La cultura della gente marchigiana. La testimonianza del Bianchello del Metauro di Canavaccio. Vino e vita insieme.
Sul Bianchello e su altri colori
di Germana Duca (Ancona-Urbino)
Sono cresciuta alle porte di Ancona fra i colori, gli odori, i sapori di una vigna di Rosso Conero e di un paio di filari (filoni) di Trebbiano adriatico.
Ero attiva anch’io quando si potava, rapicciava, vendemmiava, pigiava, torchiava, travasava. Mi era impedito solo di dare il verderame (dare l’acqua alle viti) e di spargere lo zolfo (dare la zòlfena).
So quanto lavoro e fatica richiede la cura di uva e vino, ricordo l’occhio e la lacrima sul tralcio reciso, il velluto dei pampini al loro aprirsi, i piccoli grappoli in fiore, gli acini turgidi, i raspi, le vinacce, i vinaccioli, il sobbollire dolce del mosto.
I miei producevano vino per casa. Vino rosso, denso, scuro. Con un sapore appagante e amaro insieme: una sferzata di “spirito” che dalle narici si propagava alle papille gustative e all’interiorità tutta. Nonno diceva che per fare un buon vino servono tre cose: pulizia, pulizia, pulizia.
Dal poco trebbiano veniva un bianco color oro, corposetto e asprigno, che mia madre ed io preferivamo. Purtroppo però, benché bevuto con parsimonia e addacquato, bastava sì e no fino a Pasqua.
E’ stato all’inizio degli anni Settanta, arrivando a Urbino e sposando un urbinate, che ho scoperto il Bianchello. La sua leggerezza, il gusto gradevole, il colore trasparente mi hanno subito conquistata.
Lo si andava a comprare a Canavaccio, dai Paganelli, che avevano belle vigne soleggiate, poco discoste dal Metauro e addossate alle rotondità di Monte Polo.
Quel Bianchello era così abboccato, in armonia con la mia personale idea del buon “vino da tavola”, che mi piaceva berlo schietto, senza aggiungere acqua.
Alla prima occasione, ne portammo un paio di bottiglie agli “anconetani”, perché assaggiassero anche loro, soprattutto la mamma, questa delizia collinare. Un successo: Bianchello promosso con lode.
Iniziò così “il traffico”: per due bottiglie di Bianchello, che da Urbino andavano in Ancona, ve ne erano altrettante di Rosso Conero che, da Ancona, venivano ad Urbino. Il baratto durò anni, finché fu possibile.
Germana Duca