni di fisica” col trasporto di un romanzo. Già negli anni settanta mi intrigavano i buchi neri raccontati da Isaac Asimov e la teoria della relatività spiegata da Bertrand Russel . Ma arrivata ad un certo punto vengo sopraffatta dalla complessità. E mi rammarico di non poter capire tutto come vorrei. In diverse poesie compare la traccia di questa mia fascinazione(Geometria, pag.51).Nel febbraio 2016 dall’interferometro situato all’European Gravitational Observatory a Cascina, presso Pisa, fu registrata l’increspatura dello spazio-tempo prodotta da un cataclisma astrofisico, la fusione di due buchi neri lontani 1,8 miliardi di anni luce. Si è trattato della prima prova diretta sperimentale delle onde gravitazionali che ha confermato una importante previsione della Relatività Generale di Einstein ed aperto un nuovo straordinario scenario di scoperte sul cosmo.L’onda ( pag. 87)l’ho scritta in quei giorni.
Geometria
Ho camminato stanotte l’incongruenza
di un tondo chiuso duro
in uno scuro intossicato,
cercavo tentoni cieca
una sporgenza un angolo
una crepa
una protuberanza.
Ma ostinato frusciava
il muro liscio della circonferenza
sotto la mano.
Stanotte chissà
nella luce
camminerò un quadrato
l’equivalenza pacificata degli angoli e dei lati
la lucida cadenza della rientranza ortogonale
il bianco del percorso diritto
e poi di nuovo la pausa
in un’ alternanza di voce e di silenzio.
Sotto le dita
ruvido e gentile
il muro tornerà.
Aspetterò con gli occhi aperti nell’oscurità.
bis – Geometria
Ho caminat stanott l’incongruensa
d’un tond chius dur tun scur intosicat
cercav a tenton cieca ‘na sporgensa
‘n angol ‘na crepa ‘n sbrossol. Ma ostinat
frusciava el mur lisc dla circonferensa
sotta la man. Stanott chisà ‘n quadrat
caminarò tla luc, l’equivalensa
pacificata di angol e di lat,
la luccida cadensa dla rientransa
ortogonal, el bianc del percors dritt
e po de nov la pausa, t’n’alternansa
de voc e de silensi. Sotta i ditt
ruvvid artornarà e gentil el mur.
Aspetarò sa i occhj apert tel scur.
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L’onda
L’onda del mare
l’onda del vento
del fiato
del sangue
del pensiero
della melodia che increspa l’aria
l’onda delle risate che fanno brillare gli occhi
del pianto
della nostalgia quando si fa sera
del cuore innamorato
l’onda nelle vene del melo
della fantasia che vola
del grano maturo nel golfo dell’estate
l’onda della assennatezza e della pazzia.
L’onda.
Il ritmo dei giorni
il gran respiro delle stagioni
delle sementi nella terra.
L’onda.
Il palpito dei pianeti
dentro l’anello delle orbite
nel fuoco del sole che rifà il suo giro.
L’onda.
Il mistero che illumina
nella sponda del tempo senza confini
il grido delle stelle.
bis – L’onda
L’onda del mar l’onda del vent del fiat
del sangue del pensier dla melodia
ch’increspa l’aria l’onda dle risat
ch’fan brilè i occh del piant dla nostalgia
quand s’fa sera del cor inamorat
l’onda tle ven del mel dla fantasia
ch’vola del gran matur tel golf dl’estat
l’onda dl’asenatessa dla pasia
l’onda el ritme di giorne el gran respir
dle stagion dle sement tla terra l’onda
el palpit di pianet dentra l’anell
dle òrbit tel foc del sol ch’arfà el su gir
l’onda el mister ch’illumina tla sponda
del temp sensa confin el grid dle stell
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5) GD – Il tempo e il tempo dell’amore, degli amori. Sentimenti capaci di riempire di sé ogni istante dell’esistenza, ogni gesto, ogni pensiero. Fino a costituire l’intima ricchezza di una vita familiare e di coppia che non sa immaginarsi senza l’altro, eppure deve abituarsi alla solitudine, al silenzio. Su questa lunghezza d’onda, sarebbe bello ascoltarti, prima di leggere qualche nuova poesia…
RG -Amo la solitudine, ma non sono una solitaria, sto volentieri anche in compagnia. E amo il silenzio, (Il silenzio, pag.13) che mi permette di ascoltare tante voci. Sono gelosa dei miei sentimenti più intimi e non mi piace raccontare nelle mie poesie emozioni immediate. Ho bisogno di frapporre una certa distanza fra il sentimento e la sua espressione, ed anche da questo penso derivi l’esigenza della cura formale. Ho tante poesie di felicità e di dolore che terrò solo per me perché scomposte ed eccessive. Preferisco che il mio cuore si riveli attraverso il mio pensiero e attraverso lo sguardo che poso sulle cose che ci stanno attorno. In alcune poesie presenti in questa raccolta c’è grande dolore, rimpianto (Casa, pag.38; Il tagliaerba, pag. 40; Orfeo, pag.44), ma il tutto credo sia controllato. Per questo le ho pubblicate.
Il silenzio
Il silenzio tu
non lo senti.
non è bianco rosso o blu
non ha sapore
non ha temperatura né odore.
Il silenzio non è.
E’ assenza.
Eppure senza
silenzio
cos’è
il palpito dell’anima che si ritrova
la notte di luna nuova
quando vuoi ascoltare
il sospiro
delle galassie più remote
il richiamo dolente
delle vite lassù vissute e spente
in ere lontane lontane lontane da capogiro
carpire le sillabe del segreto
nell’inquieto respiro
del mare.
Cos’è la dolcezza della noia
il sapore della gioia
che lento nel silenzio si scioglie
l’impeto effimero della felicità
che non sa
durare
e la sua magia subito perde
e subito diventa nostalgia
l’azzurro della speranza
la fragranza di un ricordo
il sussurro sillabato di una poesia.
Il silenzio non è assenza.
E’ il luogo in cui il pensiero ricama
la trama
delle sue verità.
E’ la prospettiva indefinita
il muto sfondo
su cui piange ride canta
soffre e gioisce la nostra vita..
E’ la pausa nel suono che torna e si rinnova.
E’ un prima e un dopo.
E’ allegoria.
E’ il nulla da cui sboccia lenta
o perentoria si impone
la sinfonia.
L’immensa dimensione vuota
in cui si perde e annega
l’ultima nota.
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Casa
Ti ripercorrerò
come un viandante senza bussola
avanti indietro
ancora
casa di te
di me
casa sonora
fatta silenziosa in un istante.
Mi aggirerò
nel vuoto lancinante dei canti più nascosti
dove l’ora
del tempo si dipana
e già scolora
lenta
ogni impronta,
o casa mia fragrante ancora di parole
di rumori
di gesti d’ogni giorno.
E mentre fuori
scroscia rapido il fiume che uniforma
e cancella,
qui cerco la tua forma,
negli abiti appesi
nelle scarpe recline
nel tepore delle sciarpe.
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Il tagliaerba
Vorrei fermare nel tempo
questo odore di erba fresca tagliata
che ritorna
di maggio
ancora.
In questa disadorna giornata
nel giardino delle suore
oltre il muro
la lama del motore recide,
voce stridula che torna
di maggio
ancora
e l’anima frastorna.
Vorrei fermare nel tempo
il mio dolore,
resti con me fragrante come adesso
che sto seduta a capo chino
presso il muro,
fino agli orti degli Elisi.
Che resti
e non vanisca come questa
acre essenza che esala dai recisi
steli. E’ vita il dolore
per chi resta.
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Orfeo
Anche stanotte dietro la cortina
delle palpebre chiuse nella stanza
dei sogni senza tempo che confina
col sonno senza tempo con costanza
testarda t’aspettavo. Una collina
d’un tratto c’era nella dissonanza
d’una finestra verde, e una marina
verde, incongrua, e una vela in lontananza
verde. Non so per quale melodia
con la mia lira pallida di vetro
scendevo nelle pieghe della notte.
E come Orfeo scendevo nelle grotte
degli Inferi. Eri lì. Ma sulla via
nel risalir mi son voltata indietro.
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6) GD – Filo conduttore degli anni trascorsi sono le case. Case che cambiano nel tempo come le persone. Mutamenti che tu registri in versi indimenticabili, dove la concretezza delle cose stempera il rimpianto e riaccende la memoria, restituendo a ogni frammento la sua verità, la sua gioia, il suo dolore. A te la parola…
RG – Sì, le case. Quelle di Urbino, una al n. 36 di via Veterani, dove sono vissuta fino ai quindici anni, l’altra, al n.30 della stessa via, che ho conservato per i miei radi ritorni, ma che ho sottoposto a un…restyling totale. Che ha comportato una distruzione del suo aspetto antico e la dispersione, angosciante, di tante tracce di vissuto. Ora ristrutturata, bellina, parva (l’ho divisa, metà l’affitto) sed apta mihi, aspetta paziente i miei scappa e fuggi e le mie soste più distese nel mese di agosto. La casa è un archivio di memorie che dà in qualche modo consistenza e concretezza al passato restituendogli la sua realtà, il suo essere esistito. E, lontana, si trasfigura in mito. Per la casa di Roma, che ho qui, nella quale mi aggiro, questa trasfigurazione non esiste. Di essa può diventare spunto di poesia tutt’al più il giardino, la pianta di limone che pareva morta e che sta ricicciando, la guerra della gramigna e del trifoglio per il dominio del prato o l’arroganza del gelsomino che ha strangolato l’albicocco.(Ritorno, pag.42; Camp asociativ: cantina, pag.71; Casa nova, pag.73)
Casa nuova
Rinasce questa casa mia
vergine
come un’alba senza sogni
appena un po’ rabbrividita.
Come un’aliena
giro
per imparare la voce del pavimento sotto i passi
per studiare il corrugamento
della luce e dell’ombra
conoscere l’altalena
degli angoli e degli spigoli.
Senza pena
penso che dietro ormai
non c’è rimasto più niente.
Come una tenda di velluto
senza rumore
si apre e si richiude il tempo feroce
si sgrana ogni gesto smemorato
senza spessore
ogni palpito del cuore si fa di ghiaccio.
Ieri mi sono messa l’urna sotto il braccio
e ho sparpagliato le ceneri su nella Cesana.
bis -Casa nova
Arnasc ‘sta casa mia nuda e innocent
vergin com ‘n’alba sensa sogn apena
un po’ rabrividitta. Com ‘n’aliena
gir pr imparè la voc del paviment
sotta i pass, per studiè el corugament
dla luc e dl’ombra, cnoscia l’altalena
di canton e di spigol. Sensa pena
pens che de dietra ormai ‘n c’è armast pio gnent.
Com ‘na tenda de vlutt sensa rumor
s’apre e s’archiud el temp feroc, se sgrana
ogni gest smemorat sensa spesor,
ogni palpit del cor se fa de ghiacc.
Ier me so messa l’urna sotta el bracc
e ho sparpaiat le cenre so tla Csana.
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7) GD -C’è tanto in questo libro; c’è specialmente la vita, come si diceva all’inizio. Una vita che non ha conosciuto noia o stanchezza. La vita di un’anima che continua a sperare.
Sull’onda di questo messaggio positivo, che sembra sia il fulcro di “Hysteron Proteron”, la parola, insieme al nostro grazie, torna di nuovo a te…
RG – Per concludere questo dirò. La mia poesia nasce da un desiderio di condivisione, di una esperienza, di uno sguardo, di una prospettiva. Se a qualcuno piace, se riesce a comunicare una maniera di considerare quello che ci sta attorno, se crea una sintonia, sono contenta. Tutto può diventare spunto di poesia. Anche le cose piccolissime. A me piace la voce delle cose piccole, che tornano e ritornano nelle mie poesie. In questa raccolta, vedi “La voce delle piccole cose” (pag. 7), “Lettera22″(pag.10), “Sguardo” (pag.15). Questa suggestione penso che mi derivi dalla identificazione con le cose piccole di me stessa, ma anche della nostra condizione di umani , della infinita piccolezza e insignificanza della nostra terra rispetto alla misteriosa vastità dell’universo.
E grazie di cuore a tutti per la presenza e l’attenzione.
La voce delle piccole cose.
La voce delle piccole cose,
minuscola cosa
troppo silenziosa
per far vibrare l’aria.
Il fruscio
della linfa che preme
la minuscola gemma,
della minuscola foglia che freme
sul ramo del pesco,
del frutto che pende
e attende la mano
a maggio
del corpuscolo sospeso nel raggio
di sole
del fresco
odore di menta
nel giardino
della volatile molecola che esala
dalla buccia d’arancia dentro il piatto
della vibrissa del gatto
che punta l’uccellino
della parola
presuntuosa
piena di sensi universali
silenziosa
smarrita nella gola.
Della piccola gocciola esultante
nell’effervescenza della sorgente
o nell’inquieta corrente
che plasma la nuvola
o che riposa
nella calma
–la piccola goccia minuscola cosa–
di un mare di bonaccia.
La minuscola voce del grano di rena sulla duna
che il vento modella
della minuscola remota stella
nascosta nel chiarore della luna
del minuscolo globuscolo di schiuma
che gioisce e si frantuma
nell’onda di marea.
La mia piccola minuscola voce
smarrita nel fondo
del frastuono feroce.
La voce del nostro minuscolo
piccolo mondo umano
distratto disperso
che non sa ascoltare il suono infinito
vicino e lontano
dell’universo.
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Lettera 22
La gomma tonda piatta
indurita
ormai fatta
di cemento…
oh!…struggimento
dell’Olivetti lettera ventidue
delle tue
mani
dei tuoi pensieri sui tasti
la tua ansietà…
ieri?
no…no…cent’anni fa.
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Sguardo
Mi chiedi: Che vedi?
Soltanto un muro bianco, dico.
Sorridi
perché tu invece scopri
nel graffio scuro
nella cicatrice ossidata della vernice
la grana dell’intonaco antico
la sabbia e il cemento che fu sasso nel fiume
l’acqua che lo ha intriso
il passo della nuvola il pianto o il riso dell’aria
quando il metallo lo ha impastato
la miniera in cui la spatola
ha incubato la sua utile funzione..
Mi chiedi: Che vedi?
Dico: Benedizione di colori
dal rosso di pomodori al bianco
di cavolfiori e finocchi
su un banco
di supermercato.
Sorridi.
Perché (oltre va la tua percezione)
tu scorgi la nenia degli orti lungo il Nilo
(globalizzazione è pure questo)
il canto
dei ciliegi cileni
delle serre andaluse
le caviglie agili nel flamenco,
i pizzi madrileni delle mantiglie il venerdì santo.
Tu nel perentorio tondo rosso
di un pomodoro pachino
senti la mano di chi chino lo ha colto
sudore su un volto.
Senti fuga da terre amare,
guerre.
Senti tormento pericolo esilio nostalgia.
Senti il lamento
di chi non ce l’ha fatta ad arrivare,
si è perso sulla via.
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